Migrare per amore, di Vittorio Conte III E

Mia zia si chiama Francesca De Falco, ha 44 anni , è nata a ad Avellino ed ora vive a Lucca. L’ho intervistata per questo progetto.

Perché sei migrata da Avellino a Lucca?

Prima di venire a Lucca, io studiavo all’università, ma poiché Gianluca(mio marito) aveva avuto la sua destinazione definitiva a Lucca, decisi di seguirlo perché erano già trascorsi 6 anni vissuti a distanza di centinaia di km. È stata dura prendere questa decisione, però volevamo stare vicini e quindi io mi sono trasferita  Anche se ero spaventata perché per me era tutto nuovo, non conoscevo nessuno, avrei lasciato la mia famiglia e i miei amici, ero comunque felice di avvicinarmi a Gianluca. Quindi praticamente sono migrata per continuare la relazione perché a distanza sarebbe stata troppo difficile.

Come hai preso la decisione del trasferimento?

Giancarlo era già qui da un annetto, io invece un giorno, durante le vacanze di natale del 2006, sono venuta a trovarlo per trascorrere qualche giorno in più insieme e mentre lui andava a lavoro, io andavo in giro a cercare lavoro…. Senza dire niente a nessuno. Ero qui per restare una settimana e poi invece, dopo un colloquio di lavoro andato a buon fine, tornai ad Avellino solo per fare una valigia più grande  dicendo ai miei genitori che avevo trovato lavoro e mi sarei trasferita. Sono partita l’8 gennaio del 2006.

Come sono stati i primi giorni lì a Lucca?

In pochi giorni  abbiamo trovato una casetta in affitto, ci siamo un po’ arrangiati ma eravamo contenti. Io lavoravo in uno studio dentistico e nel frattempo preparavamo il nostro matrimonio e la nostra nuova casa. Ci siamo ambientati subito, abbiamo fatto tante amicizie nuove e tutti sono stati molto disponibili con noi. Ogni tanto la lontananza dalla famiglia si faceva sentire e appena possibile si tornava a casa per qualche giorno. Ci siamo sposati il 20 novembre 2007  e poi è nata Alice(29 novembre  2008)…. È stata dura da soli , senza aiuto dei nonni, ma ce la siamo cavata alla grande e proprio grazie ad Alice, all’asilo, abbiamo stretto tante nuove amicizie. Poi ho cambiato lavoro e ancora oggi faccio questo come mestiere, ovvero la  contabile. Ho fatto molte esperienze nell’ambito lavorativo come ad esempio 1 anno nel settore scolastico come supplente. Poi nacque Antonia (11 novembre 2013), la mia seconda figlia che ora ha 10 anni.

Ti ricordi quando siete venuti a trovarci qualche anno fa? In questa foto recente, sono con Antonia, nella piazza centrale di Lucca e in quella seguente Antonia indica il palazzo in cui alloggiavate.

A volte pensi a come sarebbe stata la tua vita ad Avellino?

Io penso  che  non sarei rimasta ad Avellino, ma sarei andata a Napoli perché è una delle mie città preferite. Credo però che  Lucca ora sia la mia città e non la cambierei con nessuna al mondo. Mi basta che voi qualche volta  veniate e mi portiate un po’ di Napoli.

Sei soddisfatta della tua scelta?

Andare a Lucca è stata una decisione difficile ma che mi ha ripagata molto. Qui ho cresciuto le mie due figlie che si sono ambientate bene. Avevo molta paura per Alice che frequentò 2 anni delle elementari ad Avellino perché volemmo provare a tornare lì. Non ci trovammo bene e quindi tornammo a Lucca, dove Alice riuscì ad ambientarsi alla grande.

A Napoli dal Srilanka, di Angela Yashidi Ekanayake, II E

Chaminda Sanjeewa Ekanayake, mio padre, è nato nella città di Colombo in Srilanka il 13 Luglio del 1975; mia madre Nuthika Kalpani Weerasinghe invece il 4 dicembre 1979, nella stessa città.

Entrambi hanno vissuto nella loro città natale tutta l’infanzia e adolescenza, ma una volta sposati, l’11 febbraio del 2008, dopo due anni di fidanzamento fondato su speranze e progetti futuri, decidono di trasferirsi in un altro Stato, che sarà l’Italia, con la voglia di mettere su famiglia e trovare una vita migliore all’estero.

Qui i miei genitori sono ritratti, nel giorno del loro matrimonio, nel momento del taglio della torta nuziale, in casa dei genitori a Colombo. Nella fotografia ci sono nove persone: da sinistra, c’è prima il cugino di mio padre di nome Sheeron, poi sua figlia Sajani, mio nonno che è il padre di mia madre di nome Somarathna, mio padre, Chaminda, mia madre, Nuthika, la sorella di mio padre, Anuradha, mia nonna materna, Kumari, e infine mia nonna paterna, Soma. Questa foto è anche conservata in una cornice nel soggiorno di casa dei miei nonni e ancora i miei genitori mi raccontano di quando gliel’hanno data già incorniciata e loro erano molto felici di esporla nel salotto e di farla vedere a tutti i loro amici e parenti. Mia nonna in particolare è molto affezionata a questa foto perché il vestito di mia madre è stato realizzato da sua figlia, quindi oltre ad essere contenta del matrimonio è anche fiera di vedere questo bellissimo vestito realizzato interamente a mano.

Ancora uno scatto del matrimonio dei miei genitori. La fotografia è stata scattata in un famoso hotel dove i miei genitori hanno festeggiato, per la seconda volta, dopo la celebrazione del loro matrimonio. Mio zio Sameera quando vede  questa foto ride molto perché si ricorda che durante il ricevimento c’era molto cibo e molto vino; infatti racconta di quanto si era divertito a ballare con tutti gli amici e i parenti, ascoltando il sottofondo musicale della band che suonava canzoni tradizionali.

Mio padre partì per primo in direzione di Roma, il 23 febbraio del 2008, precisamente 12 giorni dopo il matrimonio, per poi trovare dopo qualche giorno una sistemazione a Napoli, dove lo aspettava già suo fratello Sameera, trasferitosi un anno prima.

Mio padre mi racconta di sentimenti contrastanti che erano in lui all’inizio: da una parte si sentiva felice di trasferirsi in un nuovo paese, si sentiva pronto a imparare una nuova cultura, una nuova lingua e fare nuove esperienze; dall’altro si sentiva solo, essendo partito senza mia madre, che lo avrebbe raggiunto il prima possibile, e aveva allo stesso tempo paura dell’ignoto, non sapendo all’inizio come muoversi e come sarebbe stata la sua permanenza lì. Una volta trovata una casa a Napoli, era il momento di affrontare le difficoltà dell’adattamento, ma trovò subito lavoro tramite dei contatti che aveva avuto dal fratello e con impegno e costanza riuscì ad andare avanti nonostante tutte le difficoltà iniziali.

Le molte differenze culturali all’inizio si facevano sentire, soprattutto per quanto riguarda il cibo; infatti mio padre, che ha sempre amato molto il cibo, si trovava in difficoltà perché non riusciva a avere la stessa alimentazione che aveva prima. Allora, ancora non c’erano tutti i ristoranti che ci sono adesso a Napoli che cucinano piatti tradizionali srilankesi, come il “roti” che è una specie di piadina preparata con il pane integrale ( ricetta tipica dell’Asia meridionale), oppure il “kiribath”, un piatto a base di riso cucinato con latte di cocco. Cose impossibili da trovare allora.

ecco una ricetta con il roti

 Poi pian piano si è abituato e ha iniziato ad amare anche lui la cucina italiana, soprattutto la pizza margherita, che prende almeno una volta al mese in una pizzeria vicino casa dove va da anni. Le sue giornate erano molto lunghe: si svegliava la mattina presto e si ritirava a casa tardi; per raggiungere il posto di lavoro prendeva molti pullman, che spesso tardavano, ma era molto determinato, quindi mi racconta che non gli è mai pesato più di tanto perché mosso dal desiderio di creare una famiglia e con la speranza di ritornare dai suoi familiari in Sri Lanka e assicurarsi un futuro migliore. Quindi le sue giornate erano piene di emozioni contrastanti come l’entusiasmo e la nostalgia.

L’11 febbraio 2009, precisamente un anno dopo il matrimonio, arrivò a Napoli anche mia madre, anche lei speranzosa e soprattutto felice di rivedere mio padre dopo 1 anno intero.

Inizialmente avevano trovato un appartamentino nella zona del centro storico della città, precisamente vicino il Museo Archeologico Nazionale, una casetta piccola ma accogliente a cui erano molto affezionati che però hanno dovuto lasciare dopo circa 6 anni.

Questa foto, del 15 novembre 2009, scattata da mio zio Sameera, ritrae i miei genitori all’ingresso del palazzo in cui hanno fittato la loro prima casa a Napoli.

Entrambi lavoravano molto, ma comunque non si facevano mancare momenti di divertimento e svago con gli amici che erano partiti con le loro stesse intenzioni: andavano a cena fuori, facevano lunghe passeggiate, andavano al cinema per imparare meglio la lingua, ma soprattutto guardavano i cartoni animati in sostituzione dei corsi per imparare bene la lingua italiana. Questa cosa mi ha sempre fatto ridere, ma capisco quanto possa essere utile guardarli perché usano frasi molto semplici e intuitive.

Qui, il 1 maggio del 2010, si trovavano a Padova, seduti sul bordo della fontana antistante la Basilica di Sant’Antonio. I miei genitori mi hanno raccontato che si erano recati a Padova con alcuni amici e altre persone srilankesi per pregare, come ormai da tradizione della comunità, e sperare di avere un po’ di fortuna per ottenere il permesso di soggiorno in Italia e quindi essere veramente in regola con i documenti necessari.

Il tempo passava e arrivavano anche molte soddisfazioni e gioie come un nuovo lavoro per mio padre, più conveniente, e una figlia in arrivo, che sarei poi diventata io. 

