Ritratti di famiglia: dall’intervista alla storia attraverso le immagini degli archivi privati

Introduzione di Valeria De Laurentiis ai laboratori della II E

Fotogramma dal film Memory box, 2021

Dopo un anno di silenzio, riprende il Progetto Sguardi e storie con una prima e una seconda classe dell’Istituto di istruzione secondaria di 1°grado Viale delle Acacie di Napoli.

Linee guida, finalità della public history e documentazioni delle annualità precedenti reperibili sul sito del progetto, realizzato da Letizia Cortini – competente, entusiasta, disponibile regista delle attività – mi permettono di sorvolare sulle questioni metodologiche di fondo e arrivare a qualche riflessione sulla sperimentazione dell’anno in corso.

Con la classe 2 E, ho avviato, già dal mese di dicembre, un laboratorio che è partito dall’intento di costruire, mettendo a frutto l’attività appena conclusa per imparare a descrivere persone con la scrittura, ritratti di famiglia seguendo una scaletta di lavoro che prevedeva:

  • Scelta del soggetto
  • Ricerca e scelta di fotografie dagli archivi di famiglia e/o produzione di scatti funzionali all’obiettivo
  • Schedatura delle foto
  • Intervista al diretto interessato o a un testimone indiretto
  • Costruzione di un racconto utilizzando scrittura e fotografie.

Potrebbe sembrare poco, ma per dei ragazzini di dodici anni è un’impresa soprattutto sul piano dell’acquisizione di un metodo di lavoro ordinato e coerente e di principi organizzativi delle tecnologie di archiviazione. Stupisce sempre che i cosiddetti nativi digitali, anche dopo due anni di utilizzo forzato del pc, mostrino tante resistenze ad esplorare e fare propri i numerosi strumenti di studio ed elaborazione dei contenuti che la tecnologia offre. Qui è stato determinante l’incalzante e costante richiesta del docente (cioè la scrivente che ancora i suoi alunni staranno maledicendo!) di completare le consegne, precisare dettagli, rivedere testi, ecc.

Un laboratorio di questo genere insegna innanzitutto la pazienza necessaria affinché tutte le tessere del mosaico vadano a posto: la realtà della fonte orale (intervista) e di quella visiva (foto) inchiodano all’esattezza della narrazione.

Il primo elemento significativo di questo laboratorio è stato proprio l’incontro con la fonte orale: l’intervista. La maggior parte degli alunni ha dichiarato, a esperienza conclusa, che è stato bello intervistare il testimone diretto o indiretto; i testimoni a loro volta si sono commossi, emozionati o almeno divertiti per essere stati coinvolti.

Di recente Chiara Ottaviano, nel webinar sui laboratori di public history (1) ha sottolineato che la raccolta di fonti orali offre occasioni “- per il coinvolgimento e la partecipazione delle comunità; – per promuovere e motivare il confronto intergenerazionale”. È stato proprio così: parenti anche lontani, intere famiglie si sono mobilitate per cercare di rispondere alle domande dei ragazzi a loro volta invitati a prendere nota delle risposte, a intrecciare presente e passato.

Siamo partiti da uno schema semplice di intervista, individuando le domande essenziali e accordandoci sulla necessità di lasciarne scaturire altre dalle fonti iconografiche scelte. 

La scelta delle foto è stato un altro momento di coinvolgimento dell’intera rete parentale. Sono state ritrovate scatole dei ricordi, si sono sfogliati album per cercare scatti che a volte aprivano orizzonti per nuove domande, altre volte potevano autenticare il racconto. In alcuni casi i ragazzi hanno realizzato foto di oggetti, documenti, cimeli di famiglia, quasi a costruire una piccola memory box intorno al soggetto (2). La schedatura delle fonti iconografiche individuate è stata fondamentale per accedere alla loro natura documentaria a più livelli: personale, collettivo, sociale, affettivo.

La datazione dello scatto, precisa o approssimativa è risultato un elemento da perseguire; aveva ragione R. Barthes quando scriveva: “La data fa parte della foto non già perché denota uno stile ma perché induce a fare mente locale, a considerare la vita, la morte, l’inesorabile estinguersi delle generazioni” (3). Aggiungeva però che non deve per forza assumere una via nostalgica, ma quella della certezza perché ratifica ciò che ritrae. 

