Rosalia, un secolo di storia, di Alessandro Rulli

Ho intervistato mia nonna Clara che ha 80 anni ed è la testimone più vicina alla mia bisnonna materna di nome Rosalia Flagiello, nata il 6 giugno 1914 a Napoli. Contrasse l’influenza spagnola e visse tutte e due le guerre mondiali. Apparteneva ad una famiglia molto numerosa, infatti aveva ben sei fratelli e due sorelle!!

In questo scatto del 1° dicembre 1965, sono ritratti a figura intera, da destra, mio nonno Urbano, mia nonna Clara, la bisnonna Rosalia e due sorelle di mia nonna, Rosa e Rosaria. La foto celebra il giorno in cui nonna Clara conseguì la laurea in giurisprudenza.

Durante la guerra la bisnonna Rosalia non ebbe particolari problemi per il cibo o economici perché aveva un marito funzionario di polizia e perché possedeva anche varie proprietà e terreni che le davano parecchi guadagni.

Infatti, si sposò il 15 luglio 1940 con Luigi Ferraro (nato a Napoli il 12 marzo del 1904). Il bisnonno Luigi, laureato in giurisprudenza, perseguì la carriera di funzionario della Pubblica Sicurezza. Vinse un concorso nel 1930 e fu nominato Vice Commissario Aggiunto di Pubblica Sicurezza e fu assegnato alla Questura di Milano. Dopo qualche anno chiese un trasferimento a Napoli e prestò servizio presso la questura ed il commissariato di P.S San Ferdinando. Nel 1939 ritornò a Milano e lavorò all’Ufficio Stranieri della Questura fino al 1943 e poi nei commissariati Greco-Turro e Duomo. Dal 29 gennaio 1945 fu in servizio a Porta Venezia.

Rosalia e Luigi si sposarono nella Basilica di Pompei. Questa foto è incorniciata e ne furono stampate varie copie da regalare ai parenti stretti. Rosalia indossa un bellissimo abito bianco e stringe un gran mazzo di fiori mentre Luigi indossa la divisa

Ebbero tre figlie: Clara, Rosa e Rosaria e si stabilirono a Milano.

Questa foto fu scattata dal bisnonno alla bisnonna a Milano, il 12 ottobre del 1942. La nonna comprò l’abito proprio per questa foto.

Purtroppo rimase sola dopo pochissimi anni. Suo marito fu prelevato il 30 aprile del 1945 dal suo ufficio del commissariato da un gruppo di uomini che dichiararono di essere partigiani della 117^ brigata “Garibaldi”.

Questo episodio deve essere inquadrato in quel momento storico, dopo la liberazione dai fascisti e dai nazisti delle principali città italiane, in cui in Italia c’era un clima di confusione come sempre accade dopo una guerra civile che aveva visto, con la Resistenza, i partigiani scontrarsi non solo con i tedeschi ma anche con gli italiani a loro alleati.

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Dalla rivista “Noi cittadini per la sicurezza. Organo ufficiale dell’associazione poliziotti italiani”, N. 3 del 2012, ho letto un articolo in memoria del bisnonno (In memoria del dott. Luigi Ferraro) che tenta di ricostruire la vicenda. Ne abbiamo anche parlato in classe anticipando argomenti che tratteremo l’anno prossimo. Abbiamo cercato di capire il ruolo della Resistenza nella liberazione dell’Italia dal regime fascista e dall’occupazione nazista, ma abbiamo discusso anche dello spargimento di sangue che una guerra civile, anche se sostenuta da ideali di libertà, comporta.

Comunque il bisnonno quel mattino, nonostante la bisnonna Rosalia, temendo per lui, lo avesse pregato di non andare a lavorare, ma di aspettare che la situazione si normalizzasse, si recò nel suo ufficio. Lì fu prelevato con la motivazione di chiarimenti necessari, ma da quel momento non è mai più ritornato. Iniziarono le ricerche ma tra i nomi nella lista delle persone prelevate dai partigiani il suo non compare. Nell’articolo si fa l’ipotesi che probabilmente era stato prelevato da una di quelle bande di delinquenti che approfittarono del clima difficile di quei giorni per compiere una vendetta personale. Di fatto non si è saputo più nulla di lui né è stato mai ritrovato il corpo. La bisnonna Rosalia ha, negli anni, sempre sperato e sollecitato ricerche.

Dopo essere rimasta vedova, la mia bisnonna, con due figlie piccoline (di 4 e 3 anni, di cui una era mia nonna) ed incinta della terza, si trasferì da Milano a Napoli, nel quartiere di San Martino. Era una donna esile e di bassa statura, era alta 1,58 m.

La mia bisnonna è morta il 27 agosto 2017, all’età di 103 anni.

Ho sempre pensato e voluto credere che abbia vissuto due vite, inseparabili nonostante il distacco: quella sua e quella dell’amato marito. Si scriveva ancora della sua scomparsa su Il giornale del mezzogiorno del 3-4 settembre 1949; mia nonna Clara custodisce ancora la pagina insieme al trafiletto pubblicato dopo la sua scomparsa ed io ho fotografato entrambi

Questo scatto è del 14 aprile 2010 ed è stato realizzato dalla badante della bisnonna, nella sua casa di Via Morghen. Ha uno sguardo furbetto, forse perché si è fatta immortalare fingendo di leggere poiché non ha gli occhiali da lettura che usava!

Qui invece siamo tutti riuniti per festeggiare il centesimo compleanno della bisnonna, il 6 giugno del 2014. Io sono il bambino con gli occhiali accanto a lei. Mi ricordo che, quando fu il momento di spegnere le candeline, noi bambini le demmo una mano.

Ancora un compleanno, il centoduesimo, 6 giugno 2016; la bisnonna è con me, mia sorella e mia madre. Arrivammo a casa sua per una festa a sorpresa; in qualche momento dimenticava che era il suo compleanno. Quando andavo a farle visita, nonostante l’età, era lucida; infatti non si ricordava giusto il mio nome, ma lo stesso era abbastanza “sveglia”. Quando le facevo compagnia, giocavamo spesso a carte, a giochi come scopa e burraco e mi batteva ogni volta!

A distanza di quasi settant’anni, nel 2012, sulla rivista ufficiale della Polizia di Stato, venne pubblicata la notizia che una giovane funzionaria di pubblica sicurezza era stata assegnata alla Questura di Milano. Si trattava della nipote del commissario Luigi Ferraro, mia mamma, che ha seguito le orme di suo nonno, facendo rivivere la sua memoria ed il suo caro  ricordo in tutti noi.

Carri armati che passione! , di Vittorio Conte

Ecco, questo è mio nonno materno , Giuseppe Capasso, ora alla bella età di 79 anni.  La foto è stata scattata da mia madre, ad Avellino nel 2023. Era il giorno del suo compleanno: era felice di trascorrerlo con moglie, figli e nipoti

Mio nonno ora fa una vita da classico pensionato che vive in paese. Infatti lui vive ad Avellino insieme alla sua inseparabile moglie di nome Assunta ma soprannominata da tutti Susi!