Era la fine del 2010 quando mia madre rimase incinta di me e mi ha raccontato di quanto fosse felice ma anche allo stesso tempo spaventata di far nascere una bambina in un posto completamente diverso da dove era nata lei. Infatti si chiedeva spesso come mi sarei trovata a scuola e con gli amici, ma poi c’era sempre mio padre che la tranquillizzava e si davano la forza di andare avanti. Il 10 agosto 2011 nacqui io e le cose cambiarono. Mia madre non poteva più lavorare per accudirmi e mio padre erano più carico di lavoro del solito, ma anche questa volta non gli è mai pesato, anzi era ancora più felice all’idea di tornare a casa e trovare non più una persona, ma due. Non mi ha mai nascosto che all’inizio non é stato facile, ma dice anche che, con l’aiuto di mio zio, le cose andavano sempre meglio. Crescendo non mi è mai mancato niente, ho sempre visto i miei genitori lavorare duro e cercare di dare a me e mia sorella, nata 5 anni dopo di me, tutto il necessario e questo l’ho sempre apprezzato molto e per questo sono il mio modello da seguire.

La fotografia è stata scattata da un’amica di mia madre di nome Sajani e ritrae la mia famiglia al completo, in gita alla Reggia di Caserta, il 29 agosto del 2017. Mia zia Nilanka, moglie di mio zio Sameera, fratello di mio padre, quando vede questa foto ricorda di che bella giornata trascorreremo insieme e della lunga passeggiata che facemmo. Poi mi racconta che mi aveva regalato la borsetta di Frozen, da cui io ero ossessionata, e che la portavo sempre con me (infatti si vede nella foto) e mettevo dentro la mia piccola macchina fotografica che usavo per scattare foto alle cose che mi piacevano di più.

L’idea iniziale dei miei genitori era quella di tornare nel proprio paese, avendo fatto tutti questi sacrifici proprio per questo ma, con il passare del tempo e con due figlie, hanno deciso di restare qui, avendo capito che a Napoli potevano essere veramente felici e assicurare a me e a mia sorella un futuro migliore. In questi anni però hanno sempre avuto contatti con i propri familiari rimasti in Srilanka e spesso sono anche ritornati al paese per alcuni mesi, portando anche me e mia sorella a conoscere i parenti e la loro vita di prima.

Quindi nonostante la nostalgia di casa, rimane più importante per loro la tranquillità e la sicurezza che può dare una città come Napoli.

Questo ritratto della mia famiglia, del maggio 2023, è stato scattato in occasione del capodanno srilankese, nella scuola che frequentavo prima. Al centro ci sono io, la figlia maggiore, poi accanto a me c’è la mia piccola sorella Flavia che ha 8 anni; alla mia destra c’è mia madre, Nuthika, e a destra troviamo, mio padre Chaminda. Ogni tanto, quando in famiglia rivediamo questa foto, tutti iniziamo a ridere per l’espressione di mia sorella. Infatti, possiamo notare che la mia piccola sorella Flavia non è contenta di stare in posa per questa foto. Stava giocando con le sue amiche e diceva  che non aveva tempo. Anche io ho un’espressione un po’ annoiata perché era una bella giornata con tanto sole quindi è stato molto difficile scattare questa foto; non riuscivo neanche a guardare verso la telecamera per la luce del sole che colpiva i miei occhi.

Infine ancora uno scatto del dicembre 2023 che ritrae la mia famiglia quando siamo andati a Pompei, al Santuario della Vergine del Santo Rosario. E’ stato divertente scattare questa foto. Mentre mio zio Sameera ci inquadrava, il mio cuginetto faceva strane facce per farci ridere

Storia di Elena, una conversazione tra madre e figlia, di Valeria De Laurentiis

Valeria De Laurentiis ha pubblicato, precedentemente, una storia parziale della sua famiglia, raccontando dei suoi nonni materni, Mena e Peppe, che qui sono spesso ricordati dalla madre Elena [N.d.R]

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Ho proposto a mia madre, Elena, di farsi intervistare per il progetto Sguardi e storie, utilizzando alcune foto dell’archivio di famiglia.

All’inizio l’ho vista perplessa ma di fondo emozionata all’idea di raccontarsi; chiedeva “Perché?” “Proprio io?” e “Chi potrà interessarsi alla mia storia?”. Allora ho cercato di spiegarle cosa è un sito web e come la sua narrazione avrebbe fatto parte di un racconto collettivo di storie personali ma nello stesso tempo partecipi della storia del ‘900.

Non credo abbia capito davvero di che si tratta come accade quando mi chiede spiegazioni su alcune funzioni del telefono cellulare con cui mi vede armeggiare. La tecnologia rimane per lei una sorta di magia inspiegabile, ma ha accettato di buon grado l’idea dell’intervista perché narrare di sé, rievocare persone e momenti attraverso le foto, credo sia un profondo bisogno per chi ha la fortuna (non certo priva di disagi e tristezze) di invecchiare.

Abbiamo dedicato diversi pomeriggi a guardare foto, riportare alla memoria momenti: lei presa dal filo dei ricordi che si dipanavano in ordine sparso o, a volte, inaspettatamente strutturati; io a incalzare con le domande e a seguire le sue emozioni.

In questi scatti, nella cucina di casa mia, perfino munita di lente d’ingrandimento, è quasi incantata; guarda sorridente le immagini mentre i racconti riaffiorano:

Cominciamo a dire chi sei

 Mi chiamo Elena Loffredo e sono nata a Napoli, il 1° gennaio del 1929. Ho novantaquattro anni, quasi un secolo..

Fa un bel sorriso e un guizzo di sorpresa le attraversa lo sguardo

Cosa ti ricordi dei primi anni della tua vita?

Abitavamo in via Macedonio Melloni, a Napoli, nel centro storico, zona piazza Carlo III

La mia famiglia allora era composta dai miei genitori, Giuseppe e Filomena (Peppino e Filume’), due sorelle, Maria (nata nel 1924) e Cristina (nata nel 1927), un fratello, il maggiore, Luigi (nato nel 1922).

Queste due foto, come molte delle altre che utilizzeremo, le abbiamo trovate in un cassetto di una libreria nella casa dei nonni, destinato a raccogliere le foto accumulate nel tempo. Nella prima, Elena è in braccio alla mamma, Mena, al balcone di casa e guardano verso il fotografo che le riprende da un altro balcone, senza riuscire ad evitare il primo piano della pluviale. Mena sorride mentre Elena guarda incantata verso l’obiettivo stringendo con una mano una ciotolina. Nella seconda è al centro della foto, minuscola figura intera in primo piano, sullo sfondo di un muro urbano, scrostato e attraversato anche qui da una immancabile pluviale. Sorride all’obiettivo, abbastanza naturale nonostante sia stata messa in posa rigidamente.

Queste sono le foto più antiche di te che abbiamo. Nella prima dovevi avere meno di un anno, nella seconda forse due, quindi le possiamo datare tra il 1929 e il 1931. Ti ricordi qualcosa?

Ero troppo piccola; mi ricordo però che in famiglia si raccontava che ero molto bella e proposero ai miei genitori di iscrivermi ad un concorso di bellezza, ma mio padre non volle. I miei primi ricordi risalgono a quando frequentavo le scuole elementari.

È timidamente orgogliosa della sua bellezza mentre cerca di riconoscersi nei lineamenti di bimba. Scegliamo allora altre due foto che risalgono agli anni delle elementari

Sono due foto tenerissime in cui Elena è ritratta con le sorelle: nella prima, del 1935 ca., è con Rita, la minore delle sorelle, e nella seconda, datata 6 marzo ‘938, XVI, con Maria, la maggiore. Queste due foto, che guardavo anche da bambina, mi hanno sempre colpito molto. Non portano indicazione di uno studio fotografico, ma entrambe esistono in più copie; la seconda fa parte di una serie di quattro foto scattate nello stesso giorno. Probabilmente, pensiamo, che l’autore potrebbe essere il fratello minore del nonno Peppe, zio Mario, allora poco più che ventenne, appassionato di fotografia. Chiunque sia stato, soprattutto nella prima foto, è riuscito a cogliere quella che ai miei occhi è l’essenza dell’infanzia in quegli anni: due bambine, Elena a sinistra, seria e concentrata, allunga il braccio per abbracciare la sorella Rita che mostra uno di quei sorrisi spontanei e gratuiti propri solo di un bambino; i grembiulini che si indossavano in casa, il taglio dei capelli tipico di quegli anni, restituiscono simultaneamente la tenerezza di un’infanzia semplice, che si contentava di poco per essere felice. Nell’altro scatto, sullo sfondo di un esterno sfocato, in cui Rita è sostituita da Maria, si ripete lo stesso gesto invertito, stesso taglio delle figure; i sorrisi delle sorelle sono appena accennati e Maria guarda un punto lontano. Elena ricorda bene il cappottino che indossava, rosso con il colletto di pelliccia.

Vediamo queste due foto, risalgono a quegli anni

Le guarda intenerita e inizia un lungo racconto

Ci eravamo trasferiti in un altro quartiere, Forcella. Mio padre lavorava con suo padre, Luigi, che aveva fondato casa editrice e libreria. La sede dell’azienda di famiglia era in via San Biagio dei Librai n. 2, in un palazzo del 1400, Palazzo Carafa. Mio padre lavorava con i fratelli Mario e Giovanni. Prima di loro il nonno era stato in società con la famiglia Rondinella, di cui faceva parte un suo cognato. Rondinella-Loffredo si occupavano di editoria sacra, ma da quando io ho memoria la casa editrice Loffredo ha sempre stampato e venduto libri scolastici anche di livello universitario.

