Il gioco e i cinque sensi di Alessandra Zanotta 1^ A

Qui è ritratta mia nonna Giovanna all’età di due anni, del settembre 1950.

Ogni estate mia nonna veniva invitata da suo zio Raffaele a trascorrere le vacanze con lui in un piccolo paese della Sila, Decollatura, in provincia di Catanzaro. Nella foto possiamo notare la piccola Giovanna che gioca con una sua parente di nome Giuliana; il suo giocattolo preferito in quel momento era un secchiello.

Insieme si trovavano nel giardino di casa, con grandi aiuole di dalie colorate.

Sullo sfondo possiamo notare un cane bianco, Lola, con il pelo lungo e soffice con il quale mia nonna giocava spesso.

Questo legame fra Lola e mia nonna ha sviluppato in lei un forte amore per i cani e tutti gli animali.

La mia nonna era la più piccola di casa e veniva attorniata da zii e cugini grandi i quali le insegnavano a riconoscere i tipi di ortaggi e le piante aromatiche. Spesso andavano nei campi dove i contadini mietevano il grano o bacchiavano i legumi. E già da allora nacque in mia nonna una passione per le attività  rurali.

La nonna mi racconta che dopo cena uscivano per delle passeggiate a caccia di lucciole. Infatti, l’aria pulita, priva di inquinamento, favoriva l’esistenza di alcuni insetti che ora sono quasi estinti.

Dopo tutti questi racconti ho capito che la vita di allora era molto semplice: c’erano pochi giocattoli, niente televisioni, niente cinema, i suoi unici divertimenti erano andare nei campi e scoprire come raccogliere il grano, guardare incantata le lucciole, giocare con Lola.

Dalla bici al pallone senza mai fermarsi, di Diana Sarnataro 1^ A

 Attraverso questa foto e i racconti di mia madre ho potuto comprendere com’erano i giochi, alcuni molto diversi da quelli attuali. In questa prima foto a figura intera è raffigurata felice sulla bici nel viale d’ingresso dell’Edenlandia. Ricorda che era un giorno di festa, probabilmente una domenica, giorno che lei aspettava sempre con ansia perché poteva giocare con la mamma e il papà che durante la settimana lavoravano fino a tardi. A lei piaceva molto andare in bici di cui le piaceva particolarmente il colore e il fatto che poteva bussare al campanello- trombetta per avvisare gli altri che stava passando. Ci teneva poi ad allenarsi per riuscire ad andare in bicicletta senza rotelle. Osservando ancora la foto, vedo mia mamma con un abitino estivo e disegni riguardanti l’estate, un cappellino rosso e delle scarpette aperte turchesi (il suo colore preferito). Penso sia molto carino e non mi sembra neanche tanto “antico”. La foto è stata scattata nel 1985, probabilmente da mio nonno, Giorgio, che ora non c’è più ma che ha riempito di gioia mia mamma portandola in un posto che la faceva divertire. Mia mamma mi ha raccontato una cosa molto divertente per me: quando era piccola i suoi genitori la soprannominavano “Cioppa” …è un nome davvero buffo che i miei nonni le hanno dato perché da neonata indossava una tutina di Cip e Ciop, che diventarono Cippa e Cioppa e col tempo divenne solo Cioppa!!

Anche questa scattata da suo padre, nel 1986, mia mamma è leggermente più grande, da quello che mi ha raccontato aveva quattro anni e stavolta si trovava a casa, di cui io riconosco solamente la poltrona (che abbiamo ancora oggi). Indossava una tutina gialla e delle scarpette rosse. Stavolta il suo completo mi sembra un po’ strano, forse andava di moda nella sua epoca perché oggi non ne vedo così in giro. La sua era una casa stile antico, a mio parere non tanto bella o almeno il pavimento, le mura e l’arredamento non li avrei scelti così. Nella foto mamma ha in mano una palla, il Super Santos. A quell’epoca non aveva giochi elettronici come noi adesso ma bensì giochi semplici come la palla, le bambole, i peluche… che riponeva tutti in un contenitore, più specificamente una cesta di vimini. Le piacevano anche i giochi di carte, giocava infatti a scopa (ha imparato presto perché nonna giocava sempre con lei), a Shangai, a domino, ai giochi da tavola, tutti giochi che esistono anche ora ma sono meno comprati. A mia madre piaceva giocare molto all’aperto, più che stare in casa, ma quando non poteva uscire, giocava con il suo cavallo a dondolo di plastica e acciaio, oppure ai suoi giochi preferiti con sua mamma, la sua baby-sitter, i suoi cugini o le sue amiche.  