Tornando all’attuale vita di mio nonno, lui ha un bellissimo orticello dove possiamo trovare zucche, zucchine, melanzane, pomodori, insalate, viti e tanti altri ortaggi e verdure. Va in questo orticello in media un giorno sì e un giorno no e ogni volta mi racconta che vengono tantissimi animali che depredano il terreno. Mio nonno comprò il terreno nel 2012 e ne ha sempre avuto cura. Faceva il poliziotto e ne andava e va sempre fiero, per capire però la sua storia dobbiamo fare un salto nel 1944. Eh già, è proprio questa la data di nascita di mio nonno: 24 febbraio 1944.

Qui mio nonno aveva 10 anni (1955-56 ca.) e molto probabilmente questa foto fu scattata dalle sue sorelle. Infatti mio nonno aveva e ha ancora oggi 4 sorelle che si chiamano: Maria, Rosaria, Tina, Nina. In questo scatto mio nonno si trovava nel suo giardino e mi ha detto che ha preso da quel piccolo giardino la passione per l’orto e il vino.

Possiamo notare che mio nonno ha una sigaretta in mano, infatti mi ha detto che stava iniziando a fumare, cosa che era permessa anche ai bambini perché non erano ancora stati scoperti i danni provocati dalle sigarette. Mio nonno mi ha raccontato che andava benissimo a scuola e che amava frequentarla.

In questo scatto mio nonno invece aveva circa 20 anni e si trovava a Sorrento con i suoi amici. Lui è quello seduto. Erano tutti vicini di casa, infatti due si trovavano nello stesso palazzo e gli altri due nel palazzo di fronte quindi erano abituati a vedersi tutti i pomeriggi dopo i compiti. Mio nonno inoltre mi ha raccontato che avevano il pallone ma non lo potevano usare poiché il carabiniere che stava controllando la spiaggia disse che era vietato. Ama questa foto perché gli ricorda la sua gioventù e i modi in cui si divertiva.

In questo periodo mio nonno stava decidendo cosa fare da grande e sicuramente era molto orientato verso la carriera di poliziotto.

Questa foto tessera immortala mio nonno nel momento in cui realizzò il suo sogno: diventò un poliziotto. Erano i suoi primi e ultimi mesi da poliziotto stradale. La carriera di mio nonno iniziò nel 1966 ovvero l’anno in cui fece il corso allievi P.S (polizia stato) nella scuola di Trieste.

In questa foto del 1970-71, a Trieste, il nonno è in posa in divisa, rivolto con sguardo fiero verso l’obiettivo. Per dei brevi periodi poi tornava a Napoli per andare a vedere la sua famiglia.

Questo scatto del 1972, ritrae mio nonno (il primo da sinistra) con dei compagni di Trieste, durante una delle trasferte napoletane. Sono in divisa a figura intera sullo sfondo del mare, probabilmente in un paese vesuviano.

Dal 1968, su richiesta del comandante della scuola, fu premiato facendolo rimanere nella stessa scuola in qualità di istruttore allievi polizia stato.

Questo è uno scatto del 1970, realizzato in un’aula della scuola militare. Il nonno è alla scrivania, sempre in divisa, preso dal suo lavoro. Mi ha raccontato che questa foto è un ricordo felice per lui perché amava il suo lavoro.

Come istruttore il nonno dovette imparare subito a guidare i carri armati che erano in gestione della scuola e cosi prese la patente guida auto categoria DE( la più alta); poi conseguì la patente per i carristi M-47 per poter appunto operare come istruttore.

Questa foto del 1971, è stata scattata da un collega del nonno nel cortile della scuola militare. Nonno Giuseppe voleva essere immortalato alla guida del carro armato; è la sua foto preferita perché ha sempre amato molto le armi, i carri armati e la vita militare.

Mio nonno, per il suo lavoro, ha vissuto molte rivolte, periodi di conflitti e attentati. Partiamo dal 68, infatti quest’anno fu terribile per la polizia perché ci furono tantissime manifestazioni, contestazioni  e a volte anche morti. Inoltre alle manifestazioni di protesta partecipavano anche persone malintenzionate che sparavano con vere armi da fuoco oppure  lanciavano granate contro i palazzi. Pochi anni dopo, a partire dal 1970 le brigate rosse  entrarono in campo. L’azione più clamorosa, nel 1978, fu il rapimento del leader democristiano Aldo Moro

Questo video è quello dell’annuncio del rapimento di Moro al tg2

Inoltre mio nonno visse l’esplosione alla stazione e la strage di Bologna, nel 1980, poi l’uccisione di Falcone nel 1992 sull’autostrada di Palermo. Mi ha anche raccontato che in Calabria si scatenò, nel 1970, un conflitto tra la città di Reggio Calabria e lo stato che voleva trasferire il capoluogo regionale a Catanzaro (moti di Reggio, dal 14 luglio durarono dieci mesi: quattro morti, centinaia di feriti e miliardi di danni). Cosi molti abitanti della città calabrese presero armi da fuoco e iniziarono a sparare contro la polizia che era andata a Reggio Calabria per calmare le acque. Mio nonno era tra i poliziotti e mi ha raccontato che, nel corso di un’azione per scovare degli abitanti ribelli, i calabresi spararono un colpo che sfiorò il suo orecchio e per pochi centimetri non lo colpì.  .

In classe abbiamo discusso di tutti questi eventi che studieremo l’anno prossimo. Ho capito che sono stati anni complessi per la società e la politica italiana; ancora oggi non c’è chiarezza sui fatti accaduti né su colpevoli e mandanti. Mi sono reso conto anche che il racconto individuale, di chi ha partecipato ad eventi diventati poi storici, è a volte diverso da quello che ritroviamo sui libri di storia. Non sempre il punto di vista della macro storia coincide con quello della micro storia. Il compito dello storico è proprio quello di fornire una ricostruzione equilibrata e i racconti che arrivano dalle storie di famiglia sono preziosi.

Mio nonno venne trasferito a Roma il 17 marzo del 1972 dove conobbe il suo più grande amico e molti ministri del parlamento. Ritornò a Trieste il 6 maggio nel 1976 per aiutare il popolo friulano a causa del terribile terremoto che colpì l’intera regione Friuli Venezia Giulia e le zone circostanti.  Mio nonno fu il primo ad arrivare e portò con sé molti oggetti e abiti che potevano servire ai terremotati. Mi ha raccontato che diede le sue scarpe ad una suora e a mio nonno non rimase niente. Cosi la suora si arrabbiò con lui perché aveva donato anche quello che gli era necessario. Mentre mio nonno discuteva con la suora dietro di lui c’era il maresciallo che sentì tutto e si complimentò così, ancora una volta, divenne un esempio per tutti i poliziotti e tutti gli allievi.

Lavorare a questo ritratto di mio nonno mi è piaciuto molto. Ho capito tanti aspetti della sua fantastica vita in cui ha vissuto tanti eventi. E’ stato bello soprattutto intervistarlo.

Enrico il grande, di Alessia Angelone

Ho intervistato mio zio, la persona che ho scelto per questo testo. Ho scelto lui perché è sempre stato un grande per me, simpatico, intelligente e amorevole: Enrico il grande!

