Ritratti di famiglia: dall’intervista alla storia attraverso le immagini degli archivi privati

Introduzione di Valeria De Laurentiis ai laboratori della II E

Fotogramma dal film Memory box, 2021

Dopo un anno di silenzio, riprende il Progetto Sguardi e storie con una prima e una seconda classe dell’Istituto di istruzione secondaria di 1°grado Viale delle Acacie di Napoli.

Linee guida, finalità della public history e documentazioni delle annualità precedenti reperibili sul sito del progetto, realizzato da Letizia Cortini – competente, entusiasta, disponibile regista delle attività – mi permettono di sorvolare sulle questioni metodologiche di fondo e arrivare a qualche riflessione sulla sperimentazione dell’anno in corso.

Con la classe 2 E, ho avviato, già dal mese di dicembre, un laboratorio che è partito dall’intento di costruire, mettendo a frutto l’attività appena conclusa per imparare a descrivere persone con la scrittura, ritratti di famiglia seguendo una scaletta di lavoro che prevedeva:

  • Scelta del soggetto
  • Ricerca e scelta di fotografie dagli archivi di famiglia e/o produzione di scatti funzionali all’obiettivo
  • Schedatura delle foto
  • Intervista al diretto interessato o a un testimone indiretto
  • Costruzione di un racconto utilizzando scrittura e fotografie.

Potrebbe sembrare poco, ma per dei ragazzini di dodici anni è un’impresa soprattutto sul piano dell’acquisizione di un metodo di lavoro ordinato e coerente e di principi organizzativi delle tecnologie di archiviazione. Stupisce sempre che i cosiddetti nativi digitali, anche dopo due anni di utilizzo forzato del pc, mostrino tante resistenze ad esplorare e fare propri i numerosi strumenti di studio ed elaborazione dei contenuti che la tecnologia offre. Qui è stato determinante l’incalzante e costante richiesta del docente (cioè la scrivente che ancora i suoi alunni staranno maledicendo!) di completare le consegne, precisare dettagli, rivedere testi, ecc.

Un laboratorio di questo genere insegna innanzitutto la pazienza necessaria affinché tutte le tessere del mosaico vadano a posto: la realtà della fonte orale (intervista) e di quella visiva (foto) inchiodano all’esattezza della narrazione.

Il primo elemento significativo di questo laboratorio è stato proprio l’incontro con la fonte orale: l’intervista. La maggior parte degli alunni ha dichiarato, a esperienza conclusa, che è stato bello intervistare il testimone diretto o indiretto; i testimoni a loro volta si sono commossi, emozionati o almeno divertiti per essere stati coinvolti.

Di recente Chiara Ottaviano, nel webinar sui laboratori di public history (1) ha sottolineato che la raccolta di fonti orali offre occasioni “- per il coinvolgimento e la partecipazione delle comunità; – per promuovere e motivare il confronto intergenerazionale”. È stato proprio così: parenti anche lontani, intere famiglie si sono mobilitate per cercare di rispondere alle domande dei ragazzi a loro volta invitati a prendere nota delle risposte, a intrecciare presente e passato.

Siamo partiti da uno schema semplice di intervista, individuando le domande essenziali e accordandoci sulla necessità di lasciarne scaturire altre dalle fonti iconografiche scelte. 

La scelta delle foto è stato un altro momento di coinvolgimento dell’intera rete parentale. Sono state ritrovate scatole dei ricordi, si sono sfogliati album per cercare scatti che a volte aprivano orizzonti per nuove domande, altre volte potevano autenticare il racconto. In alcuni casi i ragazzi hanno realizzato foto di oggetti, documenti, cimeli di famiglia, quasi a costruire una piccola memory box intorno al soggetto (2). La schedatura delle fonti iconografiche individuate è stata fondamentale per accedere alla loro natura documentaria a più livelli: personale, collettivo, sociale, affettivo.

La datazione dello scatto, precisa o approssimativa è risultato un elemento da perseguire; aveva ragione R. Barthes quando scriveva: “La data fa parte della foto non già perché denota uno stile ma perché induce a fare mente locale, a considerare la vita, la morte, l’inesorabile estinguersi delle generazioni” (3). Aggiungeva però che non deve per forza assumere una via nostalgica, ma quella della certezza perché ratifica ciò che ritrae. 

Pensando al lavoro svolto con i ragazzi sulle foto, ai loro commenti, mi viene in mente il metodo utilizzato da A. Ernaux, nella sua autobiografia, Gli Anni. Nelle pagine finali del libro, l’autrice spiega la funzione delle foto che descrive all’interno del testo per introdurre i periodi della sua vita: “fermi-immagine della memoria e allo stesso tempo resoconti sull’evoluzione della sua esistenza, ciò che l’ha resa singolare, non in virtù degli elementi esterni della sua vita (traiettoria sociale, professionale) o di quelli interni (pensieri, aspirazioni, desiderio di scrivere), ma per la combinazione degli uni e degli altri, unica in ciascun individuo” (4).

Completata la schedatura, è stata avviata la costruzione del racconto-ritratto utilizzando i due strumenti, scrittura e fotografia, come complementari : la prima capace di spiegare quello che la seconda offre ai nostri sensi simultaneamente, nel com’è, o nel come è stato (5).