Uno tra i giochi preferiti di mamma quando aveva quattro anni (forse l’unico elettronico) era IL GRILLO PARLANTE con cui ha imparato a leggere e a scrivere molto presto!! A lei piaceva molto questo gioco perché le ha dato la possibilità di risolvere degli indovinelli e rispondere a dei quiz (cosa che mia mamma adorava e anche ora adora fare) perciò ha continuato a farlo e a farlo fino a che non ha imparato bene. È stato bello vivere questi ricordi per lei e per me, condividere del tempo insieme e scoprire una storia del passato, quella di mia mamma.

Il gioco non ha nazionalità , di Ashvita Rohan 1 ^ A

Il gioco è un momento di condivisione attraverso il quale si conoscono gli altri e si stringono rapporti di amicizia. A tutti i bambini del mondo piace giocare, non importa a quale cultura appartengono o se hanno tanti o pochi giocattoli.  Quando ero piccola, adoravo giocare a nascondino quasi ogni sera con mio padre e mia sorella, adesso preferisco giocare a carte con i miei genitori soprattutto dopo pranzo ed è un momento di felicità perchè stiamo tutti insieme prima di andare al lavoro o di fare i compiti. 

Oggi ai bambini piace giocare ai videogiochi e stare poco all’aria aperta, ma quando ho chiesto ai miei genitori come trascorrevano il loro tempo libero con gli amici, mi hanno risposto in maniera diversa, raccontandomi della loro infanzia quando vivevano in Sri Lanka.  

Questa è una foto di mia madre, Priyadharshani, scattata da mio nonno nel suo giardino il giorno in cui i miei nonni materni, Balachandran e Logaluchumi, le hanno regalato un triciclo della Walt Disney. Era il settimo compleanno della mia mamma , 13 Gennaio 1997, e aveva appena imparato ad andare sul triciclo. Aveva addosso una tuta bianca della Walt  Disney appartenente a suo fratello maggiore… per questo motivo la tuta è un po’ grande!      

Mamma, campionessa di Kotu Ellima  

Mia madre e mio padre sono cresciuti a Rathnapura – all’epoca si conoscevano, ma non erano ancora amici –, un piccolo paese di campagna in cui i bambini sono soliti giocare all’aria aperta. I giochi preferiti di entrambi erano nascondino, acchiapparella, le biglie, le bambole, ma mi hanno parlato anche di un gioco tipico della cultura srilankese che si chiama Kotu Ellima. 

Si tratta di un gioco di strategia a due giocatori in cui ogni giocatore ha 24 pezzi disposti su un tavoliere con le stesse possibilità di movimento e di cattura e l’obbiettivo è catturare tutti i pezzi dell’avversario. All’inizio del gioco tutti gli incroci sono occupati da pedine, tranne quello centrale. Questo gioco sembra difficile, ma mia madre mi ha raccontato che era una vera campionessa e mi ha insegnato alcune mosse speciali per una vittoria assicurata! 

Mio padre, invece, preferisce giochi più movimentati come il calcio e il cricket. Quest’ultimo è uno sport di squadra molto praticato nel mio Paese, che prevede l’utilizzo di alcuni strumenti come una mazza, una palla e un guantone; ogni squadra è formata da undici giocatori: una parte di essi colpisce la palla e un’altra la tira.  

L’obiettivo del gioco è tirare la palla il più lontano possibile senza che venga intercettata dal fielder (colui che recupera le palle battute).  

Nonostante sia uno sport abbastanza complicato da capire perchè ha delle regole complesse, ancora oggi mio padre segue tutte le partite, ricordandosi di quando anche lui giocava con gli amici al campetto.  