Quando ci trasferimmo a Forcella noi fratelli e sorelle eravamo diventati otto. Erano nati Rita (1930), Enzo (1932), Alfredo (1934), Gianni (1936). La nostra casa era grande, composta da otto stanze e vivevano con noi anche la madre di mia madre, nonna Maria, con un fratello e due sorelle di mia madre, Gigino, Ida e Teresina. Più tardi Ida e Gigino si sposarono e andarono via ma prima di quel momento la loro presenza creava continue tensioni. Abitammo in quella casa fino allo scoppio della guerra e poi nel ’43 sfollammo a Torre del Greco.

Noi bambini andavamo a scuola accompagnati da un impiegato della libreria, Eugenio Ferrara, poi al ritorno ci fermavamo lì e infine tornavamo a casa sempre con uno degli impiegati. A casa avevamo una stanzetta dove studiavamo arredata con un grande tavolo e una libreria. Eravamo dei soldatini: silenziosi e ubbidienti.

Mia madre cuciva i nostri vestiti, perfino la biancheria intima. Le scarpe le compravamo difronte alla libreria dove c’era una fabbrica che era anche un negozio, quello del sig. Villani, cerimonioso e gentile. Mamma cucinava per tutti noi. La domenica si mangiava carne ma mi ricordo, al ritorno dalla scuola, spesso la pasta e fagioli. Nel vicoletto su cui affacciava la cucina di casa, passava un venditore di pesce che dava la voce. Allora mia madre calava il paniere e comprava il pesce, spesso alici. La signora dirimpettaia, che certo non era napoletana, faceva come mia madre, ma aveva l’abitudine di urlare al venditore “dammli buoni” con un accento che ci faceva ridere e che le valse il soprannome appunto di la signora dammlibuoni.

La nostra abitazione era al quinto piano e non esisteva ascensore. Ero io che avevo il compito di fare la spesa sotto casa. Ero una bambina allegra e la nonna Maria mi chiamava “core cuntento a’ loggia”.

Che voleva dire

Di preciso non lo so, ma credo si riferisse al fatto che mi bastava stare affacciata al balcone per essere felice. Mi piaceva stare fuori al balcone al sole e guardavo le persone passare. Il nostro era un palazzo del Risanamento e affacciava in una piazzetta. Mio padre invece mi chiamava “maggiolino”. Papà era molto affettuoso con noi e ci abbracciava suscitando le critiche della nonna Maria. Mia madre era invece meno espansiva.

La stanza da bagno ospitava una tinozza in cui ci lavavamo. Io, per un periodo, portavo lunghe trecce e mia madre mi pettinava con un grande fiocco sulla testa.

La scuola elementare era intitolata a Vittoria Colonna. La mia maestra era una donna di mezza età, la signora Olga Radente. Era buona.

Come giocavate? Avevate giocattoli?

I giocattoli li ricevevamo nel giorno della Befana e a San Giuseppe, forse perché si festeggiava il padre falegname e allora ci regalavano giocattoli in legno. Avevamo bambole, la piccola cucina, i soldatini, i trenini. Avevamo una stanza da letto per le femmine e una per i maschi. La domenica mattina con mio padre andavamo in visita ai nonni paterni; la nonna Cristina era cieca per un errore di intervento oculistico. Almeno così si raccontava.

E le scuole medie?

Ho frequentato poi le scuole medie al Vittorio Emanuele. Il mio professore di italiano si chiamava Ferolla e quello di matematica, un pazzo, Andreani. Ero una brava scolara e non ho mai ripetuto un anno. Fui rimandata solo una volta in matematica e il professore che mi dava ripetizioni, disse a mio padre: “Vorrei capire perché l’hanno rimandata”. Andreani era pazzo, urlava in testa e ci rimproverava anche se avevamo i capelli lunghi; dovevamo portarli corti o legati in trecce.

Ma, nel complesso, se dovessi definire la tua infanzia con un aggettivo, quale sceglieresti?

Direi felice perché non avevamo niente ma eravamo felici.

Troviamo ancora una foto: è la sua prima comunione. Non ricorda la data, ma riflettiamo un po’ e osserviamo altre foto per cui deduciamo che doveva essere intorno agli anni ’40. Un indizio determinante sono i capelli che, a guardar bene, erano lunghi e legati in due crocchiette. Nello scatto, a figura intera, in un esterno, sono ritratti in primo piano, Elena con la sorella Rita e, alle loro spalle, il fratello maggiore, Luigi, con la sorella del padre, zia Concettina, madrina dell’evento

È il giorno della tua Prima Comunione

Mi ricordo che la chiesa in cui fu celebrata era quella dei Santi Filippo e Giacomo, nei pressi della libreria. Non ci fu nessuna festa però, non ne facevamo nemmeno per i compleanni. Eravamo una famiglia molto cattolica e noi ragazzi andavamo a Messa, con i genitori, ma anche da soli.

Com’era vivere durante il fascismo?

Ero piccola e nella nostra famiglia nessuno partecipava alla vita politica, ma bisognava essere fascisti fuori anche se dentro non lo eravamo. C’era ordine ma il prezzo che si pagava era l’impossibilità di esprimere la propria opinione. Stavamo tutti zitti perché c’era il timore di essere mandati al confino.

Siamo arrivate agli anni ’40 e ci tocca affrontare lo spartiacque della guerra. 

C’è una foto di famiglia, già pubblicata su questo sito, che è necessario riprendere come punto di riferimento

È una foto ufficiale della famiglia datata febbraio 1940, dopo tre mesi l’Italia sarebbe entrata in guerra. Abbiamo in casa molte copie perché il nonno, grande e generoso patriarca, le fece stampare e le regalò a tutti i figli in occasione del 50° anno di matrimonio. In una delle copie che abbiamo, sul retro, si legge: “Il Signore vi benedica e vi conservi sempre uniti nella sua Fede, nel benessere e vi renda lieve il sacrificio del lavoro. Potendolo, ricordatevi di noi. Con affetto mammà e papà Napoli, 10 luglio 1970”. Le leggo la dedica e lei è come la riscoprisse in quel momento. Nella sua espressione passano l’amore e la gratitudine che l’hanno sempre legata ai genitori. Ricorda con piacere l’unione che c’è stata tra loro fratelli, mai persa. Si commuove quasi riflettendo che soltanto lei e il fratello Gianni sono ancora in vita. Parliamo della matrice fortemente cattolica della loro famiglia e di tutta l’energia che i suoi genitori hanno messo nella crescita dei figli.

È una bellissima foto. Facendo un po’ di conti: la nonna aveva 43 anni, il nonno 45 e avevano messo su, in 20 anni di matrimonio, una famiglia di 8 figli nati tra 1922 e il 1936. In questa foto si respira un discreto benessere: avete tutti belle espressioni sorridenti; siete ben vestiti, la nonna e il nonno elegantissimi. Riconosco la spilla sul pizzo nero della nonna.

Non ci è mancato mai nulla. Mio padre lavorava e mia madre, in casa, faceva tutto da sola; con otto figli non era facile.

Hai memoria di quando l’Italia entrò in guerra?

Non mi ricordo i particolari, in fondo avevo solo 11 anni, ma dei bombardamenti sì, di quelli mi ricordo bene. Le sirene, un incubo e poi bisognava scappare. Mio fratello Enzo, terrorizzato, al suono delle sirene dell’allarme aereo, si nascondeva sotto il letto dei miei genitori e tirarlo fuori per raggiungere il rifugio era un’impresa. Poi non era un rifugio vero e proprio, era solo l’androne del palazzo. Vivevamo nella paura.

Ora capisco perché ogni volta che al telegiornale raccontano della guerra in Ucraina e sottolineano il rischio di un conflitto mondiale, tu vai in ansia e dici che se dovesse scoppiare una guerra tu speri di non esserci più perché non vuoi rivivere quell’orrore

Sì, mai più

A rinforzare i suoi ricordi, utilizzo un libro di qualche anno fa “Napoli 1943. I monumenti e la ricostruzione” a cura di Roberto Middione e Annalisa Porzio, edizioni Fioranna, Napoli 2010. Sfogliamo le pagine ricche di immagini e nell’articolo di Roberto Middione leggiamo che il primo bombardamento a Napoli fu nella notte del 1° novembre 1940; nel 1943 ci furono 181 allarmi aerei; l’ultimo bombardamento fu a maggio del 1944. Dal 1942 iniziò lo sfollamento della città che era diventata un fronte di guerra

Andaste via da Napoli?

Nel 1943, dopo tre anni dall’entrata in guerra dell’Italia, la situazione a Napoli città era diventata difficile per i bombardamenti. Fu così che il prof. Augusto Guzzo, autore della casa editrice Loffredo, offrì a mio padre la possibilità di trasferirsi in una sua proprietà a Torre del Greco. Il professore era molto affezionato alla nostra famiglia e scrisse una lettera in cui si leggeva: “Vi supplico, Don Peppino, di trasferirvi in una mia casa…”.

Era una palazzina di due piani, in via S. Giuseppe alle Paludi, vicino al mare. Noi occupavamo il primo mentre al secondo c’era una donna anziana, Lucia, con il figlio. La nostra casa era composta da due grandi stanze. I servizi erano molto primitivi: il bagno era alla turca e per lavarsi bisognava uscire fuori al balcone. Dalla palazzina si accedeva alle campagne di un contadino che chiamavano “‘Ntulino” da cui i miei genitori acquistavano le verdure. Sull’altro lato c’era un altro terreno che apparteneva ad un contadino soprannominato “‘o luongo “. Anche da lui compravamo verdure e uova. Il cibo quindi non ci mancava anche se il caffè era irreperibile e mio padre faceva chilometri in bicicletta per procurare il sale. Ci aiutava zio Mario, che faceva il militare e quando poteva veniva a portarci scatolame e altro.


Prendiamo queste tre piccole foto che portano sul retro indicazione di data e luogo: Torre del Greco 1943. Sono tre piani americani: nella prima Elena è con il padre; nella seconda ci sono, da sinistra, Rita, il padre e la madre; nell’ultima solo Elena.