Spesso sono stati utilizzati gli archivi di film, per contestualizzare dal punto di vista della rappresentazione, anche di propaganda, il periodo storico in questione. Abbiamo cercato e in alcuni casi utilizzato video tratti dai canali youtube dell’AAmod (https://www.youtube.com/@AAMODAAMOD) e dell’Istituto Luce (https://www.youtube.com/@luceperladidattica9571)

Ogni racconto ha poi declinato questa complementarietà in maniera diversa. Qualcuno, me compresa, ha lasciato narrare il testimone proponendo proprio l’intervista; altri hanno costruito un ritratto che si potrebbe definire celebrativo del soggetto scelto, talvolta incontrando esplicitamente segmenti della macro-storia che hanno reso obbligatoria una riflessione non facile nel confronto tra i racconti storici accreditati e il vissuto personale all’interno della famiglia.  In ogni caso però l’evidenza della fonte visiva è stato un richiamo alla memoria collettiva ritrovata in quella individuale. In questo senso credo che un laboratorio di public history, anche il più semplice, restituisca sempre la dimensione vissuta della storia.

Infine, soprattutto in questi ritratti di famiglia, la consapevolezza di star facendo memoria, scritta e visiva, di quello che non c’è più o che non ci sarà più, ci ricorda, come osservava Barthes, che la storia è anche sempre un’attestazione d’amore.

Note

1 Si veda sul canale youtube Public history education Lab, il webinar “Public history a scuola: https://www.youtube.com/watch?v=BLx31EixC_g, in particolare gli interventi di Chiara Ottaviano e Pamela Giorgi. Quest’ultima cita anche un progetto educativo basato sulla costruzione e l’uso delle memory box, più avanti citate.

2  Ho proposto ai ragazzi, avendone discusso anche con Letizia Cortini, la visione del bel film Memory box, di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, Francia 2021 cercando di guidarli sui linguaggi e sull’uso dei documenti di famiglia per costruire un film di fiction, Il film è piaciuto, più di quanto immaginassimo.

3 R Barthes, La camera chiara, Einaudi 1980, pag. 84

4 A. Ernaux, Gli anni, L’ Orma Editore 2005, pag 263

5  M. Smargiassi, La cordiale inimicizia tra parole e fotografia, blogautore.repubblica.it, 18/5/2016 https://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2016/05/18/la-cordiale-inimicizia-tra-parole-e-fotografie/ (marzo 2023)

Si parte!

Riparte il progetto Sguardi e storie nella scuola secondaria di primo grado Viale delle Acacie di Napoli.

Siamo così alla terza annualità e possiamo dire che la didattica delle fonti audiovisive e fotografiche, l’analisi delle stesse per la scoperta della storia, degli immaginari storici e il loro uso e riuso in nuove narrazioni storiche e personali sia entrata ormai a far parte dell’offerta formativa di questo istituto.

Nelle due edizioni precedenti il progetto, ideato e curato da Letizia Cortini, esperta di fonti audiovisive e del loro utilizzo nella loro didattica, ha previsto un segmento formativo per i docenti che, parallelamente, hanno organizzato laboratori nelle classi partecipanti (il primo anno limitati a tre classi e seguiti personalmente dalla nostra esperta; nel secondo anno gestiti dai docenti contemporaneamente alla formazione, con la guida dell’esperta). I risultati di questi due anni di lavoro sono consultabili in questo sito e sono stati presentati, insieme al sito realizzato da Letizia, ogni anno in un evento finale.

Quest’anno, non è stato possibile finanziare la formazione, ma poiché questo progetto di public history e di educazione a una cittadinanza consapevole ed attiva è parso irrinunciabile, si cercherà di sperimentare ancora una diversa modalità per portarlo avanti. Tra gli obiettivi del progetto, sin dalla sua prima edizione c’era anche quello di rendere a mano a mano sempre più autonomi gli insegnanti.

Le docenti partecipanti quest’anno proveranno quindi a gestire in autonomia i laboratori sulla base della formazione ricevuta negli anni precedenti e sostenendosi nelle diverse fasi progettuali.

Letizia, come sempre disponibile e generosa, ha proposto di incontrarci in qualche occasione, quando necessario, e di seguirci, per quanto possibile, a distanza.

A dicembre 2019, prima delle festività natalizie, noi insegnanti ci siamo incontrate per fare un primo punto della situazione. Le classi partecipanti all’edizione di quest’anno scolastico, dovrebbero essere per il momento: la 2 A e la 3 A; la 1 E e la 2 E; la 3 D; la 1 M; la 1 G e la 2 M; forse anche una classe della sezione F.

Incontro di dicembre, Alessandra, Antonella ed Anita

Solo una delle docenti non ha seguito la formazione in nessuna delle due annualità precedenti. Per la maggior parte delle classi l’orientamento è di proseguire il percorso di Sguardi e storie partendo dagli archivi fotografici di famiglia per ricostruire microstorie dell’età contemporanea, anche in base a temi ed esperienze e non esclusivamente in modo cronologico lineare. Alcune docenti invece sono intenzionate a seguire le indicazioni del progetto Cine Foto Educa che l’anno scorso, una classe, ha potuto sperimentare. Il progetto, realizzato da Luce per la Didattica e dall’Archivio storico Luce Cinecittà, proposto da Patrizia Cacciani, responsabile Ufficio studi e ricerche Archivio storico Luce Cinecittà (tra i patrocinatori insieme alla Società Napoletana di Storia Patria e all’AAmod delle due edizioni precedenti), si propone di diffondere il linguaggio cinematografico e fotografico nelle scuole di ogni ordine e grado all’interno delle attività curricolari. Il sito è ricco di materiali e proposte per i laboratori!

Incontro di dicembre, Bernardina, Vania ed Alessandra

Incontro di dicembre, Vittoria e Bernardina

Si tratterebbe quest’anno per le classi partecipanti di ritagliare tematiche legate non necessariamente o non solo a scatti tratti dagli archivi di famiglia, ma anche realizzati dai ragazzi stessi o dai familiari per narrare momenti, esperienze, realtà del loro presente, o dei territori in cui vivono.