Casa Angelone, Palazzo dei Beduini, chiamatelo come volete: qua ci abita da generazioni la famiglia Angelone. È un palazzo vecchissimo iniziato da una mia antenata, cento o duecento anni fa. Qua ci ha abitato il mio bis nonno, una persona rispettata, degna di nota, ammirata nel comune di Soccavo… Infatti Soccavo, il mio quartiere, era un comune fino al 1929, quando prese a far parte di Napoli.

In questo palazzo di famiglia ci abitavano cinque fratelli e due sorelle…

Parlerò di Enrico Angelone, figlio di Roberto Angelone. Il più grande degli Enrico. Infatti, dal mio bis nonno, ben tre persone nella famiglia hanno preso il suo nome, anche se solo mio padre lo ha tale e quale al nonno. Infatti, c’era Enrico il grande (questo zio), Enrico il bello (figlio di Livio) ed Errico il piccolo, mio padre, figlio di Ermanno. Venivano chiamati così per distinguerli. Zio Enrico il grande in realtà doveva chiamarsi Errico con due “r”, ma, come per il bis nonno, è stato fatto un errore mettendogli quella “r” in più, a lui le hanno tolte.

È nato nel 1948 da Roberto Angelone, capo della Procura di Napoli, e Ida Cifariello, il cui zio è il famoso Filippo Cifariello, attivo a Napoli negli ultimi decenni del ‘900.

Nel suo studio, mio zio ha un dipinto del 1878, un ritratto fatto da Filippo Cifariello al fratello Ernesto, nonno di mio zio, a quindici anni. La somiglianza con zio Enrico è così forte che suo nonno volle che gli fosse scattata una foto nella stessa posizione del soggetto del dipinto.

Ha due sorelle, Dina, più grande di lui e Maria, detta Mariolina, l’ultima, entrambe professoresse di inglese ormai in pensione. In questo scatto del 2020, realizzato in occasione di una mostra al Pan di Napoli, sono raffigurati partendo da sinistra, la sorella di mio zio Maria (detta anche Mariolina) mio zio, sua sorella Dina e un amico storico di mio zio, Titò.

Nel 66 si è iscritto all’università, ingegneria, diplomandosi cinque anni dopo nel 72. Considera gli anni universitari per lui bellissimi, senza grandi sforzi né problemi particolari. Quelli erano anni parecchio politicizzati, nel senso che tra i giovani c’era un coinvolgimento nella vita politica e lui partecipava attivamente senza però cadere nei fanatismi. Avevi gli stessi obiettivi degli altri ragazzi del movimento studentesco, pertanto partecipava alle manifestazioni, ma era certo che non sarebbero riusciti, come dice lui, a ribaltare il mondo con delle rivolte in piazza. Per lui, purtroppo, gli anni successivi all’università sono stati peggiori. Dal punto di vista politico per tutte le speranze cadute, per il fallimento delle idee del movimento studentesco; da un punto di vista più personale non gli piaceva l’idea di fare l’ingegnere chimico in un’industria chimica, luogo che non faceva per lui. Non aveva voglia di utilizzare la sua laurea in quel settore, era incerto del suo futuro, e scelse di investire nel campo della libera professione. Un doppio motivo di crisi, come dice lui. Fu in quegli anni che incontrò zia Pasquina. Fu un periodo in cui, citando le sue parole, si avviò su una strada più matura. Un episodio che mi ha raccontavo è accaduto quando aveva 26 anni. Era uscito in barca con 8, 9 amici, trainando una nave di un amico. Ad un certo punto si ruppe il cavo e lui sulla barca trainata con un altro amico, si buttò per provare di attaccare le navi. Il mare era grosso, le navi si erano allontanate per la corrente e lui rimase a mollo in inverno. Era buio, inverno, mare grosso, lontano dalla riva, non aveva nulla a cui aggrapparsi. Mandarono soccorsi e la notizia del salvataggio uscì sui giornali perché, essendo figlio del capo della procura di Napoli, era un personaggio importante. Arrivò il traghetto che da Napoli va alle Eolie, con i fari accesi per trovarlo. Nel frattempo, il padre, in vacanza in un luogo dove non arrivava il giornale di Napoli non aveva ricevuto le chiamate dei soccorsi siccome non stava a casa, non aveva saputo niente del fatto che suo figlio stesse quasi quasi per mettersi a giocare a tombola coi pesci, finché non lo informarono a salvataggio avvenuto.

Si è sposato con mia zia Pasquina il 10 dicembre 1979, a trentun anni; ho trovato una foto di quegli anni con zia

È uno scatto in bianco e nero, in cui gli zii, in primo piano, guardano sorridenti verso l’obiettivo: abiti, montatura degli occhiali e anche il baffo marcato sono tipici di quegli anni.

Ha avuto la prima figlia nel 26 febbraio 1982, chiamata Ida, in onore della madre. Roberta, la seconda figlia, è nata il 13 marzo 1985, mentre l’ultimo figlio è Paolo, nato il 6 febbraio 1993. Ida gli ha dato due nipoti: Luna nata nel 6 giugno 2018 e  Lorenzo a settembre 2022.

Questa foto è stata scattata da me a febbraio 2023, in casa di Roberta; vediamo da sinistra: la seconda figlia di mio zio, Roberta, mio zio, la sua prima figlia Ida e il suo terzo figlio Paolo; in basso si può notare la testa riccia della figlia di Ida, Luna, che si è infiltrata nella foto.

Qui invece ho ripreso lo zio con in braccio Lorenzo, il nipotino, in primo piano con una buffa espressione.

Zio Enrico colleziona, in casa e nel suo studio, tantissimi oggetti antichi, come la “Venere di Guernica. Caos e armonia”, una Venere, appartenuta ai nonni, che si è rotta. Prima la scultura si chiamava Armonia, ma quando si è rotta, lo zio ha deciso di non ricomporla anzi ha scombinato i pezzi (da qui il caos, mentre Guernica si riferisce al cavallo morente) Allora mio zio l’ha trasformata in un’altra scultura .

Nello scaffale sotto quello della Venere ci sono vari oggetti dei suoi genitori che ho fotografato: sul retro, la bilancia a piatti, di suo padre, che l’aveva ricevuta in quanto capo della procura di Napoli. Adoro anche un bellissimo binocolo di madreperla che sua madre usava nel 1930.

In quello stesso armadietto conserva anche lo stemma e vari documenti di quando Soccavo era un comunque a sé.

Ho scattato io tutte queste foto mentre intervistavo lo zio.

Rimanendo sugli oggetti, vorrei far vedere il timone, alla parete nel suo studio, dal quale partono le migliori storie. Si, storie. Si inventa le storie migliori per farmi divertire: raccontandomi di esser stato pirata, o di aver conosciuto Perseo e sconfitto i giganti, insegnandomi a giocare a scacchi o ai cruciverba, oppure facendomi scoprire il gioco degli incastri.

Ora vorrei dire una parola sulla famiglia Angelone originaria. Non ho foto di loro, tranne quella delle nozze d’oro dei bis nonni Maria e Errico, in bella mostra in casa dello zio, sopra la tv.

