Essere architetto a Barcellona, di Margherita Iaquinto II E

Simona Iaquinto, mia zia paterna, é nata nella città di Napoli, il 26 febbraio dell’ anno 1979. Prima di trasferirsi in Spagna, più precisamente a Barcellona, viveva insieme alla sua famiglia: suo padre(mio nonno) Vincenzo Iaquinto, sua madre ( mia nonna) Silvana Puopolo e suo fratello minore (mio padre) Fabio Iaquinto. Abitavano nel centro storico di Napoli, in Via Duomo. Mi ha raccontato che in quel periodo Napoli non era una città molto visitata dai turisti, infatti le strade non erano mai affollate e c’era sempre un clima tranquillo ( tranne che per le macchine e le ambulanze che invece facevano un grande rumore).

Ha frequentato il liceo classico Antonio Genovesi e subito dopo si è iscritta alla facoltà di architettura della Federico II di Napoli. Poco dopo aver terminato gli studi, nel 2005, decise di partire.

Mia zia racconta che all’inizio doveva stare a Barcellona solo per qualche mese ma poi si è innamorata di quella città e del lavoro che svolgeva come architetto lì e quindi decise di rimanerci a vivere definitivamente. In seguito si è sposata e ha formato una famiglia a Barcellona. Il viaggio per andare in Spagna è stato molto tranquillo però quando è salita sull’aereo ha sentito un po’ di malinconia dato che era consapevole del fatto che non avrebbe potuto vedere per un po’ la sua amata Napoli.  Non era però per nulla spaventata dal viaggio che stava per intraprendere anche perché non era sola; con lei c’erano due suoi amici: Antonio Riccio, un suo grandissimo amico con cui tutt’ora è in contatto, e poi una sua amica Silvia, una ragazza che aveva conosciuto all’università e con cui aveva legato tanto nell’arco degli anni.

Dopo un viaggio  non molto lungo ,di solo 2 ore, arrivarono a Barcellona e la prima cosa di cui si rese conto fu che tutti erano molto gentili e cortesi con lei.  Si diressero verso la casa che avevano preso in affitto. Questa casa mi dice che era abbastanza piccola e si trovava vicino la strada “Passeig de Gracia”, una strada lunghissima piena di negozi di tutti i tipi.

La casa che avevano affittato era molto pulita e ordinata ma lei e suoi amici vollero dare una sistemata e apportare qualche modifica spostando dei mobili. C’erano tre camere da letto non molto grandi. La casa era molto colorata e accogliente con un salone subito all’entrata e la cucina non troppo grande. In più c’era un tavolo per pranzare ma loro lo utilizzavano anche  per lavorare al computer nel pomeriggio o la sera (dato che la mattina lavoravano fuori casa, in studio).

Mia zia Simona ha trovato in un album di ricordi, questo scatto del 2005 realizzato dall’amico Antonio, che la ritrae proprio mentre era impegnata nelle pulizie e nel riordino della casa. I primi giorni a Barcellona furono un po’ difficili perché sentiva molto la mancanza della sua famiglia, della sua città dei suoi amici ecc. Però non durò molto perché non era da sola. Inoltre conosceva alla perfezione la lingua visto che aveva studiato spagnolo e ottenuto il diploma in lingua spagnola.

Nei primi tempi trovò lavoro per ristrutturare appartamenti ma poi le fu proposto un lavoro, nel 2006, che lei ritiene il più importante e che le ha regalato una soddisfazione immensa: partecipare alla costruzione dell’ospedale “San Pau”, dove poi successivamente sono nati anche i suoi figli, Giulia e Luca.

 L’ambiente di lavoro era accogliente e i colleghi erano sempre molto carini e gentili con lei. Mia zia racconta che quando ha lavorato per costruire l’ospedale di San Pau ebbe un trattamento economico abbastanza alto e che a fine costruzione era molto soddisfatta del duro lavoro svolto.

Questo scatto dovrebbe essere del 2007 circa ed è sempre opera del suo amico Antonio: mia zia è in primo piano, sorridente, mentre lavora nel cantiere dell’ospedale. Sullo sfondo una collega. I lavori per questa importante costruzione erano iniziati nel 2000 e terminarono nel 2010.

Dopo una lunga giornata di lavoro tornavano a casa, lei e i suoi due amici, con la metropolitana e appena arrivavano si facevano due chiacchiere sul divano fra di loro. Lei dice che costruire questo ospedale é stato incredibile e che é stata una grandissima soddisfazione personale vedere l’ospedale completo a fine lavoro.

In questo scatto di quegli anni (2006-2007) zia Simona e l’amica Silvia sono state ritratte mentre conversavano nella metropolitana di Barcellona, al ritorno a casa dopo una giornata di lavoro. Oltre che in cantiere, lavoravano presso lo studio di  progettazione ospedaliera  di nome Pinearch. 

Qui zia Simona è stata fotografata nello studio di architettura, in un momento di pausa.

Per ritornare a casa utilizzavano la metropolitana che però ci mettevano molto tempo e dovevano aspettare molte fermate; impiegavano almeno 30 minuti. Però quello era il momento preferito di mia zia perché era il momento in cui si sedeva a parlare con i suoi amici e potevano finalmente chiacchierare di qualcosa che non fosse il lavoro.