Individuate queste due piste di lavoro, nell’incontro si sono esplorati, almeno in parte, i due siti di riferimento per prendere spunti dalle esperienze precedenti e inventariare i numerosi strumenti utili reperibili. Si è discusso della centralità in entrambi i percorsi progettuali del linguaggio specifico fotografico e filmico e quindi si è deciso di proporre, ciascuno nelle proprie classi, una presentazione delle attività attraverso l’esplorazione dei siti e utilizzando i materiali forniti, soprattutto le guide, per presentare, commentare, scoprire insieme ai ragazzi le caratteristiche specifiche delle immagini fisse o in movimento di cui sono grandi produttori. Come negli anni precedenti tutte le docenti sono state d’accordo sulla necessità e anche sull’importanza del coinvolgimento delle famiglie che sono state validissimi sostegni e che hanno accolto con entusiasmo e partecipazione il progetto in entrambe le edizioni precedenti.

Incontro di dicembre, strumenti di lavoro

La motivazione non manca, ma serpeggia anche l’incertezza sui risultati possibili come può immaginare chi lavora con i ragazzi ed è allenato ad adeguarsi ai tempi, alle diverse abilità, alle personalità e agli ostacoli che si impongono nel seguire, affiancandosi e non prevaricando, le loro modalità di produzione.

Valeria con una delle classi partecipanti

Se i risultati verranno e saranno adeguati a far vivere ancora questo sito, si spera che tutti quelli che ci hanno seguiti con interesse e simpatia negli anni precedenti non ci abbandonino e continuino ad arricchirci con le loro osservazioni e contributi!

Valeria De Laurentiis

 

Le riflessioni conclusive dei ragazzi della III E, a cura di Valeria De Laurentiis

Dalle risposte all’esercizio_conclusivo somministrato ai ragazzi della 3 E, al termine della II edizione del progetto “Sguardi e storie”, si possono rilevare dati e proposte.

Quasi tutti i ragazzi vedono nella fotografia un modo per fermare, immortalare il presente; riconoscono il valore del ricordo e sono preoccupati della perdita della memoria sia di famiglia sia storica. Qualcuno sente più forte il valore emotivo dello scatto o il suo legame con la storia, come fonte e documentazione.

Scrivono della fotografia:

“Rende il soggetto ritratto un pezzo di storia” (Benedetta)

“E’ un modo di “affermarsi” nel tempo attraverso un’immagine anziché delle parole” (Vittorio)

“(…) uno scatto è una data sulla linea del tempo della nostra vita” (Karola)

“Per me la fotografia è il modo per conservare un’emozione” (Adriano)

“la fotografia mi piace perché attraverso uno scatto riesco a far vivere alle persone molte emozioni” (Aurelio)

“La fotografia per me è aperta quasi a tutti ed è un modo efficiente di documentare” (Lorenzo)

“La fotografia è il mezzo attraverso il quale catturiamo momenti (belli o brutti) che vogliamo conservare per sempre” (Sara P.)

Al cinema vanno poco sebbene ne riconoscano l’importanza. Vedono più spesso film in casa, ma soprattutto serie di cui raccontano nel dettaglio le trame.

Del cinema scrivono:

“Il cinema per me è uno strumento che ci permette di vedere altre vite ma soprattutto altri modi di vivere” (Chiara)

“Il cinema per me è come un libro in movimento. Ti riesce a far vivere più vite, anche solo attraverso l’osservazione” (Francesca)

“Per me il cinema può essere definito “la rappresentazione della vita “di ognuno di noi e spesso ci dà insegnamenti”. (Karola)

“E’ il modo in cui gli uomini provano a trasmettere emozioni vere anche su fatti inventati”

(Sara P.)

“Il cinema è un importantissimo mezzo per far passare messaggi che il regista pensa siano importanti, ma è anche importante per la propaganda; infatti fu utilizzato durante il fascismo” (Vera)

“Il cinema è un modo per aprire la mente a nuove conoscenze mediante l’uso dello schermo “(Benedetta)

Fotografano spesso: paesaggi, facce buffe, persone di famiglia, amici, animali. Grazie al progetto Sguardi e storie, descrivono i loro scatti quasi tutti indicando i termini del linguaggio specifico fotografico. Si pongono il problema di come salvare le foto: alcuni su cloud, altri le salvano su pc e ipotizzano anche di stamparne alcune (ma lo avranno già fatto o è solo un proposito? Temo che con il tempo ci troveremo in un deserto digitale se alcuni formati non saranno più compatibili con i pc di nuova generazione)

Non prendono in giro gli amici con le foto, scherzano qualche volta ma solo se l’altro accetta lo scherzo. Non tutti condividono la moda dei social (o forse non lo confessano); qualcuno riconosce l’importanza dell’intimità e segnala i rischi di un uso superficiale della rete.

Sui cellulari archiviano tantissime foto e video (addirittura 7000 foto in un caso!) ma non molti dichiarano di avere grande passione per la fotografia e di preferirla come mezzo espressivo. Sarebbe interessante capire quindi perché fotografano tanto o meglio l’atto del fotografare quali significati assume. Uno spunto per ulteriori ricerche!

Quasi tutti sono interessati alle foto scattate dai genitori e in famiglia; in genere, solo uno dei due è l’addetto alla documentazione degli eventi o dei viaggi utilizzando anche macchine fotografiche.

Solo per alcuni associare le foto agli argomenti di studio è utile, soprattutto per le materie scientifiche.

Tutti hanno foto a cui sono legati; si tratta di scatti legati all’infanzia, ai nonni, ai fratelli, alle sorelle e agli animali.