Il ritratto, che li raffigura a mezza figura, mentre si guardano negli occhi, è stato realizzato a partire da una foto datata 1° maggio 1952, scattata per festeggiare le nozze d’oro. A sinistra c’è la mia bis nonna, Maria Ciotola, a destra mio bis nonno, Errico Angelone. La foto è conservata all’angolo della cornice. I bis nonni, dalla foto, hanno voluto fare un quadro. Mio zio Enrico dice che avevano voluto la foto per le loro nozze, ma siccome non piacque il risultato, decisero di farne un ritratto, anche se a suo parere la foto è nettamente meglio. La famiglia era composta da dodici fratelli, di cui sette viventi e, come già detto, solo due femmine: Ermanno (mio nonno), Roberto (padre di zio), Livio (figlio di Enrico il bello) Ruggero, Nina e Italia. Da piccoli giocavano fuori al palazzo; un giorno passò un nobile in carrozza. A veder quei bambini immersi nel fango esclamò: “Questi sembrano proprio dei beduini”. Oggi io vivo nel palazzo dei beduini e forse questo tratto è ancora presente negli Angelone!

Per finire, mi pare necessario proporre una foto di me con lo zio Enrico

Eccoci qui, in questo scatto della zia Pasquina, realizzato proprio in occasione della nostra chiacchierata per questo progetto. Entrambi sorridenti, guardiamo verso l’obiettivo, mentre lui mi prende in braccio a testimonianza dell’affetto che ci lega.

Un padre, un ex-studente, un ex-sportivo, un professore, di Arturo Grassi

Ho deciso di raccontare la storia di mio padre perché mi interessa il punto di vista di un insegnante sul mondo.  Mio padre è una persona dinamica e vivace mentalmente. I miei compagni dicono che è bravissimo a preparare toast e panini. Per raccontare di lui lo ho intervistato e ho rivisto la sua vita dalla sua infanzia ai giorni d’oggi. Lui è un insegnante di economia alla Federico II. Ecco la trascrizione dell’intervista.

Ti ricordi qualcosa di quei tempi? È un bellissimo scatto del 1977 ca; mio padre è sulle spalle del nonno.

Questa foto deve essere del 1977 circa; quindi, ero oggettivamente troppo piccolo per ricordare qualcosa. All’epoca stavo a casa, molto con la tata, perché tutti e due i miei genitori lavoravano. Mio padre (tuo nonno) insegnava a scuola. Da quanto mi hanno raccontato, era molto attivo in politica: era il presidente (o il segretario) di una sezione napoletana di quello che allora si chiamava Partito Comunista. C’è anche un libro, mi pare di Ermanno Rea (che è un importante scrittore napoletano) in cui si parla di sfuggita di lui. Insomma non stava mai a casa. Mamma (tua nonna) era più presente, ma lavorava tantissimo tra università (dove insegnava matematica finanziaria) e lezioni private a casa. Insomma, io stavo sempre con Filomena, la tata, che era una signora che all’epoca mi sembrava vecchissima, ma probabilmente non lo era, e che pregava sempre tanto. Giocavamo a scopa.

Che ricordi hai di questi giochi in foto? È una foto scattata da me di giocattoli trovati in un cassetto. Li usavi negli anni dal 1978-1982. Sono giocattoli dell’epoca, i tuoi preferiti: due Goldrake e un Grande Mazinga.

Me li ricordo benissimo. Non è un caso che ce li abbia ancora dopo 40 anni! A fine anni 70, io avevo circa 4 o 5 anni, in Italia furono trasmessi in televisione, per la prima volta, i cartoni animati giapponesi, che tu adesso chiami come “Anime”. Quelli furono i primi giochi che mi regalarono. Il primo in assoluto fu il pupazzetto di Mazinga Z.

Guardavi anche altri cartoni animati?

Bella domanda. Io, come tutti i miei coetanei, adoravo solo i cartoni giapponesi, perché erano qualitativamente migliori e dirompenti nell’immaginario di un bambino dell’epoca. Tutti collezionavamo i giocattoli dei robot. Visti oggi alcuni di quei cartoni sono noiosi e ripetitivi; ma ce ne sono altri, per esempio Conan di Miyazaki, che sono oggettivamente dei capolavori assoluti e senza tempo, a mio giudizio (e non solo mio) allo stesso livello della più grande letteratura per ragazzi.  Ebbero probabilmente un impatto maggiore sulla mia generazione. Pochissime ragazze della mia età hanno letto Piccole Donne. Tutte hanno visto Candy Candy  (Che comunque è molto peggio di Conan di Miyazaki).

Ti ricordi quale partita era? questo scatto è stato realizzata probabilmente da tuo fratello Siro, nel 1989 a Caserta durante una partita di basket (Phonola Caserta- Partenope). Al centro, in aria, ci sei tu.

Certo. Se mi sforzo ricordo tutte le partite che ho giocato in vita mia! Quella è un’amichevole contro la Phonola Caserta al Palamaggiò, nel 1989. Avevo 14 anni e giocavo nella Partenope, che all’epoca era la squadra più forte di Napoli. In Campania la squadra di Caserta era più forte di noi e ci batteva sempre alle finali regionali. Quell’anno andammo anche a fare le finali nazionali a Monza, vicino Milano. Il basket aveva un ruolo centrale nella mia vita all’epoca (e anche negli anni successivi, in realtà!). Io ero molto, molto bravo. Ero una guardia.

Com’era il basket in quegli anni?

A fine anni 80 stava finendo il decennio in cui in NBA avevano dominato i Lakers di Magic Johnson e i Boston Celtics di Larry Bird. Erano entrambi giocatori fortissimi. E stava iniziando l’era di Michael Jordan dei Chicago Bulls. In Italia, le partite le trasmetteva una volta a settimana Italia 1, la domenica mattina alle 11. Per me era un problema perché a quell’ora andavo in chiesa. Come forse ricorderai, i tuoi nonni sono valdesi e mi hanno dato quel tipo di educazione. Io, francamente, avrei preferito guardare l’NBA. In Italia invece dominava Milano. Napoli giocava in seria A e aveva una bella squadretta, che io andavo a vedere al palazzetto tutte le domeniche. Anche Caserta era molto forte e avrebbe poi vinto lo scudetto nel 1992: prima e unica squadra del sud a farlo. E poi nel 1992 ci furono le olimpiadi con la squadra di basket più forte di tutti i tempi: il dream team americano. Era la prima volta che i giocatori NBA andavano a giocare alle olimpiadi. Vinsero tutte le partite con almeno 30 punti di margine e senza chiamare neanche un time out.

Cosa pensi del tuo look in questa foto? È’ una fototessera del 1995

Questa foto risale ai miei anni all’università. Avevo i capelli lunghi, probabilmente per distinguermi dai compagni di corso a Economia, che francamente mi stavano tutti antipatici. All’epoca non mi piaceva tanto quello che studiavo; ci ho messo un po’ di tempo per realizzare quanto sia importante la comprensione e la conoscenza dei meccanismi economici nella società contemporanea. Soprattutto in Italia, dove la maggioranza delle persone non sa neanche chi sia un economista.

In che anni studiasti all’università?

Sono stato all’università negli anni 80, dal 1983 al 1988 e studiai economia.

Non c’era nessuno simpatico all’università?