Confrontando questi scatti con la foto ufficiale di famiglia, sono colpita dal cambiamento. Sono trascorsi solo tre anni ma soprattutto la nonna e il nonno, sembrano invecchiati di colpo

Sai, noi ragazzi eravamo meno consapevoli e lì a Torre del Greco, avevamo anche una certa libertà. Andavamo al mare, alla parrocchia; anche la scuola funzionava. Invece per i miei genitori le preoccupazioni erano tante, innanzitutto il pensiero di sfamare ogni giorno otto figli.

In casa avevamo una radio e ascoltavamo le notizie della guerra. Ricordo il suono angosciante della sigla del telegiornale di radio Londra. Poi i tedeschi arrivarono anche lì. Quando temevamo l’arrivo degli aerei come rifugio avevamo la canna di un pozzo. In seguito ci rifugiavamo nella casa di Don Giovanni Del Gatto, parroco della chiesa di San Giuseppe alle Paludi. Durante un rastrellamento dei tedeschi, mio padre e il primo dei miei fratelli, Luigi, Gigino per noi, scapparono nella campagna e si nascosero in casa del parroco, dove c’era una botola da cui si accedeva a uno scantinato. Mi ricordo il rumore dei carri armati tedeschi che passavano nelle strade mentre noi stavamo chiusi in casa.

Un giorno, per sfuggire alla cattura dei tedeschi, un marinaio entrò dalla porta che dava sul giardino: si inginocchiò davanti a una immagine della Madonna che mia madre aveva sul secretaire. Pregò e poi scappò via.

Poi nel 1944 il Vesuvio eruttò: cosa ricordi?

Da casa nostra vedevamo la lava incandescente che scendeva lungo il fianco del vulcano e c’era un boato di fondo continuo. Poi la cenere ricoprì tutto. La lava si solidificava ma restava tiepida a lungo. Potevamo camminarci sopra.

E finalmente la guerra finì nel 1945…

Si, ma noi restammo a Torre del Greco fino al ’49 perché la nostra casa a Napoli era stata bombardata. Mio padre fittò una casa a Napoli, in via Salvator Rosa e poi nel 1952 ci trasferimmo al Vomero, dove acquistò una casa che poi è quella in cui hai trascorso la tua infanzia.

Ma quando finì la guerra come fu per te?

Ero contenta. Avevo 16 anni. Arrivarono gli Americani e la gente uscì nelle strade: regalavano, cioccolato, calze di nylon. I miei genitori però non ci fecero uscire. Poi la nostra vita continuò. Andavo a scuola e mi diplomai al liceo classico di Torre del Greco, Gaetano de Bottis. Frequentavo la chiesa dei Cappuccini e facevo anche teatro! Avevamo degli amici e ci furono i primi amori e corteggiamenti.

Ci sono nell’album di famiglia questi due scatti, entrambi datati: “Cenerentola” 2 aprile 1945 Torre del Greco; a matita è stato aggiunto Chiesa S. Annunziata (Cappuccini)

Nel primo scatto Elena e la seconda da destra in seconda fila, abbracciata ad un’amica; nel secondo, con un costume di scena, e la seconda da sinistra, in piedi.

Riconosce alcune delle amiche (Maria Pepe, alla sua sinistra nel primo scatto, che si fidanzò con il fratello Gigino) e si ricorda anche le parole di una canzoncina dello spettacolo.

Questo primo piano porta la data maggio 1945, Spiaggia del Cavaliere, Torre del Greco

Qui sei sulla spiaggia

Si, andavamo al mare da soli, alla spiaggia del Cavaliere. Ci sentivamo liberi anche se correvamo dei rischi: per raggiungere la spiaggia attraversavamo un passaggio a livello. Avevo un costume da bagno di lana che mia nonna aveva fatto utilizzando la lana di un maglione vecchio. Immagina che succedeva quando uscivo dall’acqua…  Immagina cosa voleva dire per noi ragazzi. Prima della guerra nostro padre ci portava al mare una volta all’anno, a Coroglio, e ci prendeva in braccio perché non voleva che ci sporcassimo i piedi con la sabbia. Immagina che significò per noi tutta quella libertà e il mare sotto casa!

Mia madre, a volte, per essere sicura che i miei fratelli non avessero filonato la scuola per andare al mare, saggiava la pelle delle loro braccia per vedere se fossero salate. Per me Torre del Greco è un ricordo di libertà, eppure eravamo poveri e non avevamo più una casa nostra. Mi ricordo che i vestiti erano sempre gli stessi e non posso dimenticare quel giorno che a scuola, mentre ero nel banco, muovendo le braccia, sentii che il vestito si strappava

C’è nel suo racconto un orgoglio pacato per avercela fatta, per le piccole conquiste di autonomia, nonostante le privazioni, la paura, le perdite.

Finito il liceo che facesti?

Mio padre, appena compiuti 18 anni, volle che cominciassi a lavorare in libreria. Anche mia sorella Cristina lavorava con me. Pure 

 i miei fratelli Alfredo, Enzo e perfino Gianni, il più piccolo, quando non andava a scuola, lavoravano in libreria e casa editrice. Quindi ho iniziato nel 1948; raggiungevamo Napoli tutti i giorni col treno perché abitavamo ancora a Torre del Greco. Cristina ed io ci occupavamo della contabilità, ma anche di preparare i pacchi di libri per le spedizioni se era necessario. Mio padre era inflessibile: lavoravamo fino al tardo pomeriggio e potevamo andare via solo se avevamo finito il nostro lavoro. Poi se c’era un’emergenza, lui senza nemmeno guardarci in faccia diceva: “Questo pacco deve partire, per il buon nome della ditta”. Così noi, già pronte per andare via, dovevamo restare. 

Quando racconta questo episodio sento ancora la rabbia repressa nella sua voce, ma insieme l’accettazione e la stima per questo padre capace, con il padre e poi con i fratelli, di dare, tra gli anni 40 e 50, un impulso nazionale all’azienda di famiglia. Mi parla degli autori: Colamonica, Del Grande, Marmorale. Ricorda come tutti restarono al fianco dell’azienda anche quando, nel 1944, un incendio scoppiato per un corto circuito durante la cerimonia di inaugurazione della scuola elementare Settembrini, distrusse la libreria. Per alcuni anni, in attesa di riaprire nella loro sede, si appoggiarono in dei locali presso la chiesa di Santa Chiara.

Poi nel 1949 tornaste a Napoli, prima in Via Salvator Rosa e poi al Vomero nel 1952.

Abbiamo tante foto soprattutto degli anni ’50; molte sono scattate nella casa del Vomero che conosco bene anche io. Mi sembrano anni felici per voi. Sei molto elegante…

Scegliamo alcuni tra gli scatti. Il primo è datato giugno 1954: Elena guarda sorridente verso l’obiettivo e indossa un abito a quadretti tipico di quegli anni; i dettagli (l’orologio al polso, gli occhiali da sole alla cintura, il filo di perle) raccontano di un benessere raggiunto. Le altre due foto sono datate 1955. In entrambe riconosco uno dei balconi della casa dei nonni, al Vomero. La seconda è un bel ritratto di Elena (a destra) con la sorella Rita e la moglie del fratello maggiore, Mina.; nella terza Elena posa con un intrigante cappello di paglia.

Si compiace del suo aspetto, come accade a tutti noi quando guardiamo foto degli anni passati e ci scopriamo più belli rispetto alla percezione di quel tempo.

Però ero bella!

Si, bellissima e con bei vestiti e poi vedo che fumavi

Si, io sono stata sempre una “rivoluzionaria”. A diciott’anni affrontai mio padre e gli dissi: “Papà, io voglio fumare, ma non chiusa nel gabinetto”. Così poi nessuno in famiglia si nascose per fumare.

Ho sempre portato le novità in casa: fumare, avere degli amici, uscire. Organizzare gite a mare con fratelli e fidanzate..

Poi guadagnavo e mi compravo i vestiti, anzi me li cuciva un sarto che si chiamava Mango. Potevo soddisfare i miei desideri e misi da parte i soldi per comprarmi il corredo e per pagarmi perfino la festa del matrimonio.

Aspetta, prima del matrimonio, devi raccontare come incontrasti papà

Si, allora dobbiamo parlare dell’università. Dopo il liceo, mi iscrissi alla Facoltà di Chimica ma al primo esame, Mineralogia, presi 18 e mi spaventai. Così passai alla Facoltà di Farmacia e lì conobbi Sandro. Frequentavo quando potevo perché lavoravo; i laboratori erano obbligatori e durante un’esercitazione ci conoscemmo. Sandro mi vide e sussurrò alle mie spalle “Che bei capelli ha la collega!” Così poi ci fidanzammo nel 1953. I miei genitori lo accettarono subito anche perché un avvocato cliente della libreria lo conosceva bene e disse a mio padre che era un gran bravo ragazzo. Io poi non conclusi gli esami e non mi laureai, invece Sandro sì.

Quanti anni durò il fidanzamento?

Sei anni, ci sposammo nel 1959. Furono anni belli, pieni di speranza e progetti

Queste due foto portano una dedica ciascuna. Tu scrivevi: “Maggio 54. A Sandro caro con la promessa di eterna felicità. Elena”. Papà anche ti scriveva: “Giugno 1954. A Elena mia, cui ho dedicato tutto il mio pensiero, tutto il mio affetto e a cui dedicherò tutta la mia vita. Sandro”. Come eravate romantici!

Si, ma si usava ai miei tempi. Era un modo per promettersi in attesa del grande evento: il matrimonio. Durante il fidanzamento non avevamo tante occasioni per stare insieme: la messa di domenica, qualche gita, qualche passeggiata.