Il gioco e Carin , di Ludovica Falanga 1^ sez. A

Immagine che contiene vestiti, persona, Viso umano, Stile retrò

Descrizione generata automaticamente

Questa foto risale al 1916 e ritrae la mia bisnonna Renata Faenzi e suo fratello Michele nella loro casa di famiglia a Chianciano Terme in Toscana.Il loro papà Lelio, ufficiale della Marina Militare, li immortalò mentre, vestiti da adulti, giocavano a fare i grandi.

Michele viene immortalato con un paio di occhiali tondi sulla punta del naso e tra le labbra una sigaretta, mentre leggeva attentamente le notizie del giorno. Renata viene ritratta con al collo un filo di perle mentre con aria amorevole era chinata sul fratello . Durante una delle estati trascorse nella casa dei miei antenati chiesi di raccontarmi della sua famiglia. La casa risale al 1700, prima della Rivoluzione Francese; i posteri nel corso degli anni l’hanno messa al pari coi tempi ma molto del passato è rimasto.

I grandi ritratti dei due capostipiti appesi alle pareti, le travi di legno e i mobili antichi fanno sentire come se mi tuffassi in quel lontano periodo. Ogni volta che sono lì con mio fratello, abbiamo sempre qualcosa da scoprire. Quando trovai questa foto, quello che mi colpì in particolar modo fu la bambola che la mia bisnonna aveva in braccio. Appena la vidi mi ricordai della bambola conservata nella stanza del camino. Era incredibile che quella bambola un po’ stinta nei colori, le labbra rosse scorticate, i capelli di lana ormai stoppacciosa, era ancora li con gli stessi grandi occhi che sembravano fissarmi. Questa bambola era stata il gioco preferito della mia bisnonna Renata che aveva chiamato Carin, la trattava e le parlava come se fosse la sua bambina e non se ne separava mai. Però purtroppo la guerra arrivò anche a Chianciano; i nemici in fuga bombardavano anche i piccoli centri. Nella fuga al rifugio la mia bisnonna dimenticò Carin e pianse una notte intera per averla abbandonata e con la paura di non ritrovarla mai più. Quando l’allarme finì e tutti rientrarono a casa, trovarono polvere e calcinacci ovunque. La mia bisnonna cercò Carin dappertutto finché non vide sotto un mattone un braccio impolverato; era lei. Da allora Carin è diventata un simbolo della nostra famiglia e sentendo queste parole da mia mamma ho capito quanto valore poteva avere a quei tempi un semplice giocattolo e quanto tanto tempo fa si apprezzavano il valore delle cose

GIOCARE, GENERAZIONI A CONFRONTO…di Sofia Victoria Esposito 1^ A

   In questa foto è rappresentato mio nonno paterno, Giuseppe Esposito, detto “Peppe”.               

                                            

Se lui fosse qua con me sarebbe stato molto più semplice descrivere questa foto, ma purtroppo è volato via prima che io nascessi, ma ciò che scrivo mi è stato raccontato da mia nonna.                     

Questa foto ricorda un giorno in cui mio nonno aveva 13/14 anni ed era andato al bosco di Capodimonte in gita con i suoi amici.  

Tutti avevano portato le biciclette, mentre lui aveva portato la chitarra che aveva comprato con le paghette settimanali che aveva dai miei bisnonni, Raffaele Esposito e Adele Cortese. La sua passione per la musica non si è fermata alla chitarra, ma in seguito suonava anche la fisarmonica e il pianoforte quest’ultimo si trova ancora a casa di mia nonna. 

Nello sfondo troviamo I viali del bosco di Capodimonte, noto bosco della Campania. 

Non si sa precisamente la data in cui è stata scattata questa foto, ma date le condizioni di essa, credo che sia stata scattata qualche anno prima degli anni ’60. 