Tutti i miei amici frequentavano Lettere e Filosofia e anche io stavo spesso in quella zona. Considera però che durante gli anni dell’università io principalmente studiavo tantissimo (e giocavo a basket).

Quindi è da lì che ti vengono i tuoi attacchi filosofici?

Non credo. È proprio la mia indole quella. In realtà tra tutti i miei amici l’unico che realmente fa filosofia sono io. Il ruolo del filosofo nella storia è sempre stato quello di “consigliere del principe”, oppure di “interprete della realtà”. È esattamente quello che fa l’economista. Ogni volta che c’è una crisi politica, a risolverla viene chiamato un soggetto esterno, che in Italia è sempre stato un economista. Sicuramente ti ricorderai di Mario Draghi. Ma prima di lui c’era stato Monti, prima ancora Ciampi. Tutti economisti. Vedi: ho iniziato un altro attacco filosofico. Potrei parlare per ore!  A proposito non chiamarli attacchi, chiamali “excursi” è più cool.

Come stava andando il campionato a quei tempi? Vedo che avevi fatto più punti di tutti gli altri. Ti ricordi quella partita? Ho trovato questo trafiletto di giornale del 2004 (circa). Partita Downtown – Mizar, campionato di basket. 30 punti Iacopo Grassi.

Certo che me la ricordo. Era il 2004, ero ormai a fine carriera dopo aver giocato anche in serie C. Era una partita di Promozione, una delle categorie più basse e in quella partita ci giocavamo il primo posto. Io ero veramente molto più forte degli altri. Quell’anno vincemmo il campionato e l’anno dopo giocammo in serie D, che è un campionato regionale.

Perché sei sceso dalla C alla D?

Perché in C è quasi professionismo e io studiavo. E soprattutto non mi divertivo a fare allenamento tutti i giorni. Si prendevano tutti troppo sul serio, alla fine questi sono solo dei giochi. Comunque la D era un buon livello.

Ti ricordi quel paper di cosa parlava? E per chi l’hai scritto? Ho fotografato il Certificato di Miglior Paper per la rivista “Economic Research on Copyright Issue” nel 2014.

Era un paper che avevo scritto da solo, a inizio anni 10. Tu eri già nato! Sulla pirateria musicale. Considera che ci vogliono anni per scrivere un paper, in genere. Quello è il premio assegnato da una rivista scientifica internazionale al miglior paper pubblicato quell’anno. Non c’erano molti paper in verità, per questo ho vinto! Però mi diedero anche dei soldi e mi invitarono a Glasgow in Scozia, dove c’era il convegno dell’associazione legata alla rivista.

Ci sei andato?

Certo, e vi portai anche dei peluche, degli orsacchiotti con la bandiera e la maglietta scozzese.

Dove eri in questa foto col grattacielo sullo sfondo? Mezzobusto di mio padre in primo piano con un grattacielo in secondo piano. 2017 Tokyo durante le vacanze estive. Autore della foto: mia madre, Federica De Stefano.

Queta foto è recentissima! È del 2017, agosto. Eravamo in Giappone a Tokyo e quello è il grattacielo in cui c’era l’hotel dove dormimmo l’ultima notte. Dovresti ricordartelo: ci regalarono anche i vostri pigiami!

Ci sei andato solo per vacanza in Giappone?

Sì, per ora. Dovrei trovare un convegno dove mi invitano, ma non è facilissimo col Giappone!

Quando vi siete sposati tu e mamma? Questi sono scatti dal matrimonio

Mi pare il 2 luglio del 2012 (ma ti prego non dire a tua madre che ho detto “mi pare”). Sicuramente faceva molto molto molto caldo. Tu e tuo fratello eravate già nati e tu sei stato tutto il tempo della cerimonia in braccio a me. Ci siamo sposati nella sala del Maschio Angioino, mi pare si chiami la sala dei Baroni. La cerimonia è stata officiata (che vuol dire “fatta”) da Massimiliano, il nostro amico, quello bassino, il papà di Gingia e di Leila. Massimiliano ci ha fatto a conoscere a me e a tua madre quando io ero tornato dal dottorato in Spagna. Durante la cerimonia chiese a tua mamma “Federica, sei proprio, ma proprio sicura, di voler sposare Iacopo?” e lei rispose “Ebbene sì”. Poi siamo andati a fare la festa in un agriturismo vicino Napoli e ci siamo divertiti molto.

Cosa ti ricordi dell’università come studente?

Non mi piaceva molto all’inizio, perché alcune materie erano davvero noiose. E suppongo lo siano ancora. Tipo ragioneria, diritto; non mi piacevano, non ne capivo il senso. Poi ho iniziato a studiare Economia Politica, statistica e matematica che secondo me hanno molto più senso. O almeno mi piacciono! Questa foto l’ha fatta mio fratello il giorno della mia laurea. Si vede tutta la commissione. La tesi di laurea era in Scienza Delle Finanze e si intitolava “Il prezzo di accesso nel mercato delle Telecomunicazioni” che sembra una cosa molto seria. In realtà non mi ricordo benissimo cosa ci scrissi, però piacque molto alla commissione! Alla mia laurea c’erano tutti i miei amici veri. Alcuni li vedo ancora, per esempio Dario e Marinella, altri li sento spesso, per esempio Claudia che adesso vive a Bologna, altri li ho un po’ persi di vista, ma comunque gli voglio bene!

E adesso com’è insegnare?

Uhm… L’insegnamento rappresenta solo una piccola parte del lavoro di professore universitario che consiste soprattutto nella stesura di paper, nella partecipazione a seminari e convegni. La docenza, per quanto mi riguarda, è la parte più divertente soprattutto quando ho classi di 200 e più persone. Praticamente è come fare l’attore a teatro e a me piace studiare battute, pause ad effetto e raccontare aneddoti. Insomma lavorare sui testi. Per esempio a volte chiedo a te e a tuo fratello di cantanti trap e videogiochi per sembrare aggiornato. Ma ci sono anche i corsi con meno studenti (una ventina) e quelli con molti, molti meno studenti (anche solo un paio), che poi sono i corsi della specialistica.

Per finire: com’era il tuo rapporto con zio Siro da piccoli? In questa foto, lui ti abbraccia in un prato e le vostre espressioni sono tenere!

Sicuramente diverso da quello tra te e tuo fratello! Siro è oltre dieci anni più grande di me quindi in realtà non l’ho mai conosciuto quando lui era piccolo. Mi ricordo che all’asilo io tornavo a casa sempre accompagnato dai genitori di una mia compagna di classe che abitava nel nostro palazzo perché i tuoi nonni non potevano venire. Una volta mi impuntai che doveva venirmi a prendere uno della mia famiglia e mi rifiutai di tornare a casa. Per qualche strano motivo a scuola acconsentirono a questo mio capriccio e chiamarono a casa. Da casa venne a prendermi mio fratello e io pensai “E’ vero, anche lui è uno della mia famiglia!”. Probabilmente lo realizzai solo allora. Del resto quando io avevo 4 anni lui era un quindicenne liceale. Comunque Siro è un po’ come tuo fratello, non parla molto in generale. Però io so che c’è. Ed è importante. E ovviamente io ci sono per lui. Ma un medico è più utile di un economista!