Io amo moltissimo questa vostra foto. Da piccola la guardavo sempre perché mi sembravate due attori dei film americani. Avete entrambi una bellissima espressione mentre guardate un punto lontano. Ai miei occhi di bambina eravate bellissimi e innamoratissimi. È datata agosto 1955

Si, mi ricordo; eravamo andati a trovare mia sorella Maria che era in vacanza a Seiano

Riconosco alla tua mano, la fede bombata che oggi indosso io spesso

Me la regalò Sandro

Vedo la tristezza nei suoi occhi e so che sta pensando alla morte improvvisa e prematura di papà che ci ha lasciati nel 1992. Spesso, nei momenti di malinconia soprattutto serali, lamenta la sua mancanza e rimpiange di non essere potuta invecchiare con lui.

Guardiamo altre foto tra cui una serie scattate nell’agosto del 1959, pochi mesi prima del matrimonio che sarebbe stato in dicembre. 

Dove eravate?

Era una gita al Faito, Sandro, io e i miei fratelli. Abbiamo tutte queste foto perché Enzo, Alfredo e Gianni erano appassionati di fotografia. Anche quando nasceste voi, scattarono tante foto

Infatti l’ultimo scatto ritrae papà, a sinistra, e poi nell’ordine Alfredo e Enzo; sul piano d’appoggio è in bella vista una macchina fotografica. In uno degli scatti c’è anche zia Brunella che sarebbe diventata la moglie di zio Enzo. Le foto degli zii sono in assoluto tra le più belle del nostro archivio di famiglia, spesso in un bianco e nero che non fa rimpiangere il colore da cui sarà soppiantato negli scatti degli anni successivi.

E ora arriviamo al matrimonio…Qui abbiamo un intero album rilegato e poi altre foto sparse. Facciamo una selezione


Abbiamo scelto cinque scatti: nel primo Elena entra in chiesa con il padre; nei due seguenti la cerimonia si è conclusa ed esce dalla chiesa con Sandro, entrambi visibilmente felici e forse meno tesi; poi c’è un intenso primo piano degli sposi in auto e infine un momento della festa, quello del taglio della torta.

Che mi racconti del tuo matrimonio?

Mi sposai il 28 dicembre del 1959, nella chiesa di San Gennaro ad Antignano e poi festeggiammo a Villa Hertha, una villa d’epoca al Vomero. Poi partimmo per un viaggio di nozze brevissimo, solo qualche giorno a Roma e di questo mi dispiace ancora oggi. 

Ero contenta perché mi sembrava un traguardo di libertà, di emancipazione dalla famiglia di origine alla quale però sono sempre rimasta molto legata. Anche Sandro fu subito accolto nella nostra grande famiglia. Mio padre era un patriarca generoso che ha sempre creato occasioni per tenerci uniti. Andammo a vivere in una casa che era stato un dono di mio padre. Io decisi di smettere di lavorare. Mio padre mi chiese se volevo continuare ma ero decisa a occuparmi della mia famiglia

Certo, oggi sembra strana questa tua scelta. Le donne hanno lottato per garantirsi la possibilità di lavorare

Si, lo so ma per me fu un’altra scelta di libertà. Mio padre era un datore di lavoro severo ed esigente. Io volevo gestire il mio tempo, volevo essere moglie e madre.

Però spesso ti ho sentito dire che il tuo “lavoro” di casalinga non è mai stato riconosciuto. Ti sei pentita di questa tua scelta?

No, mi sentivo soddisfatta nel riuscire a portare avanti una famiglia e comunque avevo vissuto il lavoro nella ditta di famiglia come una schiavitù. Soprattutto non poter gestire il mio tempo.

Però… mi fai riflettere che in fondo questa tua rivendicazione di libertà è molto moderna: oggi si parla di nuovo della riduzione degli orari di lavoro e della necessità di prendersi cura della vita personale. Sei stata una pioniera anche in questo!

Ridiamo di gusto, ma davvero condivido la sua idea di fondo di privilegiare le esigenze personali rispetto alle ambizioni lavorative che non lasciano spazio ad altro

E poi siamo nate noi, mia sorella ed io, a un anno di distanza l’una dall’altra 

Si, ma forse è meglio fermarci qui altrimenti diventa un racconto noioso per chi ascolterà o leggerà. Troppi decenni per arrivare ad oggi..

Va bene, ma come vogliamo concludere?

Basterà dire che sono grata per la vita che ho avuto, per la famiglia che ho costruito con Sandro e con voi; certo anche attraversando momenti difficili, ma per tutti è così

Scelgo alcune foto in cui ci siamo noi figlie. La prima, del gennaio 1961, ritrae Elena con mia sorella Anna Maria sgambettante a quattro mesi; nella seconda tiene in braccio me che dovevo avere forse un anno, quindi nel 1963 ca; la terza e la quarta ritraggono l’intera famiglia al mare nel 1965 e a Menaggio (Lago di Como) nel 1968 durante una delle vacanze organizzate dal nonno.

Come è stato rispondere a queste domande?

Mi ha dato la possibilità di mettere insieme i ricordi che ormai erano sparsi e di rivedere il filo rosso della mia vita. Sono contenta ma mi imbarazza l’idea che altri possano leggere di me

Perché?

Perché non sono nessuno e non ho velleità di farmi conoscere

Certo, ma come ho cercato di spiegarti il tuo racconto farà parte di un progetto che raccoglie le storie personali partendo dalle foto di famiglia perché le storie individuali possano incrociarsi con la storia che studiamo dai manuali

Le donne in viaggio e l’emancipazione femminile, di Roberta Dal Fara

Le foto che ho trovato rovistando nel cassetto dei ricordi ritraggono alcune donne della mia famiglia in viaggio. Analizzando queste foto, oltre a scoprire quanto la mia famiglia in passato abbia viaggiato e quanto sia stato importante il lavoro al suo interno, ho avuto l’opportunità di capire come siano cambiate le donne nel corso del tempo. Inoltre ho potuto osservare le differenze tra le famiglie da cui provengo.

Viaggio in Grecia

La prima serie di foto che mostro è quella che ritrae il viaggio della famiglia di mio padre in Grecia. Ogni foto è descritta (naturalmente a mano)  sul retro da mio nonno, proprio come in un diario di bordo!

Ad esempio in una delle due foto seguenti sono ritratti mia nonna Angela e mio padre in campo medio, davanti all’entrata dello stadio di Olimpia nel 1990. Si può notare dai vestiti il forte caldo. Mia nonna indossava un vestito appena sotto il ginocchio color marroncino decorato con stampe floreali. Sicuramente questo vestito era stato creato proprio da lei. Infatti mia nonna essendo sarta amava creare vestiti su misura per lei.

A seguire, mio padre e mia nonna si trovano sempre ad Olimpia al laboratorio di Fidia, un famoso scultore dell’antica Grecia. Campo medio/lungo, dove è ben mostrato anche il contesto delle rovine archeologiche.

Nella prossima foto, mia nonna è ritratta, a mezzo busto, a Corfù nel 1990 durante il viaggio in Grecia. La nonna è raffigurata mentre guarda poeticamente l’orizzonte e lo splendido paesaggio marino. Indossa un vestito sui colori del verde acqua e del giallo. Infine crea dei punti luce con una collana d’oro e un paio di occhiali da sole che la proteggono dalla luce del caldo sole d’agosto.

foto 5 mia nonna a Corfù con il panorama sullo sfondo

Nella foto successiva mia nonna mio padre e mia zia sono seduti sulla parte più alta del Partenone, con alle loro spalle la vista dell’intera città di Atene. Possiamo notare l’abbigliamento di mia nonna, una maglietta nera e una gonna, e di mia zia, semplici pantaloncini e una maglietta nera per essere più comodi.

foto 6 papà, la nonna Angela e zia con dietro la città di Atene

Come descritto da mio nonno sul retro, la prossima foto ritrae mia nonna mentre cerca di arrampicarsi su una parete rocciosa molto ripida. Dopo poco infatti si ritira affaticata, probabilmente a causa delle scarpe poco adatte ad un’escursione poiché dei sandali con tacco. Inoltre si può notare come mia zia invece sia più facilitata grazie alle scarpe da ginnastica.

A seguire, invece, ci sono mia zia, mia nonna e mio padre mentre si rilassano in un albergo in riva al mare a Kato Ahia prima di rientrare in Italia. Sono vestiti in maniera molto comoda, pronti per ripartire!

La storia della famiglia di mio padre

La famiglia di mio padre può sembrare la tipica famiglia italiana degli anni ’90 ma come in tutte le famiglie dietro alla sua storia c’è un passato difficile che i nostri antenati hanno dovuto affrontare con coraggio e determinazione. Per questo ho deciso di raccontare la storia della mia bisnonna Giovanna (madre di mio nonno) che, nata nel 1914, ha vissuto sin da bambina, le due guerre più distruttive della storia del Novecento. La mia bisnonna, Giovanna Simkic, nacque in Jugoslavia per poi trasferirsi pochi anni dopo a Fiume (oggi situata in Croazia). Quando ancora era una ragazzina visse sulla sua pelle l’eccidio di Lippa, una strage nazifascista avvenuta il 30 aprile 1944, dove persero la vita i suoi genitori, che vide bruciare davanti ai suoi occhi in una Chiesa a causa dei tedeschi. Le foto che seguono sono state trovate sul web, all’interno della pagina di wikipedia dedicata alla storia di questo terribile massacro nazista.

Dopo la perdita dei genitori, rimase a Fiume, dove conobbe il mio bisnonno e dalla cui unione nacquero i suoi due figli, tra cui mio nonno. Dopo qualche anno dalla nascita di mio nonno, il marito morì in un incidente mentre lavorava all’Enel. La mia bisnonna fu costretta a crescere i figli da sola. Questo avvenimento segnò una vita già provata da un passato molto doloroso. Ecco un bellissimo ritratto in primissimo piano di profilo della mia bisnonna.

foto 11 la bisnonna giovanna da giovane

Un’altra serie di foto proviene dalla famiglia di mia madre, una famiglia completamente diversa da quella precedente. Le donne della parte materna hanno avuto l’opportunità di lavorare e di poter essere indipendenti.  A seguire propongo alcune cartoline che la mai bisnonna acquistò a Sorrento che però non sono state mai inviate. La prima ritrae la tarantella sorrentina, mentre la seconda una canzone o una poesia.