Nella foto che segue c’è mio padre, Luigi Esposito, ritratto nel 1978, quando aveva 4 anni. È stata scattata da mio nonno Giuseppe quando si trovavano in vacanza a Terracina, dove avevano fittato una casa per 2 mesi. Mio padre da piccolo amante specialmente delle navi, tanto che all’età di 18 anni partì come servizio di leva nella Marina militare. Nello sfondo troviamo la spiaggia di Terracina . Mio padre ha ancora una grande passione per le barche, ma visto che non ha molto tempo per prendere la patente nautica d’estate prendiamo in affitto un gommone ,su cui vi andiamo ogni domenica da maggio a settembre. Anch’io ho una grande passione per le barche e credo che mi sia stata trasmessa negli ultimi anni da lui. 

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MAMMA, ZIO RUSIK E LA NEVE

Nelle 2 foto che seguono sono rappresentati mia mamma, Mariya Parasunko, e, successivamente, suo fratello, mio zio, Ruslan Parasunko. 

Queste foto sono state scattate da mia nonna, Svitlana Parasunko, nel 1989, quando mamma aveva 2 anni e mio zio 4 anni, mentre giocavano con la neve.  Quell’inverno era speciale: era arrivata la mia bisnonna che viveva lontano, Olga Parasunko. Se vi state chiedendo perché nella mia famiglia Ucraina tutti hanno lo stesso cognome, è perché secondo la legge Ucraina, le donne dopo essersi sposate, prendono il cognome del marito, così la mia bisnonna Olga Pshenychuk che ha sposato il mio bisnonno Petró Parasunko, ha praticamente “cambiato” cognome ed è diventata anche lei una Parasunko. Ritorniamo alla foto: a mia mamma e a mio zio piaceva tanto giocare con la neve, e d’inverno in Ucraina, in quegli anni, le temperature arrivavano addirittura ai -30°c, ma i bambini comunque uscivano per giocare. Quel giorno fecero un bellissimo pupazzo di neve, che viste le temperature rigide, è rimasto fino alla primavera.  Loro ancora oggi vorrebbero che qui a Napoli nevicasse, per ricordare il loro passato nella bellissima Leopoli, Lviv. 

Essere architetto a Barcellona, di Margherita Iaquinto II E

Simona Iaquinto, mia zia paterna, é nata nella città di Napoli, il 26 febbraio dell’ anno 1979. Prima di trasferirsi in Spagna, più precisamente a Barcellona, viveva insieme alla sua famiglia: suo padre(mio nonno) Vincenzo Iaquinto, sua madre ( mia nonna) Silvana Puopolo e suo fratello minore (mio padre) Fabio Iaquinto. Abitavano nel centro storico di Napoli, in Via Duomo. Mi ha raccontato che in quel periodo Napoli non era una città molto visitata dai turisti, infatti le strade non erano mai affollate e c’era sempre un clima tranquillo ( tranne che per le macchine e le ambulanze che invece facevano un grande rumore).

Ha frequentato il liceo classico Antonio Genovesi e subito dopo si è iscritta alla facoltà di architettura della Federico II di Napoli. Poco dopo aver terminato gli studi, nel 2005, decise di partire.

Mia zia racconta che all’inizio doveva stare a Barcellona solo per qualche mese ma poi si è innamorata di quella città e del lavoro che svolgeva come architetto lì e quindi decise di rimanerci a vivere definitivamente. In seguito si è sposata e ha formato una famiglia a Barcellona. Il viaggio per andare in Spagna è stato molto tranquillo però quando è salita sull’aereo ha sentito un po’ di malinconia dato che era consapevole del fatto che non avrebbe potuto vedere per un po’ la sua amata Napoli.  Non era però per nulla spaventata dal viaggio che stava per intraprendere anche perché non era sola; con lei c’erano due suoi amici: Antonio Riccio, un suo grandissimo amico con cui tutt’ora è in contatto, e poi una sua amica Silvia, una ragazza che aveva conosciuto all’università e con cui aveva legato tanto nell’arco degli anni.

Dopo un viaggio  non molto lungo ,di solo 2 ore, arrivarono a Barcellona e la prima cosa di cui si rese conto fu che tutti erano molto gentili e cortesi con lei.  Si diressero verso la casa che avevano preso in affitto. Questa casa mi dice che era abbastanza piccola e si trovava vicino la strada “Passeig de Gracia”, una strada lunghissima piena di negozi di tutti i tipi.

