Mena e Peppe, di Valeria De Laurentiis

1916: l’Italia è in guerra dal maggio del 1915. Due foto, viraggio seppia, scattate in studio fotografico con fondali artistici.

A sinistra mio nonno materno Giuseppe Loffredo (Napoli 1895-1980), Peppino per tutti, nonno Peppe per noi nipoti.

A destra mia nonna Filomena Borriello (Buenos Aires 1897 – Napoli 1995), nonna Mena.

Il nonno è un artigliere, ha 21 anni e si trova a Nettuno dove c’è, dal 1888, il Poligono di tiro adibito soprattutto ad attività di tiro con artiglieria. Non andrà al fronte ma presterà servizio militare almeno fino al 1919. Questa foto è datata 31 settembre 1916 e un mese dopo, da altre foto in divisa, capisco che è stato trasferito a Milano. E’ stata scattata dallo studio fotografico Barattoni, trasferitosi da Anzio a Nettuno.

La nonna va da una sarta come apprendista.

Peppino e Mena si sono conosciuti a Napoli perché la sartoria in cui Mena impara a tagliare e cucire abiti è proprio di fronte alla libreria e casa editrice in via S. Biagio dei Librai 2 (pieno centro storico), l’azienda di famiglia, in cui lui già lavora con il padre Luigi. Si guardano dal balcone, racconta mia madre, Elena.

Nel 1916 sono fidanzati e la lontananza pesa. Così Peppino si fa immortalare e invia la sua foto a Mena scrivendo sul retro:

“A Menuccia mia. Peppino 31/9/1916”.

Siede su una sedia savonarola, in una posa disinvolta ma composta che mette in bella vista gli stivali tirati a lucido; il gomito destro poggia su di un tavolino intarsiato e la mano regge il volto satinato dall’espressione fissa che pare tagliato di netto ad un bronzo antico e incastrato tra uniforme e berretto. Il fondale bucolico, i fiori nel vaso di vetro opaco e la pianta da interno sul trespolo bianco a quattro gambe trasmettono l’idea che la vita da militare, ma non al fronte, non è poi così dura. Si usa così perché il ritratto fotografico ancora imita quello pittorico e, prima del diffondersi delle avanguardie artistiche che abbandoneranno il campo della rappresentazione realistica, l’arte fotografica ha bisogno di nobilitarsi.

Mena, a sua volta, gli invia un suo ritratto ed un mese dopo è già tra le mani di Peppino, trasferitosi a Milano, che annota sul retro della foto “Milano nell’ottobre del 1916”.

Il ritratto mi appare speculare anche se declinato al femminile in tutte le sue componenti. La sedia savonarola lascia il posto ad un’elegante poltroncina thonet dal cui schienale Mena quasi si affaccia ,il trespolo si abbassa ,si arrotonda ed ospita una pianta, in un bel vaso liberty con le tipiche figure femminili danzanti, insieme a dei fiori; lo sfondo è meno arioso e lascia intravedere una colonna dall’alto basamento  e delle nuvole forse. Mena è elegantissima nel suo abito nero con il colletto di tessuto leggero e bianco; il cappello a larga falda incornicia il volto appena inclinato che guarda nella macchina con un’espressione languida e composta allo stesso tempo. La figura è appena torta e le gambe lievemente accavallate, come si conviene a una signora, ma abbastanza da far spuntare dall’orlo mosso dell’abito le splendide scarpe in pelle nera con il doppio cinturino. Le mani sono bellissime, degne della migliore ritrattistica pittorica. La nonna indossa orecchini, un grazioso anello (che ho riconosciuto tra quelli di famiglia), una collana sottile e si intravede anche la tracolla metallica di una borsetta che si nasconde tra l’abito e lo schienale della sedia.

Immagino che Mena abbia indossato l’abito e gli accessori migliori per Peppino perché da questa foto non traspare il clima che si respirava in Italia durante la Grande Guerra. E’ vero che l’orrore era tutto nella carneficina delle trincee, nello sconvolgimento inaspettato e totale che quella guerra fu per tutti i soldati coinvolti, ma anche i civili, in tutto il territorio nazionale, patirono restrizioni e sacrifici; soffrirono l’assenza di mariti, figli, padri e vissero l’angoscia di non vederli tornare.

Eppure Mena e Peppino, come tanti altri, mantengono il filo che li unisce attraverso, foto con dediche, lettere, diari.

Scoprono, come scrive Ungaretti nella poesia Veglia, di non essere mai stati tanto attaccati alla vita.

IGM

Manda a Mena anche questa foto da Milano. Sul retro si legge: “Milano ottobre 1916. Questi sono i quattro cannoni della mia batteria. Guardali bene, quante notti in compagnia di essi, passo pensando a te. Tuo Peppino”.

Sono fortunati e non si perdono. Nel 1920 si sposano e mettono su una famiglia di otto figli. L’azienda di famiglia riprende la sua attività  e Peppino lavora tra i libri per tutto il resto della sua vita mentre Mena si occupa dei bambini e della casa.

fotoFamiglia1

Qui l’intera famiglia è ritratta nel febbraio del 1940, dopo venti anni di matrimonio, Peppino e Mena, guardano orgogliosi e sorridenti l’obiettivo, benevoli monarchi in trono di questa allegra piramide famigliare che vede i figli maggiori al vertice (Maria, Luigi e Cristina), gli altri ai lati, parallelamente in ordine di età ( Elena e Rita, Enzo e Alfredo, il piccolo Gianni che Peppino tiene per mano, l’ultimo dei Loffredo editori). La foto è scattata nella camera da pranzo di casa loro che in quegli anni era a Napoli, in Piazzetta Forcella n. 22.

I nonni e i miei zii sono ben vestiti  e pettinati: non c’è dubbio, è una foto ufficiale.

Ancora una tremenda guerra li aspetta, ma questo è l’inizio di un’altra lunga narrazione…

Posso anticipare solo il lieto fine: ecco Peppino e Mena che festeggiano i cinquanta anni di matrimonio, nel 1970.

nonnanonno

Sono ancora innamorati e ancora centro di una piramide famigliare che si è moltiplicata!!

famigliaoggi

Valeria De Laurentiis, docente III E

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