La seguente foto mi ha particolarmente colpito poiché inviata alla mia trisnonna da un’amica per salutare lei e i suoi bebè. La cosa che mi colpisce di più è che è stata inviata nel 1916 poco dopo la nascita del mio bisnonno (nel 1911), secondo di sette figli.

Questa invece è stata inviata alla mia trisnonna pochi anni dopo la cartolina precedente. Anche qui il mittente mandava saluti a tutta la sua famiglia.

foto 16 cartolina ragazza con i fiori

Nella foto seguente sono rappresentate le cugine di mia nonna affacciate al balcone della loro grande casa. Si può notare come, anche se adolescenti, le ragazze siano vestite in modo ordinato, con un’acconciatura raccolta. Le sorelle gemelle sono in compagnia del padre che si trova seduto in basso. La posizione in cu

i sono ritratte da una sensazione di spensieratezza e tranquillità anche se in quegli anni, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia viveva un periodo di sconforto per aver dato la fiducia al Duce che aveva coinvolto il paese in una guerra che aveva portato solo sangue e vittime.

foto 17 le gemelle affacciate al balcone

Nella prossima immagine è rappresentata la famiglia della cugina di mia nonna vestita in modo elegante, durante una gita al Lago d’Averno a Pozzuoli, dove si recavano spesso per andare in vacanza. La foto era stata scattata in autunno poiché tutti i componenti hanno un cappotto lungo e soprattutto perché si possono intravedere le foglie cadute degli alberi sullo sfondo. Non conosco quasi nessuno delle persone presenti nella foto però conosco bene la ragazza in ginocchio al centro, la zia di mia madre, zia Marinella. Appartenendo ad una famiglia benestante, ha avuto l’opportunità di studiare e di laurearsi in matematica. Dopo qualche anno dalla sua laurea. si è sposata e ha messo su famiglia, per questo ha scelto di non lavorare. Dobbiamo ricordare però che ai tempi era molto insolito proseguire gli studi, soprattutto per una donna. Fino agli inizi degli anni ’70 era raro che una donna frequentasse il liceo e addirittura la maggior parte delle donne si fermavano alla quinta elementare. Fino agli inizi della Seconda Guerra Mondiale, le donne non potevano accedere a lavori come avvocato, medico, notaio e docente universitario. Durante la Seconda Guerra mondiale però le donne esercitarono un ruolo molto importante. Trovandosi da sole a gestire la famiglia, iniziarono a lavorare come conducenti di tram, postine, impiegate ecc. guadagnavano soldi autonomamente ma non potevano spenderli come volevano. Dovevano occuparsi degli anziani e dei bambini della casa acquistando i prodotti essenziali per cucire vestiti, realizzare medicine e ingegnarsi con pochi ingredienti per cucinare i pasti della giornata. Svolsero un ruolo importante anche per i partigiani, ai quali, per esempio portavano il cibo sulle montagne. Molte persero la vita.

foto 18 famiglia di zia Marinella in vacanza al lago

famiglia di zia Marinella in vacanza al lago

La foto successiva è una delle mie preferite. Ritrae le mie prozie, la cognata e la cugina di mia nonna in fila per andare al San Carlo. Hanno un abbigliamento molto particolare ed elegante. La ragazza a sinistra una pelliccia che copre un vestito molto semplice probabilmente tinta unita. Le mani sono coperte da un paio di guanti di velluto e l’acconciatura è molto ben sistemata e raccolta. Ad arricchire il volto ci sono un paio di orecchini ricoperti di pietre preziose. La ragazza a destra indossa anche lei una pelliccia che ricopre il vestito di tulle. Come accessorio indossa un paio d’occhiali da sole e tiene in mano una pochette.

foto 19 le mie prozie al San Carlo

Nella seguente foto invece c’è mia madre con un’amica e i suoi figli durante una crociera. È vestita in modo elegante con una camicetta con un fiocchetto nero e dei pantaloncini neri sopra un paio di calze bianche. La signora a sinistra è elegante con un bel vestito.

foto 20 mia madre in crociera

Qui sotto è ritratta mia nonna davanti al bus turistico in Grecia. Indossa una maglietta e dei pantaloni che arrivano al ginocchio. Ai piedi indossa un paio di espadrillas colorate e annodate alla caviglia con un cordino.

foto 21 mia nonna davanti al bus turistico in Grecia

A seguire, si vede mia nonna ritratta in posa su una roccia appena arrivata in Costa Smeralda. Tutta la serie di foto che mia nonna scattò in Costa Smeralda è stata stampata dalla azienda fotografica statunitense Kodak, legata alle macchine fotografiche.

foto 22 mia nonna sulla roccia in Costa Smeralda

Qui è ritratta mia nonna in Costa Smeralda in un negozio del posto che vende vestiti e souvenir molto particolari realizzate con stoffe floreali. Mia nonna amava e indossava molto questo genere di vestiti.

foto 23 mia nonna in un negozio di abbigliamento tipico in Costa Smeralda

A seguire c’è mia nonna, sempre in Costa Smeralda seduta su un muretto con il porto alle spalle e il paesaggio del golfo. La fotografia sembra quasi un quadro con tanti colori accesi e puri che si accostano tra di loro e ci danno la tipica tranquillità di un paesaggio di villeggiatura. Questi sono solo alcuni dei viaggi di mia nonna. Dopo essersi trovata in una situazione molto difficile a soli 27 anni, decise di rimboccarsi le maniche e di iniziare a lavorare duramente. Iniziò a lavorare nel settore ottico un lavoro che le permise di girare il mondo e di esplorare posti nuovi facendo sempre nuove esperienze.

foto 24 mia nonna in Costa Smeralda davanti al porto

La prossima foto invece è più recente. Ritrae mia madre a Sorrento in viaggio con mio padre. La foto è stata scattata su una scogliera con il mare alle spalle. Si può notare quanto l’abbigliamento sia cambiato. Mia madre indossa una gonna con uno spacco e un top che lascia la pancia scoperta. Ai piedi invece un paio di sandali.

foto 25 mia madre a Sorrento

A seguire una foto che risale al viaggio dei miei genitori a Parigi. Mia madre è ritratta davanti alla cattedrale di Notre-Dame. Come si può notare dall’abbigliamento, a Parigi quel giorno c’era molto vento

foto 26 mia madre davanti alla cattedrale di Notre-Dame

Nella prossima si può notare mia madre davanti al museo del Louvre riconoscibile per l’ingresso dalla piramide in vetro.

foto 27 mia madre davanti al museo del Louvre

Infine questa foto ritrae mia mamma in viaggio di nozze a Sharm el-Sheikh nell’hotel in cui alloggiavano nella città egiziana.

foto 28 mia madre a Sharm el-Sheikh

In tutte queste foto viene forse testimoniata, almeno in parte, l’evoluzione della donna nel corso di 100 anni. A partire dall’inizio del Novecento, le donne iniziarono a partecipare a movimenti femministi per difendere i propri diritti, per dimostrare che avevano parità di diritti con gli uomini e che avevano diritto di voto. Oggi non tutte le donne del mondo hanno gli stessi diritti degli uomini, ma con la loro determinazione riusciranno a portare a termine  quest’obbiettivo ovunque.

Tra Catania e Roma, tra il Carso e l’Etiopia. Tratti di una breve storia di famiglia, di Elena Musumeci

Raccontare la storia della mia famiglia paterna è molto difficile, perché ho solo dei vaghi ricordi della mia infanzia con loro.

Eppure, ripescando qui e là nelle poche immagini del passato, possono riaffiorare i volti di mia nonna Elda Mezzadri, di mio nonno Antonino Musumeci, e del mio bisnonno Leo Mezzadri che, seppur mai conosciuto, era una presenza costante in piccoli ritratti caricaturali di vari membri della famiglia, da lui effettuati.

Nelle ultime settimane questi volti hanno riacquisito una voce, colori, pensieri. Posso dire di aver avuto modo di conoscerli davvero riordinando le carte di famiglia recuperate dopo la loro scomparsa, e lasciate per molti anni all’umidità e alla muffa, in uno scatolone in cantina.

Questo lavoro è stato rivelatore di molte cose teoricamente note ma toccate veramente con mano ancora una volta: le carte rendono le storie vive, e questo viene incredibilmente amplificato nelle storie così vicine a noi. Storie familiari, ma che non conosciamo veramente mai a fondo. Assieme a questo ho capito anche il perché in pochi, anche tra gli archivisti,  riordinano le proprie memorie di famiglia.

Il passato a volte può essere molto più complicato del presente.

Nella foto qui sotto, in cattedra, è ritratto frontalmente mio nonno, Antonino Musumeci.

nonno

Mio nonno era nato a Catania nel 1909 ed era un professore di matematica. Me lo ricordo in occasione di un solo incontro, in Sicilia, quando io avrò avuto all’incirca 9 anni e mia sorella Marina sarebbe nata da lì a poco. Nei miei ricordi è un signore alto e distinto, con un bastone da passeggio. Andammo a comprare il pane, dei panini col sesamo, e tutti lo chiamavano “professore”, il che mi fece sentire parte di una stirpe molto importante, anche se per me semisconosciuta.