A proposito del legame con le foto:

“Molte delle foto a cui sono legata raffigurano me con una persona o un animale che non c’è più. Queste sono alcune delle foto a cui tengo di più credo perché me li ricordano, uno degli scopi primari della fotografia. Oppure mi piacciono foto che rappresentano momenti della mia vita; esperienze, felici o tristi che siano, sono sempre un ricordo e ricordare attraverso immagini è più efficace perché ti ricordi il luogo e quello che stavi facendo con quella persona. Nel mio caso una foto molto importante è il mio primo selfie, scattato con il primo cellulare che ho posseduto, con mio nonno, nel giorno del mio compleanno, in una pizzeria a Solopaca. Quella foto è molto importante non solo perché mi ricorda mio nonno, ma perché solo guardandola, mi ritrovo al mio compleanno di quattro anni fa. Pensando a questo devo dire che le foto hanno un grande potere” (Sara C.)

Molti non prestano grande attenzione alle immagini pubbliche e trovano quelle pubblicitarie troppo artefatte e lontane dalla realtà, soprattutto quando propongono modelli ideali di bellezza.

Tutti sono entusiasti del Progetto “Sguardi e storie” perché hanno conosciuto la loro storia famigliare, hanno collaborato con genitori e parenti, hanno scoperto storie personali e collettive. Hanno apprezzato anche molto le storie dei compagni, riconoscendole come fonti preziose di conoscenza storica.

Scrivono del progetto:

“E’ molto interessante perché ha coinvolto tutta la mia famiglia nella ricerca dei ricordi” (Simone)

“Credo che questo progetto sia molto interessante; ci ha fatto conoscere meglio le nostre fondamenta, facendoci capire che la storia siamo noi e, anche se partendo da una semplice foto, la stiamo scrivendo. Ci ha mostrato anche come i paragrafi dei libri di storia non sono soltanto banali parole, ma parole che raccontano la nostra storia; ho realizzato che tutto quello che leggo in quelle pagine ci appartiene pienamente” (Karola).

“Credo che questo progetto sia stato molto importante anche perché ho scoperto storie della mia famiglia che non mi avevano raccontato. Inoltre è anche un modo per collegarsi alla Storia e conoscerne dettagli che magari non vengono scritti sui libri” (Federica).

“La ricerca di Sguardi e Storie mi è piaciuta molto perché mi ha fatto scoprire cose del passato che non sapevo e poi l’ho trovata interessantissima perché ho potuto leggere le storie di tante persone diverse (Carolina)

“Ho ritenuto molto importante questo progetto; un modo di scoprire dettagli del passato che ignoravo; mi ha fatto rendere conto di quanto la storia ci sia vicina” (Benedetta)

Tra i suggerimenti per migliorare il progetto, alcuni spunti interessanti: prolungare le attività nel pomeriggio; prevedere interventi di esperti in classe; poter seguire il lavoro in tutte le sue fasi, anche quella di costruzione del sito web; effettuare visite ad archivi fotografici, inserire un corso di fotografia, coinvolgere altre scuole.

La maggior parte vede in tv e sul web immagini che raccontano storie del presente soprattutto tragiche. Molti fanno riferimento al telegiornale.

“Molte volte mi capita di vedere video in cui famiglie separate, a causa delle guerre attuali, si ritrovano. Quei video sono capaci di infondere dentro di me tantissime emozioni e rimangono impressi dentro me come un pennarello indelebile” (Vittoria)

Carente per tutti la risposta sulle istituzioni che si occupano di conservare le fotografie; hanno fatto riferimento preciso solo all’Istituto Luce. Me ne prendo tutta la responsabilità perché ho trattato genericamente l’argomento e necessito io stessa di una formazione più approfondita. Mi piacerebbe anche studiare a fondo il linguaggio cinematografico.

Le storie più votate sono state: 1) Oma, di Vera Ippolito, 2) a pari merito Il quinto dei Giacomo Randazzo, di Francesca Randazzo; Cronache di guerra, di Lorenzo Capano; 3) Buonasera nonno! di Carolina De Vivo.

Qualche osservazione a margine

Diversi sono gli spunti di riflessione che si possono trarre dalla valutazione di questo questionario e dall’esperienza di due anni di formazione come docente:

  • È necessario approfondire il significato e la funzione che le immagini, fisse e in movimento, stanno assumendo nei campi della conoscenza delle nuove generazioni.
  • Bisogna formare, anche gli adulti, ad una pratica della conservazione delle immagini digitali che preveda l’uso di tipi di file non deteriorabili, la stampa degli scatti più significativi, la raccolta, ecc
  • Lo studio del contemporaneo non può fare più a meno di una educazione visiva e dello sviluppo di competenze di contestualizzazione
  • Va introdotto nelle scuole anche lo studio della storia della fotografia e del cinema e la conoscenza delle istituzioni, degli archivi pubblici e privati che ne curano la raccolta e la conservazione
  • Lo studio delle immagini fisse o in movimento, il loro riuso, la loro produzione, l’utilizzo di strumenti per la loro elaborazione, l’approfondimento del linguaggio specifico e quindi una fruizione consapevole sono anche una delle vie attraverso cui mettere le basi per un “umanesimo” che finalmente ci permetta di sostanziare, con contenuti personali, collettivi, sociali la rivoluzione tecnologica che, sebbene prodotta da noi, spesso ci appare un’entità capace di dirigerci e sopraffarci.

Riconoscersi e stupirsi, di Letizia Cortini

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“Riconoscersi e stupirsi”. Questo il titolo che si potrebbe dare all’incontro conclusivo della II edizione del progetto “Sguardi e Storie”, presso la Società Napoletana di Storia Patria a Napoli, il 21 maggio 2019.