La magia della moda che affascina le donne di ogni epoca, di Alessandro Montieri

Ho deciso di parlare delle donne affrontando  la moda che fin dall’antichità affascina quest’ultime.  Attraverso  le foto di famiglia, ho descritto e paragonato la moda degli anni ‘60 con quella degli anni ‘90.

In queste prime due foto troviamo raffigurata la madre di mio nonno, Rosa, donna robusta ma allo stesso tempo dolce, che nella prima foto si accinge a salire sul bus che condurrà poi lei e tutta la famiglia a Roma, e nella seconda è raffigurata seduta su una delle fontane in Piazza San Pietro a Roma. Ci troviamo nel 1960. Le donne, per la maggior parte, seppur più libere, rispetto a un passato prima della seconda guerra mondiale, continuano ad “avere i bastoni fra le ruote”, non lavorano ma si dedicano soprattutto alla casa e alla cura dei figli. Anche la moda per le donne non è molto variegata, per le famiglie meno ricche e fortunate. Lo notiamo nella prima foto dove c’è Rosa con un vestito comodo e largo che evidenzia leggermente il punto vita con trama geometrica. Se facciamo attenzione, però, possiamo notare che poco più in alto, già salita nel bus, c’è un’altra donna, con un vestito  identico per modello e  colori. Se invece ci focalizziamo sui trasporti, subito in primo piano troviamo il classico autobus Fiat Modello Rosanna che negli anni ‘60 era il più gettonato, un modello spesso colorato, semplice con forme morbide, fari rotondi, porte scorrevoli e paraurti sporgenti. Già i primi anni ‘60 furono duri per il mondo intero, il presidente degli USA Kennedy fu assassinato a Dallas ed i sovietici cominciarono la costruzione del Muro di Berlino. Ma non ci furono solo avvenimenti disastrosi, infatti in questo periodo nasce la cosiddetta “Corsa allo spazio”  che si concluse il 21 luglio 1969 con lo sbarco sulla luna di Neil Armstrong.

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In questa foto troviamo raffigurata mia nonna paterna, Maria, che siede sul muretto del terrazzo di casa. Questa foto è a nonna molto cara; infatti la conserva in una cornice multipla al fianco del comodino. La storia di questa foto è però molto particolare, infatti mia nonna mi ha raccontato che quando lei aveva circa 16 anni, arrivò, a lei e a sua cugina Rosaria, un pacco proveniente dall’America che le era stato mandato dallo zio emigrato lì.  Il pacco conteneva 2 paia di pinocchietti per Maria e Rosaria, lo zio infatti sapeva che in Italia le donne non potevano portare i pantaloni, ma dato che in America questo era già concesso alle donne, decise di farli arrivare anche qui. Mia nonna quando li vide rimase ammaliata e per non farsi scoprire da sua madre, donna rigida ma allo stesso tempo gentile, salì sul terrazzo insieme a sua cugina, indossò i pantaloni, e si fece delle meravigliose fotografie come quella che sto mostrando. Successivamente, per non essere rimproverata, prima di rientrare in casa si tolse i pantaloni per poi riporli nuovamente nella scatola e nasconderli. Già in questo periodo possiamo quindi capire che le donne iniziavano a “ignorare” le regole a loro imposte e a sentirsi libere di fare ciò che volessero, cioè cominciavano a “trasgredire”.

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Bellezza simbolo degli anni ’60 era Twiggy, donna che divenne la  top-model  per eccellenza, grazie anche al pesante trucco degli occhi  e al taglio di capelli infantile, studiato per lei dal celebre parrucchiere Leonard nel 1966. Come per incanto, divenne il volto del decennio.

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Qui invece vengono immortalati i miei nonni paterni, Maria e Vincenzo, il giorno del loro matrimonio il 15 settembre 1966 nella chiesa di San Biagio a Mugnano, a Napoli. Notiamo l’emozione negli occhi di entrambi … il nonno porta uno smoking classico che tuttoggi è molto utilizzato dagli uomini nelle situazioni formali, Vincenzo però si differenzia dalla massa non utilizzando la cravatta bensì un papillon molto stretto rigorosamente nero; sul bordo della giacca troviamo dei fiorellini bianchi abbinati con quelli del vestito della sposa. Maria invece indossa un abito bianco che però, cosa usuale per l’epoca, non era stato acquistato bensì era stato fittato, in modo da risparmiare, con lo svantaggio però che ad oggi lei non lo ha e potrà ricordarlo solo tramite le fotografie. Questo aveva un corpetto abbastanza semplice, decorato sullo scollo con del pizzo floreale che continua fino alla spalla, la vita era invece accentuata da una cintura di fiorellini bianchi e graziosi, la gonna infine era larga e vaporosa senza troppe particolarità. Infatti , come quello del nonno, lo stile del suo abito era uno stile molto attuale e per nulla antico. Il velo era morbido e lungo, decorato da alcuni fiori sulla cima. Il bouquet invece era molto largo con fiori rosa e gialli. Un particolare che possiamo notare è che la mano di mia nonna, che tiene quella del nonno, porta un guanto in raso bianco, tipico dell’epoca; infatti questi  non erano un  accessorio indispensabile ma avevano il compito di dare un tocco di eleganza, ricchezza e raffinatezza in più alla sposa.

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In questa foto vengono raffigurate 3 donne: queste sono la madre di mia nonna Giuseppina, sua cugina Maria e sua sorella Luigia, le tre vengono fotografate proprio da mia nonna mentre giocano con dei fucili da bambini.  Possiamo notare quanto queste si stiano divertendo con poco, nonostante fossero in età avanzata, cosa che oggi invece non accadrebbe con tanta disinvoltura; le tre si trovano nel viale di casa, ricco di alberi e indossano abiti larghi e comodi, da cui possiamo dedurre che ci troviamo in un mese freddo data la presenza di maniche lunghe e giacchini. Cosa che accomuna tutte le donne dell’epoca è sicuramente il taglio di capelli; come notiamo  Maria e Giuseppina portano un taglio di capelli molto simile, se non uguale, mentre Luigia si differenzia portando i capelli più corti. Gli anni ‘60 infatti furono anni di ribellione, sia per quanto riguarda la moda, sia altre battaglie per i diritti civili e politici, compreso il diritto all’uguaglianza contro il razzismo in America.

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Le donne negli anni ‘60 decidono di combattere, così esce il film “Hidden Figures” diretto da Theodore Melfi, a noi noto come “ Il Diritto di contare”, film che attraversa l’argomento dei diritti delle donne nere negli USA negli anni ’60, più in particolare il diritto delle donne nere con alte competenze scientifiche e di calcolo di far parte della NASA.