Antonino Musumeci fu tenente dell’Esercito Regio in Africa. Aveva frequentato la scuola per allievi ufficiali ad Addis Abeba ed era a capo di combattenti àscari. Quando vi fu la conquista britannica dell’ Africa Orientale Italiana, fu fatto prigioniero e condotto in Kenya, dove rimase per molti anni, dal 1941 al 1947. A questo link un sito specifico ricostruisce la storia dei campi di prigionia inglesi in Kenya, ma non ho trovato il nome di mio nonno.

nonno

Una parte importante delle sue carte è costituita da una serie di lettere inviate e ricevute in questo suo lungo periodo di prigionia.

lettera

Per 6 anni le sue lettere riportano lamentele  per la sua salute cagionevole e alcuni interventi chirurgici subiti nel campo di detenzione, per il fatto di non ricevere notizie da casa, per il trattamento discriminante che diceva di ricevere in quanto italiano, e purtroppo a ciò si aggiunge una considerazione non sempre lusinghiera riguardo la popolazione locale, che credo fu frequente in chi ebbe parte in quell’esperienza, e che dunque deve essere stata comune di molti italiani – e non solo – in Africa, durante il colonialismo e la guerra.

Riuscì fortunatamente a tornare vivo a Catania nel 1947, e si riunì alle sue vecchie compagnie di gioventù. Qui incontrò mia nonna, Elda Mezzadri.

nonna

Mia nonna apparteneva a una famiglia della piccola borghesia catanese. Il padre, Leo Mezzadri, era stato anch’egli un soldato. Avevano vissuto qualche anno a Roma, in Viale delle Milizie – come risulta dalla corrispondenza degli anni del Fascismo – e poi erano tornati nella loro città natale durante gli anni della guerra. Mia nonna era abbastanza corteggiata, stando a quanto si può leggere nelle sue lettere.

Elda e Antonino si sposarono, nel 1951, e si trasferirono a Brescia, dove lui era stato inviato come insegnante.

nonna e nonno

Qui nel 1953 nacque mio padre, Mario Musumeci, e furono inviati molti telegrammi di auguri per la sua nascita.

mario musumeci

Tra questi spiccano i biglietti con le poesie del bisnonno Leo Mezzadri, con il quale mio padre Mario aveva un rapporto molto stretto e affettuoso.

bisnonno e mario

Il bisnonno Leo era stato dapprima un sottoufficiale degli Alpini, e come soldato aveva vissuto in molte città.

Aveva anche ricevuto delle onorificenze per aver combattuto sul fronte del Carso durante la Prima Guerra Mondiale.

attestato

Prima della guerra era stato direttore di un giornale locale “La Provincia di Mantova”, e aveva una spiccata inclinazione per la scrittura.

giornale

Era un uomo molto creativo, e ci sono moltissimi suoi componimenti scritti che venivano richiesti anche per propaganda pubblicitaria, oltre che turistica.

componimento

Poco dopo la famiglia lasciò Brescia e tornò a Catania, dove mio padre passò tutta la sua infanzia.

Purtroppo, il matrimonio tra mio nonno e mia nonna non ebbe l’esito sperato, e i due si separarono alla fine degli anni ’60.

Dopo qualche anno, nel 1971, mia nonna raggiunse a Roma mio padre che si era iscritto all’Università La Sapienza, e trovò una casa nel quartiere Cinecittà.

Da bambina io la conobbi abbastanza bene. Mi era molto simpatica anche se non mi dava troppa confidenza. Non era molto felice, e si rinchiuse per molti anni in casa senza uscire quasi mai. Ricordo però che partecipava da casa a moltissimi quiz televisivi, e ogni tanto vinceva gettoni d’oro. Inoltre era una lettrice compulsiva di cataloghi postalmarket, di cui restano moltissime testimonianze tra le sue carte a partire dagli anni ’70, assieme a copie di periodici di gossip e altre riviste di casalinghe e ricette.

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Mio nonno si risposò con una vecchia amica in comune delle comitive catanesi di gioventù, la “zia” Gemma, venuta a mancare di recente.

I miei nonni morirono in due città diverse, a tanti chilometri, ma a pochi anni di distanza, nel 1990 e nel 1993. I miei ricordi di loro sono molto vaghi. Ma Le foto e le carte di questo piccolo archivio di famiglia mi hanno permesso di conoscerli meglio, e sono il filo di una piccola narrazione tra tante, che attraversa tutto un secolo, il ‘900, e tramite cui si può ricostruire una parte della nostra storia comune.

Elena Musumeci, archivista, vive e lavora a Roma.

 

Una FREDDA guerra… , di Matteo Vitale, III A

Quella che vi voglio raccontare è la storia del mio bisnonno materno. Ho trovato nei cassetti di un armadio dei miei nonni tanti ricordi… fotografie, lettere, cappelli e divise, giochi di altri tempi… Quello che mi ha più colpito è stato il racconto sulla vita del mio bisnonno Sabatino e della sua partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale.

Si chiamava Sabatino Manfredi ed era nato il 23 gennaio del 1917, era il terzo di sei figli e i suoi genitori si chiamavano Amalia e Egidio (nome che poi fu dato al mio nonno materno, suo secondogenito).

FOTO 1

Il mio bisnonno, 1954, 10 cm x 15 cm

Eccolo qui, ritratto in una bella foto in primo piano in una occasione ufficiale. Sulla divisa sono visibili i simboli delle Campagne a cui prese parte, nonché i gradi.

Il suo papà morì molto presto e, a quei tempi, nelle famiglie così numerose, toccava ai figli maschi farsi carico della mamma e delle sorelle. Fu così che essendo il primo figlio maschio fu subito iniziato alla leva militare e, appena raggiunta la maggiore età si arruolò nell’esercito Italiano, siamo nel 1935.

Soltanto 5 anni dopo, ahimè, l’Italia entrò in guerra, nell’ambito del Secondo Conflitto Mondiale. Il mio bisnonno era arruolato nella sezione dell’Artiglieria Pesante e faceva parte delle truppe che si muovevano sui carri armati (i Panzer). Ebbe il suo battesimo di fuoco con la Campagna dei Balcani, prendendo parte all’invasione della Jugoslavia. Si registrò una vittoria per l’Asse e si spianò la strada per l’avanzata verso la Russia. Partirono dalle basi in Albania, a Zara e in Istria e scesero a mano a mano nel territorio del Regno di Jugoslavia con divisioni di fanteria, motorizzate e corazzate. Il mio bisnonno si occupava anche degli approvvigionamenti e quindi doveva procurare beni di primissima necessità e derrate alimentari per la sezione a cui era stato affidato.

Dopo poco, ebbe inizio la Campagna di Russia. Qui il racconto si fa più duro: raccontava di grandi sofferenze dovute al freddo, alla mancanza di viveri, alla perdita di tanti commilitoni ormai diventati suoi amici. L’evento più drammatico corrisponde al racconto della Battaglia soprannominata della “Sacca del Don”. È il 26 gennaio del 1943 e mentre il grande inverno russo sferza le truppe, le residue forze dell’Asse cercano caoticamente di ripiegare nella parte meridionale del fronte orientale, a seguito del crollo del fronte sul fiume Don. Gli ultimi resti delle forze italo-tedesche-ungheresi, si trovano a dover affrontare alcuni reparti dell’Armata Rossa che si era stabilita nella cittadina di Nikolaevka per impedire la loro fuga. Di fatto, si ritrovarono accerchiati nella cosiddetta Sacca del Don.

 Il mio bisnonno Sabatino, insieme ad altri commilitoni che lo aiutarono nell’impresa, riuscì a salvare molti soldati, nonché il suo capitano, svuotando i camion che erano destinati al trasporto di viveri, armi, benzina e altri mezzi di sostentamento e riempiendoli di uomini, permettendogli in questo modo di superare l’accerchiamento e sfuggire a morte certa. In quella battaglia persero la vita 3.000 soldati, ma se ne salvarono in questo modo più del doppio.

Riuscito a sopravvivere a questa atroce esperienza, che lo segnò per sempre, rientrò in Patria e fu mandato prima a Bologna, poi a Firenze. In questo periodo andava e veniva da Napoli con il treno, che allora ci metteva tantissimo tempo a compiere i tragitti.

Ebbe anche la fortuna di incontrare l’amore della sua vita nella sua città natale e dopo un lungo fidanzamento, rigorosamente “in casa” (non poteva uscire da solo con la fidanzata, ma sempre accompagnato dalla mamma di lei!!!) finalmente il 5 gennaio del 1948 si sposò con la mia bisnonna Immacolata Esposito (per noi tutti in famiglia, Titina). Nel 1951 e nel 1954 ebbero due figli maschi il primo, Pio, il secondo Egidio, che poi sarebbe diventato papà della mia mamma.

FOTO 2

Titina a Napoli, 1945, 12 cm x 18 cm

Ecco la giovane Immacolata, è il 1945, ritratta a via Toledo nei pressi dell’edificio storico del Banco di Napoli, con alle spalle un gruppo di militari. Era normale, in quegli anni, vedere soldati per le strade delle città.

FOTO 3

Titina e suo figlio Pio, Napoli, 1949, 10 cm x 15 cm

Ed eccola sfoggiare con orgoglio il suo primogenito.

Quando finalmente fu definitivamente stanziato a Napoli, faceva parte della 10° SEZIONE O.R.M.E. Officina Riparazioni Mezzi Esercito come Furiere cioè addetto al controllo anche amministrativo dei pezzi di ricambio dei mezzi e delle derrate alimentari per la sezione.

FOTO 4

Sabatino in caserma con i suoi Commilitoni, 1962, 12 cm x 12 cm

Eccolo qui in una foto degli anni sessanta che lo ritrae in Caserma coi suoi commilitoni.

Andò in pensione nel 1978 e fu congedato con la Medaglia a Croce alla carriera militare con il Titolo di Aiutante Maresciallo Maggiore con l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica datagli dall’allora Presidente Pertini.

Mia mamma mi racconta che era un ottimo cuoco, un papà, un nonno e un marito affettuosissimo, rigido nelle regole ma estremamente legato ai suoi affetti, forse proprio perché aveva rischiato più e più volte di perderli o di non avere la possibilità di avere una famiglia tutta sua.