Un pomeriggio festoso, allegro, oltre chiassoso, quello trascorso martedì scorso, nella sede di uno dei più prestigiosi istituti culturali della Campania, e non solo.

 

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Ancora grazie alla Presidente, Renata De Lorenzo, al Vicepresidente, Giovanni Muto e a tutto lo staff della Società napoletana di storia patria.

 

Oltre 300 tra ragazzi, famigliari, amici, studiosi, docenti presenti. I protagonisti assoluti sono stati loro, i ragazzi delle 9 classi dalla I alla III media, della scuola media Viale delle Acacie di Napoli.

Giovanni Muto ha accolto tutti con un caloroso benvenuto, quindi con un breve racconto e qualche aneddoto sulla gloriosa Società di studi e ricerche e sul suo prezioso patrimonio, che aspetta di essere scoperto, consultato, usato, valorizzato anche dai ragazzi più giovani, dalle scuole, oltre dagli studiosi e dagli studenti universitari.

Concetta Damiani, archivista e docente all’Università di Salerno, ha ribadito l’importanza degli archivi famigliari e di persona, nonché d’impresa per la storia di Napoli e del Meridione. Ha inoltre segnalato due importanti archivi di immagini per la storia della città, l’Archivio Parisio e l’Archivio Riccardo Carbone, a disposizione anche questi delle scuole e di iniziative didattiche e formative. Ha potuto inoltre con stupore ritrovare, grazie a uno dei racconti dei ragazzi, Il quinto dei Giacomo Randazzo, una sua nipote e apprendere parte della storia anche della sua famiglia!

Patrizia Cacciani dell’Archivio storico Luce Cinecittà ha fatto presente quanto il patrimonio del Luce sia trasversale a ogni tipo di storia, da quella più privata a quella collettiva, italiana e mondiale. Ha quindi ipotizzato una sinergia più stretta con Napoli e la scuola, a partire dal prossimo anno, in particolare su un altro progetto di Luce per la didattico, come più avanti indicato. Ha inoltre invitato per la III edizione di Sguardi e Storie a concludere e presentare i risultati del progetto a Roma, a Cinecittà.

Si è fatto quindi riferimento al prezioso patrimonio della Fondazione Aamod – Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, con il suo sguardo militante sulla storia del Novecento e del Duemila.

 

Le professoresse, Valeria De Laurentiis e Antonietta Gioia, sono intervenute a nome anche delle altre colleghe che hanno partecipato attivamente a questa edizione (Anna De Vivo, Alessandra Di Giovanni, Michela Mazzotti, Vittoria Zambardino). Le docenti, non nascondendo la loro commozione, hanno riconosciuto un forte valore educativo a Sguardi e Storie, che quest’anno si è misurato con ben 9 classi: 4 prime, una seconda e 4 terze medie. Sono state ricostruite le fasi principali dell’iniziativa, riportate anche nel Diario di lavoro dell’attuale anno scolastico, evidenziando alcune diversità nella metodologia. Rispetto all’edizione precedente gli incontri di formazione si sono svolti esclusivamente con gli insegnanti, che hanno realizzato autonomamente i laboratori con i propri ragazzi, mettendo in pratica quanto appreso, sperimentato, elaborato, discusso durante i seminari, svolti con la sottoscritta.

Antonietta Gioia ha ripercorso velocemente i temi principali affrontati dagli alunni nelle loro storie e fotografie di famiglia. La docente ha con stupore constatato come un progetto di questo tipo abbia sortito l’effetto, tra gli altri, di avvicinare o riavvicinare alcune famiglie, così i ragazzi ai propri parenti.

E’ stata sottolineata l’importanza del progetto anche dal punto di vista sentimentale, dell’impatto emotivo per i ragazzi e i loro famigliari, grazie anche allo sviluppo delle capacità di ascolto, di attenzione, di riflessione attraverso la scoperta e l’elaborazione delle memorie private,  non solo personali. Attitudini che hanno portato la maggior parte dei ragazzi ad una più matura consapevolezza del proprio ruolo attivo all’interno di diverse comunità (famiglia, scuola, la propria città, il nostro paese, altri paesi).

Valeria De Laurentiis ha illustrato alcune sezioni del sito, scoprendo la ricchezza dei materiali e delle esperienze, i cui risultati, dopo due anni di lavoro, sono consultabili e accessibili attraverso una interrogazione semplice e intuibile, per categorie e parole chiave, oltre per indici, nelle pagine dedicate alle narrazioni delle diverse classi. Ha mostrato anche la sezione dei racconti ospiti, abitata dai testi di persone esterne alla scuola, che hanno voluto partecipare al progetto.

E’ stato ricordato l’approccio metodologico innovativo del progetto, focalizzato sull’uso e l’interrogazione delle fonti fotografiche e audiovisive, quindi sulla ricerca di altre fonti, sia nel web sia negli archivi di famiglia, infine nel riferimento costante agli eventi storici più generali, proposti nei manuali di storia, ma anche a temi e questioni del Novecento affrontati nei romanzi, nelle opere d’arte, nel cinema, con la consultazione di fonti diverse, sia primarie sia secondarie.

E’ stato illustrato l’avvio di una sperimentazione con la classe I E, da parte di Valeria De Laurentiis, che ha lavorato con i ragazzi “più piccoli” alla costruzione di un percorso specifico sull’uso del linguaggio fotografico, per fornire agli alunni strumenti di indagine e di narrazione diversi. Gli alunni di prima hanno potuto scoprire, documentare e rappresentare eventi della propria vita quotidiana sociale, secondo le metodologie proposte da Foto Educa, un progetto avviato quest’anno da Luce per la didattica, che sarà esteso e diffuso soprattutto a partire dal prossimo anno scolastico, rivolto in particolare alle scuole primarie e alle prime classi della scuola d’istruzione secondaria di I grado.