Pensando al lavoro svolto con i ragazzi sulle foto, ai loro commenti, mi viene in mente il metodo utilizzato da A. Ernaux, nella sua autobiografia, Gli Anni. Nelle pagine finali del libro, l’autrice spiega la funzione delle foto che descrive all’interno del testo per introdurre i periodi della sua vita: “fermi-immagine della memoria e allo stesso tempo resoconti sull’evoluzione della sua esistenza, ciò che l’ha resa singolare, non in virtù degli elementi esterni della sua vita (traiettoria sociale, professionale) o di quelli interni (pensieri, aspirazioni, desiderio di scrivere), ma per la combinazione degli uni e degli altri, unica in ciascun individuo” (4).

Completata la schedatura, è stata avviata la costruzione del racconto-ritratto utilizzando i due strumenti, scrittura e fotografia, come complementari : la prima capace di spiegare quello che la seconda offre ai nostri sensi simultaneamente, nel com’è, o nel come è stato (5).

Spesso sono stati utilizzati gli archivi di film, per contestualizzare dal punto di vista della rappresentazione, anche di propaganda, il periodo storico in questione. Abbiamo cercato e in alcuni casi utilizzato video tratti dai canali youtube dell’AAmod (https://www.youtube.com/@AAMODAAMOD) e dell’Istituto Luce (https://www.youtube.com/@luceperladidattica9571)

Ogni racconto ha poi declinato questa complementarietà in maniera diversa. Qualcuno, me compresa, ha lasciato narrare il testimone proponendo proprio l’intervista; altri hanno costruito un ritratto che si potrebbe definire celebrativo del soggetto scelto, talvolta incontrando esplicitamente segmenti della macro-storia che hanno reso obbligatoria una riflessione non facile nel confronto tra i racconti storici accreditati e il vissuto personale all’interno della famiglia.  In ogni caso però l’evidenza della fonte visiva è stato un richiamo alla memoria collettiva ritrovata in quella individuale. In questo senso credo che un laboratorio di public history, anche il più semplice, restituisca sempre la dimensione vissuta della storia.

Infine, soprattutto in questi ritratti di famiglia, la consapevolezza di star facendo memoria, scritta e visiva, di quello che non c’è più o che non ci sarà più, ci ricorda, come osservava Barthes, che la storia è anche sempre un’attestazione d’amore.

Note

1 Si veda sul canale youtube Public history education Lab, il webinar “Public history a scuola: https://www.youtube.com/watch?v=BLx31EixC_g, in particolare gli interventi di Chiara Ottaviano e Pamela Giorgi. Quest’ultima cita anche un progetto educativo basato sulla costruzione e l’uso delle memory box, più avanti citate.

2  Ho proposto ai ragazzi, avendone discusso anche con Letizia Cortini, la visione del bel film Memory box, di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, Francia 2021 cercando di guidarli sui linguaggi e sull’uso dei documenti di famiglia per costruire un film di fiction, Il film è piaciuto, più di quanto immaginassimo.

3 R Barthes, La camera chiara, Einaudi 1980, pag. 84

4 A. Ernaux, Gli anni, L’ Orma Editore 2005, pag 263

5  M. Smargiassi, La cordiale inimicizia tra parole e fotografia, blogautore.repubblica.it, 18/5/2016 https://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2016/05/18/la-cordiale-inimicizia-tra-parole-e-fotografie/ (marzo 2023)

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Un pensiero su “Ritratti di famiglia: dall’intervista alla storia attraverso le immagini degli archivi privati

  1. L’ha ripubblicato su visioni dalla storiae ha commentato:
    Il progetto Sguardi e Storie quest’anno coinvolge le classi I e II E della SMS Viale delle Acacie a Napoli. La professoressa Valeria De Laurentiis, nell’interessante contributo che segue, illustra le metodologie del lavoro in corso con la II. Sono a mano a mano pubblicate le storie dei ragazzi della seconda e, a breve, anche quelli della prima.
    Oggi si è svolta una presentazione di Sguardi e storie nell’ambito dei progetti Cips, Cinema e immagini per la scuola. In particolare, su invito delle coordinatrici di “Dieci per Luis”, Monica Repetto e Cristina Scognamiglio, che ringraziamo molto per il coinvolgimento, si è svolta una masterclass con la sottoscritta e con Valeria De Laurentiis.
    L’incontro era rivolto ai ragazzi delle seconde medie delle scuole romane Sandro Onofri e Magarotto, che hanno conosciuto alcuni studenti di Napoli e le loro storie.
    A tutti i ragazzi rivolgiamo, Valeria ed io, il nostro ringraziamento e l’augurio di buon proseguimento nel loro interessante percorso tra cinema, memoria, inchiesta, realizzazione di corti e webserie. (LC)

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