Un aneddoto che da sempre accompagna il ricordo del mio bisnonno è che ogni volta che la famiglia si riuniva a casa sua per il Natale, la Pasqua o altre ricorrenze…si diceva che lui cucinasse “per un reggimento”, ma senza mai sprecare neppure una briciola!!! Forse proprio perché quel suo dover sostentare e procurare cibo per i suoi compagni di guerra lo aveva profondamente coinvolto.

Purtroppo non ho avuto la possibilità di conoscerlo perché è morto prima che io nascessi, il 2 novembre del 1997, ma in compenso eccomi qui in una bella foto del 3 novembre 2005, che mi ritrae appena nato accanto alla mia ormai novantenne bisnonna Titina, sua moglie, visibilmente euforica, molto orgogliosa ed emozionata per l’arrivo del suo primo pronipote.

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Io e la mia bisnonna; 3 novembre 2005, 9 cm x 16 cm

LE GUERRE E…. LE FESTE, di Elisabetta Monaco, III D

Perché questo tema? Sembra strano … guerre e feste, un forte contrasto!

Eppure è proprio questo contrasto che ha ispirato il mio lavoro.

LE GUERRE

L’idea è nata dopo la lettura di un racconto inedito sulla seconda guerra mondiale scritto dal mio bisnonno.

Come si legge sul supplemento Gazzetta Uff.le del Regno n. 127 del 18.8.1943, il mio bisnonno materno Giovanni Malato, tenente durante la seconda guerra mondiale, ebbe una medaglia di bronzo al valore militare. La mia famiglia ne conserva uno stralcio.

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Tenente Giovanni Malato di Enrico –  1941   Primo piano in bianco e nero 

Una volta finita la guerra lui tornò a casa e si diede alla scrittura della sua esperienza e ne uscì fuori un dettagliatissimo diario di guerra grazie al quale oggi sappiamo alcuni particolari di quello che ha vissuto, che altrimenti non avremmo potuto mai sapere…

Il diario comincia proprio con il racconto del giorno di Natale, una “festa”

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In questa pagina e nelle successive racconta del suo 24 dicembre 1941 che purtroppo non passò a casa con la sua famiglia, ma in qualità di tenente, fu a capo di una missione.

Giorni di festa che in guerra fanno sentire ancor di più la mancanza dei propri cari. La voglia di festeggiare comunque, perché il calore delle feste migliora lo stato d’animo.

Il mio bisnonno scrive di voler festeggiare degnamente, nonostante la morte ci spiasse con le sue occhiaie vuote, nonostante l’agguato fosse ovunque, nonostante tutto…                                                                                                               

Aveva preparato una lunga tavola nel mezzo dell’accampamento ove contava di consumare il pranzo natalizio preparato con ogni cura… in fraterna comunione con i suoi soldati, ma la notte tra il 24 ed il 25 furono tenuti in continuo allarme da una furiosa sparatoria lontana. La mattina del 25, mentre i soldati apparecchiavano la famosa tavola, il mio bisnonno ricevette l’ordine di portarsi immediatamente con la Compagnìa a vedere cosa fosse successo.

I suoi uomini, ricevuta la notizia, non fecero alcun cenno di protesta, né un gesto di fastidio per la mancata solennizzazione della festa!

Tutto ciò mi ha colpito molto, per questo ho pensato di proseguire la mia ricerca selezionando le foto delle feste della mia famiglia, perché ogni festa e i momenti di gioia che dopo la guerra la mia famiglia ha potuto vivere sono un privilegio!

Il mio bisnonno racconta anche di una bellissima azione solidale fatta in quella occasione da un soldato nei suoi confronti. Lui lo definisce un episodio commovente! Nella fretta di prendere le armi e dirigersi verso la posizione nemica dimenticò il suo elmetto. Durante una sparatoria però uno dei suoi soldati gli cedette umilmente il suo e il mio bisnonno non scordò mai questo nobile gesto. Fortunatamente quel giorno andò tutto per il verso giusto…

Racconta della neve e del freddo intenso che intorpidiva le dita che dolevano sui grilletti delle armi infocate.

Racconta degli eventi casuali ricorrenti nella vita del combattente. Li chiama episodi, come quando aveva appostato una mitragliatrice sotto un albero e lui ivi poggiato ne dirigeva il tiro con il binocolo; si accorse che il mitragliere aveva sbagliato la mira e si abbasso per correggerla. Proprio in quel momento una raffica di mitraglia si piantò nell’albero dove poco prima era appoggiato! Scrive: un secondo di più ed ora non starei a raccontare ciò… episodi … null’altro che episodi nella vita del combattente …

Il 25 dicembre del 1941 il mio bisnonno riuscì a malapena a mangiare un pezzo di pollo e un po’ di pane prima di partire con tutte le salmerie al completo verso la zona di impiego.

Dopo una dura battaglia riuscì a rientrare nel presidio; fece il triste appello dei suoi uomini: 28 uomini e un ufficiale erano rimasti sul terreno, 29 eroi macchiavano col loro sangue il candido manto di neve, ecco il triste bilancio di quel Natale memorabile. “Erano le 19 quando fu possibile riscaldarmi un po’ con un brodo caldo; e mi sembrò buono, molto buono, quel pranzo del Natale 1941! ……….”

Mia madre mi ha raccontato anche un episodio davvero interessante che mi ha colpita: ad un amico del mio bisnonno durante la seconda guerra mondiale fu assegnata una missione pericolosissima, visto che questo amico aveva sia moglie che figli il mio bisnonno, non ancora sposato, si propose di andare al suo posto per risparmiargli questo grande pericolo. La missione non presentò ostacoli e lui tornò a casa sano e salvo ma, purtroppo, non fu lo stesso per il suo amico che rimasto in trincea morì dopo l’esplosione di una bomba…

Se al contrario il mio bisnonno fosse rimasto in trincea, mia nonna non sarebbe mai nata e di conseguenza non saremmo mai nati né mia madre, né io…

Ho poi ritrovato altre fotografie di componenti della mia famiglia che hanno partecipato alle grandi guerre …

Ecco una foto, a seguire, su un cartoncino, scattata nel 1916 che ritrae il mio trisavolo Vincenzo Barone in uniforme. Fu un soldato durante la prima guerra mondiale. Tutto ciò mi è stato raccontato da mia nonna materna che conservava ancora la sua foto tra vecchi album fotografici.

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In questo primo piano è fotografato il nonno paterno di mia nonna: Enrico Malato. Anche lui combatté durante la prima grande guerra.

LE FESTE…

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Natale 2016 – Ecco una bella tavola imbandita per un sereno Natale in famiglia! Foto a colori dall’alto. Sullo fondo si intravede un albero di Natale. 

Poter festeggiare con serenità le festività è oggi un privilegio che troppo spesso diamo per scontato e che ho avuto modo di apprezzare dopo la lettura del diario del mio bisnonno.

Solitudine, freddo, fame, paura, nostalgia, insonnia, rabbia, impotenza, sono solo alcuni dei sentimenti che i soldati in trincea hanno provato. Il forte senso della Patria consentiva loro di andare avanti nonostante i giorni d’inferno, a tu per tu con la morte.

Ecco perché ho ritenuto importante ricercare foto delle feste negli album di famiglia! Festeggiare e ricordare i momenti di serenità e felicità è davvero essenziale e so che il mio bisnonno sarebbe molto contento di vederci in pace.

Ed ecco altre feste…

Il decimo compleanno di mia madre, Federica, proprio a casa sua in compagnia dei suoi vecchi amici !!!!

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Questa foto è stata scattata da mio nonno il giorno del decimo compleanno di mia madre, come si può notare le ragazze sono vestite quasi tutte con abiti bianchi e la festa non si tenne in un locale come oggi è solito fare, ma nella vecchia casa di mia nonna. Per il resto è tutto uguale: le canzoni, le candeline, i regali e tanta tanta gioia.

Questa foto l’ho ritrovata in un vecchio album fotografico in cantina, grazie a questa foto sono riaffiorati i meravigliosi ricordi dell’infanzia di mia madre che era molto entusiasta nel rivedere questi momenti speciali della sua gioventù!

Il matrimonio dei miei nonni  Luciana Malato e Salvatore Marone:

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Una cerimonia da non dimenticare, tutt’ora ricordano quel giorno con una forte emozione che non li lascia neanche dopo tanti anni, mia nonna conserva con molta cura il suo splendido abito da sposa che aveva scelto con l’aiuto di parenti e amici !

La foto è stata scattata da un fotografo chiamato appositamente per l’occasione.

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…ancora insieme in questa foto festeggiavano il loro venticinquesimo anniversario di matrimonio tra parenti ed amici!!!

               Un’altra festa… questa volta tocca agli ottant’anni della mia bisnonna Maria Barone Malato, detta “nonna amore”! 10

Mamma mi racconta sempre della sua grande forza! Ha perso il marito quando le sue due figlie erano molto giovani e lei da sola, lavorando tanto fino a sera, è riuscita a farle laureare.

Una festa piena di significato perché la mia bisnonna ha vissuto sempre con la mia mamma e negli ultimi anni aveva una brutta malattia, l’alzheimer… ma tutti i miei parenti continuano a ricordarla come era… la splendida e unica nonna amore!!!!

Purtroppo è morta quando io avevo solo 36 giorni…

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E infine sono arrivata io!!

Questa è mia nonna materna che mi tiene in braccio nel giorno del mio battesimo. Ovviamente io non lo ricordo ma me l’hanno descritto tutti come un giorno meraviglioso, dopo la funzione in chiesa abbiamo festeggiato a casa con  tutti i familiari e gli amici più stretti. La mia madrina è la sorella di mia madre, zia Francy .

…FINE…

un grazie speciale ai miei parenti che mi hanno aiutata a svolgere questo progetto condividendo con me un po’ dei loro ricordi e aiutandomi soprattutto a scoprire alcuni aspetti della mia famiglia di cui non ero a conoscenza!!