Sono state quindi avanzate alcune proposte per l’edizione futura del progetto: dall’idea di fare rete estendendo il progetto ad altre scuole della città, a quella di un gemellaggio con scuole di altre città e regioni, all’ipotesi di una collaborazione con il carcere minorile di Nisida, alla sperimentazione di nuovi percorsi, come il racconto della storia del passato, ma anche del presente, di Napoli, collaborando con altre istituzioni culturali, partendo sempre dalla documentazione fotografica e audiovisiva.

 

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Infine, i ragazzi si sono avvicendati nella sala Galasso della Storia patria, per raccontare la loro esperienza durante lo svolgimento del progetto. Per i più è stato sorprendente “fare la conoscenza” di famigliari, nonni, bisavoli, trisavoli, zii, di cui finora avevano ignorato l’esistenza. Vederli nella loro fisicità rappresentati nelle fotografie custodite in scatole, cassetti, album a casa dei genitori, più spesso dei nonni, ha significato per loro soprattutto scoprire la storia, a cominciare da quella raccontata nei loro manuali. Dal Risorgimento, all’unità d’Italia, alla Belle Époque, alla Prima guerra mondiale, al Fascismo, alla conquista dell’Impero, alla guerra d’Etiopia, alla Seconda Guerra Mondiale, alla Resistenza, alla Ricostruzione, allo sviluppo economico, commerciale, industriale del paese, alla sua più diffusa alfabetizzazione negli anni sessanta, ai rapporti con gli altri paesi, alla guerra fredda e al boom economico, all’emigrazione dalla campagna alla città e in altri paesi, all’accesso a mano a mano maggiore all’istruzione universitaria, alla storia della scuola, alla storia della moda, dei costumi, dei viaggi, alle vacanze … alle storie dei sentimenti: i ragazzi e le loro famiglie hanno scoperto con stupore e restituito con i loro racconti e immagini la storia del Novecento a partire dal proprio privato che si è fatto collettivo.

Al termine degli interventi Patrizia Cacciani e Letizia Cortini hanno consegnato a ciascuna classe e a ciascuna docente un premio: film documentari e di animazione di carattere storico prodotti e distribuiti in gran parte dall’Istituto Luce e dall’Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico.

Si vuole concludere questa sintesi con la riflessione e il saluto dello storico Marcello Ravveduto, che non ha potuto essere presente all’incontro di quest’anno:

“Cari ragazzi,
Anche nella seconda edizione di Sguardi e Storie si conferma e si amplia la vostra capacità di raccontare la storia italiana attraverso il vissuto familiare. Donne e uomini che hanno i volti dei vostri bisnonni, nonni, zii o genitori. Immagini, inquadrature e contesti che vi avvicinano ad un mondo solo in apparenza lontano, ma che in realtà, guardando una fotografia, diventa “familiare” così come la storia che ha attraversato quelle vite.
Sguardi e Storie è un progetto di Public History che ha una triplice valenza: insegna la storia avviando gli studenti all’interpretazione delle fonti audiovisive; spinge le ragazze e i ragazzi ad intraprendere una ricerca come fondamento del pensiero critico; dimostra con le immagini che ogni storia è la nostra storia, ovvero la storia delle italiane e degli italiani dentro e fuori il nostro paese.
Ma soprattutto questo progetto riafferma anche quest’anno che la Public History, coniugata al sapiente uso pubblico delle fonti mediali, è un eccezionale strumento di didattica che restituisce protagonismo e ruolo sociale alla storia appassionando i cittadini del domani e formando nuove generazioni di storici digitali. Buon lavoro

Marcello”

Un’ultima indicazione: in calce ad ogni articolo pubblicato sul sito è possibile commentare, integrare, lasciare una riflessione.

 

Invito all’incontro conclusivo della II edizione del progetto Sguardi e Storie, Napoli 21 maggio 2019

Vi aspettiamo!

Grazie a tutti gli istituti che hanno promosso e patrocinato il progetto.

Un ringraziamento speciale alla Società Napoletana di Storia Patria, alla sua Presidente, Professoressa Renata De Lorenzo e allo staff della società, che ci ospiteranno il 21 maggio!

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Le narrazioni della I E, un percorso sperimentale

 

Con la classe I E quest’anno, grazie a un’idea della Professoressa Valeria De Laurentiis, si è pensato di testare un percorso laboratoriale differente da quello intrapreso dai ragazzi delle altre classi. Valeria De Laurentiis ha infatti annunciato e proposto, sin dall’inizio della II edizione del progetto, di voler provare a lavorare con i suoi ragazzi di I soprattutto sul linguaggio fotografico e sul rapporto tra questo e il linguaggio scritto e tra questi e le emozioni e le percezioni dei ragazzi, rispetto al mondo circostante, a partire dalla natura.

La Professoressa De Laurentiis da anni frequenta un laboratorio di scrittura. Anche per questo motivo ha voluto sperimentare questo approccio con i propri alunni di prima media.

Considerando tale proposito, Patrizia Cacciani, dell’archivio Luce e la sottoscritta hanno chiesto a Valeria De Laurentiis di sperimentare questo percorso con i ragazzi di I, utilizzando, e in tal modo testando, il progetto e i materiali di FOTO EDUCA. Un progetto elaborato nel 2018 nell’ambito delle iniziative di formazione di Luce per la Didattica, che sarà diffuso e attuato nel corso del 2019 presso vari istituti scolastici, tra Roma, Orvieto e Napoli e, forse, in alcuni comuni della Sabina (Lazio). Le finalità del progetto, rivolto in particolare agli ultimi anni della scuola elementare e al primo anno delle medie, sono consultabili a questo link.