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In quest’immagine è invece raffigurata mia madre Barbara in Andalusia nel 1993; andando avanti negli anni le donne acquisiscono autonomia e libertà, ovviamente anche lo stile e la moda cambiano molto. Per esempio, in questa foto mia madre indossa un tubino semplice con una riga nel mezzo per dividere il giallo dal marrone, e al ginocchio; notiamo anche che a differenza degli anni ’60, le donne osano molto di più anche in situazioni informali come la visita di un posto nuovo. Barbara indossa uno zainetto  in eco pelle giallo invece di una borsa, per essere più comoda, ai piedi invece porta un paio di Superga, scarpe simbolo di quegli anni, bianche, con una suola rialzata in modo da essere più femminili. Al polso, invece, ha un orologio molto grosso e poco femminile, sui toni del blu, cosa che le donne degli anni precedenti non avrebbero osato fare. Come accessori Barbara indossa due orecchini d’oro con un collier abbinato. Negli ultimi anni inoltre entra in voga il trucco molto evidente, rossetti sgargianti ed ombretti scuri sono i più gettonati mentre negli anni sessanta la maggior parte delle donne era “acqua e sapone”.

Gli anni ‘90 sono stati un decennio in bilico fra le certezze di un passato vissuto sopra le righe e le incognite di un millennio tutto da scoprire. Il pezzo forte di abbigliamento che le donne erano fiere di sfoggiare agli inizi degli anni ’90, ereditata dalla “rivoluzione” dopo il sessantotto, era sicuramente la minigonna, nata con Coco Chanel negli anni ’20 ma messa in pratica solo successivamente. La minigonna andando avanti negli anni andava sempre ad accorciarsi, si arrivò cosi alla micro tunica londinese, minigonna estrema che le donne non portavano per esibizionismo ma per necessità: quest’ultime infatti erano stufe di gonne lunghe e sottovesti che le ingolfavano.

In queste ultime foto del mio contributo vengono rappresentate nella prima foto mia nonna Maria, nella seconda mia madre Barbara e nella terza Barbara e sua sorella Sabrina. Nella prima foto Maria è appoggiata alla struttura di uno spogliatoio presso il Lido Napoli a Baia. La prima cosa che salta all’occhio in questa foto è sicuramente il costume che Maria indossa, che  per noi giovani potrà sembrare un costume antico e poco adeguato, ma per l’epoca era un costume anche molto scoperto dato che la maggior parte dei costumi da mare femminili arrivavano anche a mezza coscia. Il costume, a tinta unita con stampa floreale sui colori del rosa al centro, presenta delle spalline molto sottili con un uno scollo non molto accentuato, nella parte bassa il costume arriva poco sopra la coscia a mo’ di minigonna, mentre i capelli sono tenuti raccolti da un fascia floreale che lascia fuoriuscire qualche ciocca.

La seconda foto rappresenta mia madre Barbara in una spiaggia libera vicino Napoli, fotografata da mio padre come notiamo dall’ombra sulla sabbia. La prima cosa che salta all’occhio è soprattutto la diversità tra il costume di Barbara e quello di Maria. Barbara infatti indossa uno dei modelli di costumi da bagno più gettonato, un bikini a sfondo azzurro con trama a pois, lo slip, molto particolare, è a vita alta mentre il pezzo superiore è impreziosito dalle spalline rosa che lo contornano interamente e da dei laccetti che tengono unite con un nodo le due coppe.

Infine, nell’ultima foto sono rappresentate Barbara e Sabrina, in Calabria, più precisamente a Sibari; le due indossano dei costumi interi molto scollati e particolari, quello di Sabrina color petrolio con scollo profondo e molto sgambato e quello di Barbara bianco con scollo pronunciato e altrettanto sgambato, ma impreziosito da strisce che addolciscono la sgambatura. Entrambe portano capelli scuri e vaporosi con grossi orecchini a cerchio, argentati e vorticosi nel caso di Sabrina e bianchi e regolari nel caso di Barbara. Icone degli anni ‘90, da cui molte giovani ragazze prendevano esempio, erano sicuramente le Spice Girls, Madonna, Jennifer Lopez, Jennifer Aniston, Britney Spears e molte altre donne che hanno scritto la storia della moda.

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Termina così il mio progetto sulle donne e la moda: è facile comprendere che, per quanto la moda abbia subito negli anni profondi cambiamenti, le donne siano sempre state capaci di seguirla, adattandosi, creandola, condizionandola e facendosi condizionare e apprezzando le novità stilistiche di ogni periodo.

Anna, una donna, di Davide Vigilante

Ho deciso di raccontarvi la storia della mia trisavola materna Anna Montuori.

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Anna nacque il 10 aprile 1879 a Napoli, in un’Italia da poco unita e in grande arretratezza economica.

Anna visse un’infanzia difficile iniziata con la perdita della madre a circa 6 anni. Alla morte di quest’ultima il padre non era in grado di accudire Anna e la sorella minore Assunta, poiché era troppo impegnato a gestire la sua tipografia e legatoria, così le mandò in collegio.

Passati alcuni anni il padre si risposò e fece tornare le sue due figlie a casa di cui in teoria la nuova moglie si sarebbe dovuta occupare. Purtroppo però questa donna costringeva Anna e Assunta ad occuparsi di tutte le faccende domestiche, non riservando alle bambine il dovuto amore materno che poco avevano ricevuto. Anna quindi appena s’innamorò di un ragazzo, Alberto Sinfelli, decise di sposarlo, pur di andare via da quella casa. Questo matrimonio fu però brevissimo poiché poco dopo la nascita del primogenito Vincenzo, Alberto morì mentre prestava servizio alla marina. Anna quindi si ritrovò sola a doversi occupare del figlio. Per sopravvivere faceva la pettinatrice andando dall’alba di casa in casa per “acconciare” i capelli delle donne del suo quartiere. Proprio a quell’epoca la moda delle acconciature stava attraversando un periodo di vere e proprie rivoluzioni, sia per quanto riguarda le nuove tecniche sopraggiunte (come ad esempio quella della permanente o delle prime ondulazioni ai capelli) sia poiché le icone di bellezza a livello mondiale non erano più le nobildonne o le principesse bensì le donne del cinema e dello spettacolo. Proprio per questi motivi il mestiere che faceva Anna era divenuto in poco tempo sempre più complesso e articolato. In seguito Anna incontrò un uomo che l’aveva già corteggiata da giovane, Antonio Carato, con cui ebbe il suo secondo matrimonio e ben 8 figli.

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Come possiamo facilmente notare Anna ebbe molti figli, cosa normale a quell’epoca poiché la filosofia di vita era totalmente diversa e i metodi anticoncezionali erano totalmente sconosciuti. Bisogna comunque ricordare che durante il fascismo e in tempi di guerra e carestia veniva chiesto alle famiglie di fare molti figli per mantenere alto il tasso di nascita e per dare, oltre soldati, purtroppo, anche braccia e forza lavoro al paese. Purtroppo però Antonio partì come soldato durante la Seconda Guerra Mondiale ed Anna rimase di nuovo sola costretta a dover affrontare gli orrori e la povertà della guerra assieme ai suoi figli.

Fortunatamente Antonio tornò sano e salvo dalla guerra e tentò di ricominciare la sua vecchia vita assieme alla famiglia. Aprì una sartoria e coinvolse Anna nel suo business. L’idea di Antonio si realizzò, ma purtroppo nulla fu più come prima; lui ed Anna persero ben 6 dei loro 8 figli e il dolore fu troppo forte, tanto che condizionò le loro vite per sempre. Nel 1951 Anna rimase vedova anche di Antonio ritrovandosi quindi di nuovo sola ma stavolta senza nessuno di cui occuparsi poiché i suoi unici 2 figli ancora in vita, Maria e Armando, avevano già famiglia.