La casa che avevano affittato era molto pulita e ordinata ma lei e suoi amici vollero dare una sistemata e apportare qualche modifica spostando dei mobili. C’erano tre camere da letto non molto grandi. La casa era molto colorata e accogliente con un salone subito all’entrata e la cucina non troppo grande. In più c’era un tavolo per pranzare ma loro lo utilizzavano anche  per lavorare al computer nel pomeriggio o la sera (dato che la mattina lavoravano fuori casa, in studio).

Mia zia Simona ha trovato in un album di ricordi, questo scatto del 2005 realizzato dall’amico Antonio, che la ritrae proprio mentre era impegnata nelle pulizie e nel riordino della casa. I primi giorni a Barcellona furono un po’ difficili perché sentiva molto la mancanza della sua famiglia, della sua città dei suoi amici ecc. Però non durò molto perché non era da sola. Inoltre conosceva alla perfezione la lingua visto che aveva studiato spagnolo e ottenuto il diploma in lingua spagnola.

Nei primi tempi trovò lavoro per ristrutturare appartamenti ma poi le fu proposto un lavoro, nel 2006, che lei ritiene il più importante e che le ha regalato una soddisfazione immensa: partecipare alla costruzione dell’ospedale “San Pau”, dove poi successivamente sono nati anche i suoi figli, Giulia e Luca.

 L’ambiente di lavoro era accogliente e i colleghi erano sempre molto carini e gentili con lei. Mia zia racconta che quando ha lavorato per costruire l’ospedale di San Pau ebbe un trattamento economico abbastanza alto e che a fine costruzione era molto soddisfatta del duro lavoro svolto.

Questo scatto dovrebbe essere del 2007 circa ed è sempre opera del suo amico Antonio: mia zia è in primo piano, sorridente, mentre lavora nel cantiere dell’ospedale. Sullo sfondo una collega. I lavori per questa importante costruzione erano iniziati nel 2000 e terminarono nel 2010.

Dopo una lunga giornata di lavoro tornavano a casa, lei e i suoi due amici, con la metropolitana e appena arrivavano si facevano due chiacchiere sul divano fra di loro. Lei dice che costruire questo ospedale é stato incredibile e che é stata una grandissima soddisfazione personale vedere l’ospedale completo a fine lavoro.

In questo scatto di quegli anni (2006-2007) zia Simona e l’amica Silvia sono state ritratte mentre conversavano nella metropolitana di Barcellona, al ritorno a casa dopo una giornata di lavoro. Oltre che in cantiere, lavoravano presso lo studio di  progettazione ospedaliera  di nome Pinearch. 

Qui zia Simona è stata fotografata nello studio di architettura, in un momento di pausa.

Per ritornare a casa utilizzavano la metropolitana che però ci mettevano molto tempo e dovevano aspettare molte fermate; impiegavano almeno 30 minuti. Però quello era il momento preferito di mia zia perché era il momento in cui si sedeva a parlare con i suoi amici e potevano finalmente chiacchierare di qualcosa che non fosse il lavoro.

Verso sera, arrivavano a casa un po’ stanchi e si mettevano per una mezz’ora al computer per dare una sistemata al lavoro svolto in giornata .Lei, Silvia e Antonio, trascorrevano il tempo al computer a riepilogare tutto il lavoro svolto, aiutandosi tra di loro. Anche se lavoravano, erano belle serate in compagnia e poi dopo cena, si sistemavano sul divano a chiacchierare e farsi due risate. Lei mi dice che le serate, nonostante fossero passate al computer a lavorare, erano sempre molto belle dato che era in compagnia dei suoi compagni di casa. La sera non le dispiaceva stare per un po’ al computer e poi, dopo cena, si ritrovavano sul divano a parlare fra di loro e a farsi due risate.

In questo scatto, zia Simona e Antonio lavorano al computer, a casa.