I ragazzi della I E della scuola media Viale delle Acacie di Napoli, tra i vari percorsi laboratoriali di FOTO EDUCA hanno scelto quello relativo allo sviluppo delle competenze nella conoscenza e decodifica, nonché uso del linguaggio fotografico (inquadrature, piani, campi, e relative scelte espressive) e quello di documentazione fotografica di alcune loro esperienze, per la realizzazione di Diari fotografici (in cui immagini, riflessioni scritte, richiami e link ad altre forme espressive, come la pittura, si potessero integrare).

A seguire, in pdf, i lavori dei ragazzi, a mano a mano in incremento nei prossimi giorni.

Dettagli, di Michela Arena (vedi il pdf)

Una giornata particolare a Bojano, di Morena Monaco (vedi il pdf)

Gli amici, di Francesco Catalano (vedi il pdf)

Scattando fotografie nella villa Floridiana, di Dario Laferola (vedi il pdf)

Amici nel verde, di Lorenzo Guarini (vedi il pdf)

Io, i fiori e … l’immaginazione, di Roberta Sveldezza (vedi il pdf)

Ritratti all’aria aperta, di Marina Planeta e Sabrina Purcaro (vedi il pdf)

Le mie foto di documentazione di una giornata particolare, di Viola Punzo (vedi il pdf)

Il mio percorso, di Davide Minervini (vedi il pdf), a cura di Eva Granata, Dafne Giorgiano e Federica Ferrigno

Un pizzico d’amore_ momenti in famiglia, di Giovanna Terzi (vedi il pdf)

Il gusto di inquadrare, di Emanuela Caruso, Caterina Cristo, Giorgia De Marco, Marzia Musto (vedi il pdf)

Una  mattinata nel parco della Villa Floridiana, di Luigi Palladino (vedi il pdf)

Osservando e scattando …, di Alessandro Abbate, Fabrizio Nasti e Alessandro Resi (vedi il pdf)

Da piccola in spiaggia, di Giulia Pacifico [lavoro dedicato a un ricordo da piccola con il papà al mare], (vedi il pdf)

La mia famiglia in giro per il mondo!, di Giordana Blasi (vedi il pdf)

Nonni e bisnonni sudamericani, di Nicole Berbery (vedi il pdf)

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Ritratto di Morena, foto di Cristina, Bojano aprile 2019, I E

Raccontare e raccontarsi includendo i conflitti. Possibile?

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I temi dell’incontro di lunedì 8 aprile con le insegnanti erano stati annunciati in un post sulla pagina FB del gruppo Sguardi e Storie: si è parlato infatti di uso di fonti e memorie di famiglia per “fare” racconto, storia e letteratura e per riconciliarsi con la famiglia, con alcuni dei propri cari e la propria storia, ma anche … con se stessi. Nel discuterne con le insegnanti si è considerata l’opportunità di far riflettere i ragazzi sul fatto che le fonti fotografiche o filmiche di famiglia, i racconti relativi agli eventi famigliari escludano molte “zone d’ombra”. Come per l’inquadratura e la messa in scena nella realizzazione di una fotografia, o di un film, così nella scrittura e nei racconti autobiografici e di famiglia c’è sempre un punto di vista che include ed esclude, tra visibile e invisibile, e spesso quello che si esclude è il conflitto.

Considerando le narrazioni finora realizzate dagli alunni, alcune particolarmente efficaci e interessanti come testimonianze di memoria, si è constatato come il dolore, le circostanze tragiche e le difficoltà della vita effettivamente non siano stati negati nel raccontare soprattutto gli eventi più lontani dal vissuto dei ragazzi, come le storie relative alla guerra e al dopoguerra, con nonni e bisnonni protagonisti. Però, quasi mai emergono i conflitti. Invisibile nei racconti di famiglia restano i conflitti, i litigi, le incomprensioni, le violenze (di vario grado) consumate anche nelle famiglie più “insospettabili” (tra parenti, tra genitori e figli, tra fratelli, cugini, amici, colleghi …).

Già lo storico e sociologo Pierre Sorlin ha sottolineato questo aspetto, questa difficoltà o mancanza nel racconto storico nelle scuole: come far comprendere i conflitti ai ragazzi, come farli esercitare per risolverli, o per provarci, a partire dalla propria esperienza quotidiana? Lui ha indicato, a tal fine, più che lo studio della storia, il teatro come attività didattica più efficace alla messa in scena, quindi alla comprensione dei conflitti, rispetto allo studio stesso della storia, o all’uso delle immagini, delle fotografie come del cinema (qui il link al volume, Schermi di pace, a cura M. Bertozzi, pubblicato nel 2005 negli Annali dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, che contiene il saggio dove esprime queste sue considerazioni).

Si è passati dunque a fare esempi di “narrazioni di famiglia” diverse, sia per forme, sia per linguaggi, sia per intenti.

In Piccola città, una storia comune di eroina, della storica, autrice di programmi televisivi e documentarista Vanessa Roghi, fotografie, racconto intimo e autobiografico, ricordi, ricerca storica, uso delle fonti e dei ricordi privati oltre che pubblici si intrecciano con rara efficacia per ricostruire anche un fenomeno storico, sociale, politico, umano, nonché economico tuttora poco indagato. Qui una interessante recensione al volume.