Dopo alcuni anni, Anna, donna forte e risoluta abituata a cavarsela sempre da sola, essendo ormai molto anziana finalmente si decise ad andare vivere da sua figlia Maria (madre di mia nonna). Circondata dall’amore delle nipoti, morì di vecchiaia nel suo letto il 30 agosto nel 1969 a 90 anni e la mia nonna raccolse il suo ultimo respiro.

Posso dire quindi che Anna abbia vissuto una vita piena di dolore durante la quale ha dovuto imparare a cavarsela da sola ignorando tutti i pregiudizi sulle donne, dimostrando di essere forte e capace di fare tutto ciò che fanno gli uomini, tra l’altro in uno dei periodi più difficili della storia del nostro paese. Difatti ancor prima di scrivere questa storia, la mia nonna mi raccontava le sue vicende, definendo la madre come una donna emancipata e comprensiva, a cui tutti facevano riferimento.

Per sempre, di Laura Capone, III E

Ho deciso di costruire la mia narrazione raccontando del matrimonio dei miei nonni materni e di quello dei miei genitori. In realtà dietro questa scelta c’è un motivo più profondo e personale. I miei genitori si sono separati due anni fa ed è stato difficile per me affrontare questo cambiamento. Confrontando questi due matrimoni voglio mettere in risalto la solidità delle unioni di una volta e il mio desiderio che un amore duri per sempre.

I miei nonni materni, Aldo Spina e Silvana Angelino, sono nati a Napoli, rispettivamente nel 1942 e nel 1944. Il nonno ha lavorato fin da piccolo nel negozio di abbigliamento del padre che, alla sua morte per un cancro ai polmoni, lasciò in eredità al figlio questa attività. Mia nonna invece ha lavorato per alcuni anni al Centro Direzionale di Napoli.

Aldo e Silvana si fidanzarono nel 1964. Erano innamoratissimi, inseparabili e certi di aver trovato incontrandosi l’amore di una vita.

Silvana e Aldo, Chiesa di Sant’Antonio a Posillipo, Napoli 4 settembre 1969 (cm 36 x 24)

Si sposarono il 4 settembre del 1969. Questa prima foto, a colori, fa parte dell’album fotografico che mia nonna conserva con cura.

Il matrimonio si svolse nella bella chiesa di Sant’Antonio a Posillipo, in una delle zone più panoramiche della città. Qui gli sposi sono rappresentati a figura intera: la nonna guarda in macchina mentre il nonno sposta lo sguardo a sinistra. Sono in chiesa e attendono il momento dello scambio delle fedi. Sullo sfondo si vedono gli invitati alla cerimonia.

Silvana e Aldo, Chiesa di Sant’Antonio a Posillipo, Napoli 4 settembre 1969

In questa seconda foto ci sono i miei nonni ritratti in piano americano sorridenti, mentre tagliano la torta nuziale. Non tutti in quegli anni organizzavano un ricevimento in un locale; i miei nonni preferirono, dopo la cerimonia religiosa, accogliere gli invitati in alcuni locali della chiesa dove tagliarono la torta e scattarono alcune foto con gli invitati. Si concessero invece un breve viaggio di nozze in Italia.

In questa come nell’altra foto, si possono notare i vestiti degli sposi. La nonna indossava un abito molto semplice, estivo in seta bianca, e un cappello. Lei adora truccarsi, infatti nella foto si intravede l’ombretto color azzurro, secondo la moda del tempo che suggeriva colori vivaci. Il vestito dello sposo è quello classico.

Sono una coppia molto unita ancora oggi; il loro amore è indescrivibile. Prima si dava molta importanza al matrimonio e la separazione era poco frequente.

La legge sul divorzio fu introdotta in Italia il 10 dicembre del 1970 sostenuta dai partiti di di sinistra mentre era osteggiata dai democristiani, dalla destra e da altre forze politiche di quell’area. La polemica infuriò subito e anche gli italiani erano divisi su questa questione: soprattutto tra i cattolici (quindi la maggioranza della popolazione) era una questione molto sentita per l’indissolubilità del vincolo matrimoniale ritenuto inviolabile dalla Chiesa. Fu indetto un referendum per l’abrogazione della legge, il 12 e il 13 maggio del 1974, e gli italiani votarono per il permanere della legge sul divorzio. Nel sito Fare gli italiani, curato dall’Istituto Luce, ci sono video molto interessanti sia sulla legge che sul referendum.

Per il referendum ci fu una grande propaganda anche attraverso la televisione, che coinvolse pure personaggi dello spettacolo a favore di uno schieramento o dell’altro.

Questa legge è sicuramente un importante diritto civile conquistato ma penso che abbia modificato molto la società e mi chiedo se il grande numero di separazioni che ci sono oggi, e che sicuramente dipendono da cambiamenti culturali e sociali più vasti, non siano anche favorite dalla facilità con cui si può sciogliere il legame matrimoniale. Ho l’impressione che mentre ai tempi dei miei nonni un’unione si affrontava con impegno e cercando di farla durare nel tempo, oggi, di fronte ad una crisi, le coppie scelgono nella maggior parte dei casi la separazione senza considerare a fondo le possibilità di una riconciliazione. Forse dietro questa mia osservazione ci sono soprattutto la sofferenza che ho dovuto affrontare per la separazione dei miei genitori e il mio sogno di un amore che sia per sempre, come è per i miei nonni. Magari, con il tempo, cambierò idea.

I miei genitori, Paolo Capone e Giuliana Spina, si sono fidanzati nel 2001. Papà è nato a Pomigliano d’Arco, il 21 febbraio del 1972 e mamma a Napoli, il 21 marzo del 1974. Lui lavora nel campo delle assicurazioni e lei è un’insegnante.

Giuliana e Paolo, Chiesa di San Francesco di Paola, Napoli 3 dicembre 2003 (cm 36 x 24)

Si sono sposati il 3 dicembre del 2003 ed erano contenti della loro scelta. La cerimonia religiosa si è svolta nella Chiesa di San Francesco di Paola, in Piazza Plebiscito. In questa foto, conservata in un album di mamma qui a casa, i miei genitori sono ritratti, in campo medio all’interno della basilica, dopo lo scambio della fede.  

Il vestito della sposa è  di seta, più scollato e completato da un lungo velo; quello dello sposo è il tradizionale abito scuro con giacca e cravatta.

Giuliana e Paolo, Napoli 2003

In questa foto è rappresentato il taglio della torta durante il ricevimento per i parenti. Ci fu poi un’altra grande festa solo per gli amici. E’ un piano americano in cui entrambi appaiono sorridenti davanti alla torta nuziale a tre piani.

Festa con amici, Napoli 2003

In quest’ultima foto invece viene rappresentata la festa dedicata agli amici. C’erano tanti invitati e si divertirono tutti. Si facevano giochi, si ballava, c’era il karaoke. Infatti in quegli anni i festeggiamenti per i matrimoni erano diventati molto più spettacolari.

Qualche giorno dopo i miei genitori partirono per il viaggio di nozze diretti in America.