Il fine settimana era sempre il momento più bello perché andava in giro a conoscere la città e a scoprire nuove pietanze: la cucina di Barcellona è molto diversa dalla nostra. Si mangiano la paella, la paradeta, tabas ecc. Barcellona è una città caotica, ma splende della sua bellezza. Poi almeno un fine settimana al mese venivano a trovarla i suoi genitori ed era sempre un bel momento.

Mia zia oggi vive a Barcellona insieme a suo marito, Dani Rivera, sua figlia, Giulia Rivera, e suo figlio Luca Rivera. Lei e la sua famiglia, da sempre, ci vengono a trovare nel periodo di natale e durante l’estate, noi invece andiamo a Barcellona verso fine febbraio oppure a maggio. Nonostante tutto, in famiglia (compresi i nonni) siamo davvero molto legati e anche se siamo distanti continueremo a volerci sempre un gran bene! Eccoci tutti insieme in una foto recente.

Adattarsi a una nuova vita, di Davide Russo II E

Nel 2011 mia zia Viviana Russo, la sorella di mio padre, ha vinto il concorso come notaio e si è dovuta trasferire nella sede che le hanno assegnato.

Inizialmente si è trasferita nelle Marche, ma, poi, per avvicinarsi a Napoli, ha deciso di accettare il trasferimento ad Anagni, in provincia di Frosinone.

Questa foto, datata ottobre 2014, è stata scattata da mia zia dalla finestra della sua nuova casa uno dei primi giorni dopo il trasferimento. Si vede il centro storico di Anagni (fr), il nucleo antico del paese, con la cattedrale sulla sommità della collina e gli edifici storici intorno.

Quando mia zia dopo la laurea ha deciso di studiare per diventare notaio, sapeva che si sarebbe dovuta trasferire da Napoli, almeno per i primi anni, ma non sapeva che sarebbe stato difficile ambientarsi, né che nel frattempo sarebbe nata mia cugina e che, quindi, avrebbe dovuto anche occuparsi di lei.

Infatti, quando ha avuto come sede Anagni, è stata molto felice, perché sua madre (mia nonna) avrebbe potuto raggiungerla più facilmente ed aiutarla.

All’inizio non è stato facile perché ha dovuto cambiare stile di vita. Infatti, si è dovuta abituare a vivere in un paese, dove tutti si conoscono e non vedono bene i nuovi arrivati e dove hanno un ritmo di vita più lento. Inoltre, spesso, si sentiva molto sola e non aveva compagnia, specialmente quando mio zio doveva rientrare a Napoli la domenica per il suo lavoro. Lei, però, non si è abbattuta e si è impegnata per farsi accettare dagli abitanti e per farsi conoscere come notaio.

La foto, del 2014, é stata scattata da mia zia Viviana e riproduce l’interno del suo studio e i suoi strumenti di lavoro. Come si può osservare dall’immagine, lo studio è antico, in quanto mia zia lo ha rilevato da un anziano notaio di Anagni, che ha lasciato tutto l’arredamento, inclusi quadri e mobili.

Questa foto dell’ottobre 2014, che può sembrare un po’ strana, è stata scattata da un collaboratore di mia zia quando lei, appena trasferitasi ad Anagni, ha ritirato il sigillo dal consiglio dell’ordine dei notai di Frosinone ed ha iniziato a lavorare. La foto è stata scattata in auto mentre tornavano allo studio ed è custodita da mia zia per ricordare quel particolare momento.

Sicuramente è stata aiutata, nell’inserimento in questa nuova realtà, anche dal fatto che ha conosciuto le altre mamme che, come lei, avevano i figli all’asilo.

Oggi mia zia, a distanza di dieci anni, si trova molto bene e non vuole tornare a vivere stabilmente a Napoli. Innanzitutto, lei apprezza i maggiori guadagni che ha per il suo lavoro e che a Napoli non avrebbe in quanto ci sono molti più notai.

Inoltre, anche se a volte le manca stare con noi o avere tutte le comodità alle quali siamo abituati in città, apprezza i benefici di vivere in un piccolo centro, come la tranquillità, i ritmi rilassati, la possibilità di andare a fare delle passeggiate in campagna la domenica e di conoscere tutti.

Ecco, per concludere un bel ritratto della zia Viviana.