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Vanessa Roghi in un post sul proprio profilo FB racconta l’esperienza di presentazione del suo libro in un carcere e scrive:

“Vado a parlare del mio lavoro di storica. Lo faccio a partire da Piccola città che è la storia di una figlia e di un padre, negli anni settanta e ottanta del 900. E’ la storia di un’assenza, di una distanza, della necessità di capire, della difficoltà di non voler giudicare né esprimere un giudizio.
Il mestiere del giudice e quello dello storico hanno elementi in comune, il concetto di prova riguarda entrambi, così come quello di fonte, non dovrebbe riguardare lo storico il giudizio, ma lo riguarda l’indizio. Di queste cose abbiamo parlato in carcere così come degli elementi che servono per raccontare la storia, propria quella degli altri.
Ne abbiamo individuati quattro:

il punto di partenza
il percorso
gli altri
la scelta. 

Uno solo non basta. Ma molti uno solo ne usano. La storia non serve ad altro che a indicare un metodo, per il resto, per la consolatoria idea che serva a non ripetere gli errori ho guardato tutti negli occhi e ho domandato: ma guardate dove siamo? se fosse come dite voi dopo l’omicidio di Abele sarebbe andato tutto liscio…”.

La scelta, potremmo aggiungere, di individuare e raccontare, senza giudicare (possibile?), anche i conflitti…

Molti sono i casi di autrici e autori di storie di famiglia pubblicate in proprio, o realizzate solo per essere fruite in ambito famigliare. Si tratta di nonni, zii, figli che vogliono ricordare i propri cari, la propria storia privata che si intreccia con quella pubblica, attraverso le fonti di famiglia più varie (lettere, diari, fotografie, testimonianze orali, ricordi personali). Spesso sono ricostruzioni edificanti, di passaggio del testimone per quanto riguarda valori, mentalità, scelte di vita, all’interno della comunità famigliare. Durante il corso abbiamo avuto la testimonianza di Umberto Mandara, abbiamo incontrato i testi di Maria Teresa Perone, di alcune professoresse, tra cui Valeria De Laurentiis, che da anni partecipa a un laboratorio di scrittura autobiografica, inoltre di un fan del progetto, scrittore e storico “amatoriale”  appassionato quale Domenico Borsella. Abbiamo iniziato ad ospitare anche i racconti di persone esterne alla scuola (nella sezione racconti ospiti del sito).

Abbiamo, in questo incontro, constatato come la letteratura autobiografica, a partire da quella di Annie Ernaux e Rosetta Loy, si intrecci con la storia senza trascurare i conflitti, nel raccontare storie personali e di famiglia, ma cercando “la giusta distanza” per proporli secondo uno stile e delle modalità in cui le scelte “tecniche” narrative (per esempio il modo di raccontare i fatti della Ernaux in terza persona, come ha fatto notare Valeria De Laurentiis) possano aiutare a svelare.

Abbiamo quindi visto il film di Alina Marazzi, Un’ora sola ti vorrei, del 2002, in cui il racconto di ricostruzione della vita della mamma della regista e della sua famiglia diventa letteratura per il linguaggio specifico che usa nel mettere in scena i film dell’archivio di famiglia ritrovati, anzi scoperti. A questo link un’intervista alla regista che spiega l’urgenza e le scelte del film. Nel film, al di là dei suoi intenti più generali ed emozionali, emergono i conflitti, nemmeno tanto sotto traccia, tra una figlia e la madre, tra la figlia e il padre, tra la protagonista e i suoi figli, nonché i conflitti interiori della protagonista.

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Il film e le sue modalità di raccontare hanno colpito le insegnanti che hanno iniziato a ricordare e a fare esempi anche di proprie esperienze difficili, nonché di quelli di persone a loro care.  

Certamente è stato ed è importante per i ragazzi e le loro famiglie salvaguardare le proprie memorie, conoscere le storie relative ad alcune persone delle loro famiglie,  attraverso le fonti private e non solo, immaginarle e trasfigurarle con la fantasia. Quindi identificarsi con i parenti/protagonisti, riconoscerli come modelli, punti di riferimento, e conoscere anche grazie alle loro vicende la storia che debbono studiare sui manuali. Sentirsi quindi parte di una famiglia più vasta di quella conosciuta forse finora, consolidando un senso di appartenenza… ma si è constatato che forse bisognerebbe provare anche ad andare oltre, quanto meno stimolando delle riflessioni a partire dalle storie quotidiane che riguardano i ragazzi, ogni volta che un episodio conflittuale modifica non solo le loro emozioni, ma la loro stessa identità e il loro approccio con la realtà che li circonda e la società in cui vivono.

Durante l’incontro si è quindi riflettuto sulla possibilità, nella prossima edizione dell’iniziativa, di provare a realizzare un gemellaggio invitando a partecipare al Progetto Sguardi e Storie per esempio i ragazzi del carcere di Nisida, oppure scuole di periferia a Napoli, dove i ragazzi e le loro famiglie sicuramente vivono realtà e hanno alle spalle storie ben diverse dalla maggior parte di quelle emerse dai racconti della scuola Viale delle Acacie al Vomero. Alcune insegnanti hanno per esempio raccontato le loro esperienze educative e didattiche precedenti, in scuole frequentate da figli di camorristi, di comuni delinquenti, da ragazzi poveri e disadattati i cui modelli di vita hanno finito per essere soprattutto quelli delle fiction come Gomorra. Ne è nata una discussione sugli intenti e l’opera di Roberto Saviano, non conclusa, che forse meriterebbe un approfondimento anche diretto con l’autore.

Si è infine ricordato che sarà opportuno iniziare a far svolgere ai ragazzi l’ “esercizio” conclusivo, la cui traccia, con domande mirate a cui rispondere, è stata pubblicata nel precedente report.