Verso sera, arrivavano a casa un po’ stanchi e si mettevano per una mezz’ora al computer per dare una sistemata al lavoro svolto in giornata .Lei, Silvia e Antonio, trascorrevano il tempo al computer a riepilogare tutto il lavoro svolto, aiutandosi tra di loro. Anche se lavoravano, erano belle serate in compagnia e poi dopo cena, si sistemavano sul divano a chiacchierare e farsi due risate. Lei mi dice che le serate, nonostante fossero passate al computer a lavorare, erano sempre molto belle dato che era in compagnia dei suoi compagni di casa. La sera non le dispiaceva stare per un po’ al computer e poi, dopo cena, si ritrovavano sul divano a parlare fra di loro e a farsi due risate.

In questo scatto, zia Simona e Antonio lavorano al computer, a casa.

Il fine settimana era sempre il momento più bello perché andava in giro a conoscere la città e a scoprire nuove pietanze: la cucina di Barcellona è molto diversa dalla nostra. Si mangiano la paella, la paradeta, tabas ecc. Barcellona è una città caotica, ma splende della sua bellezza. Poi almeno un fine settimana al mese venivano a trovarla i suoi genitori ed era sempre un bel momento.

Mia zia oggi vive a Barcellona insieme a suo marito, Dani Rivera, sua figlia, Giulia Rivera, e suo figlio Luca Rivera. Lei e la sua famiglia, da sempre, ci vengono a trovare nel periodo di natale e durante l’estate, noi invece andiamo a Barcellona verso fine febbraio oppure a maggio. Nonostante tutto, in famiglia (compresi i nonni) siamo davvero molto legati e anche se siamo distanti continueremo a volerci sempre un gran bene! Eccoci tutti insieme in una foto recente.

Una nuova vita a Zurigo, di Leonardo De Notaristefani II E

Mio zio Alessandro, fratello di mio padre, di età 47 anni, è nato a Napoli il 21 agosto del 1976. Ha frequentato il liceo scientifico Galileo Galilei ed ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel 2004 presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Ha completato il suo percorso di studi con il dottorato in Diritto Internazionale presso l’Università di Camerino nel 2010. Inizialmente, quando lavorava a Napoli, faceva la libera professione come avvocato presso uno studio. Successivamente, nel 2014, si è trasferito a Londra dove ha collaborato presso alcune banche come professionista freelance e aveva la casa a Red Hill, piccolo paese nella periferia di Londra.

Alessandro si è sposato nel 2016 a Taormina con Viviana Sobetti, originaria di Alì (Messina) e, dopo aver collaborato saltuariamente con alcune banche di Ginevra, nel 2020 si è trasferito stabilmente a Zurigo, in Svizzera, poiché ha trovato un ottimo posto di lavoro presso la la banca Julius Bär (Baer).

Ho trovato interessante questo video sulla storia del banchiere svizzero

Alessandro e Viviana hanno una figlia di 5 anni, mia cugina Isabella, che è nata a Londra il 18 marzo 2019, e vivono tutti insieme in una casa in affitto al centro di Zurigo.

Inizialmente per lui e la sua famiglia è stato un po’ difficile trovare la casa giusta in cui abitare perché agli stranieri all’estero sono richieste maggiori garanzie economiche da parte dei proprietari per poter prendere in affitto una casa; ma dopo un po’ di tempo hanno trovato una casa molto bella e spaziosa al primo piano di un grande palazzo che affaccia su un piccolo parco.

Il viaggio per raggiungere Napoli non è lunghissimo e lui, almeno 4 o 5 volte l’anno, prende l’aereo o il treno per venire a salutare noi ed i nonni.

Il suo nuovo lavoro in banca gli dà molte soddisfazioni e si sono tutti e tre ambientati molto bene a Zurigo; fuori dall’orario di lavoro e nei giorni liberi spesso fa lunghe passeggiate con Viviana ed Isa per visitare la città, fare shopping, per intrattenersi  vicino al lago d’estate (fo o lungo il fiume Limmat che offre un panorama pittoresco soprattutto al tramonto

Questo scatto del 2022 è di mio zio: ha ripreso Zurigo dal campanile.

Qui lo zio è con Viviana a fare una passeggiata lungo il lago di Zurigo (giugno 2022)

In questo scatto Viviana, in un negozio di giocattoli, cavalca una mucca (marzo 2023) e lo zio ha commentato: “E’ stato molto divertente scoprire che anche le mucche si cavalcano”

Questo è uno scatto del fiume Limmat. (2020) che offre paesaggi molto suggestivi al tramonto.

Capita che si fermino  tutti e tre per fare  gustosi i picnic sui prati ed una volta siamo stati anche noi con loro e ci siamo molto divertiti.  

Nella nuova casa , mio zio ha una stanza tutta sua dove coltiva il suo hobby di comporre musica con la tastiera elettronica e di fare piccoli mobili in legno. Insieme alla moglie Viviana e ad Isabella trascorrono anche weekend turistici per visitare altre località, come la cittadina di Blausee a Berna nel Comune di Kandergrund e il fiume Aar che attraversa la città di Berna dal quale sono rimasti affascinati per il suo percorso di acque tumultuose.  

Zio Alessandro e Viviana a Blausee, a Berna nel Comune di Kandergrund in Svizzera (novembre 2022)
Il fiume Aar

Alessandro e la sua famiglia si trovano molto bene a Zurigo e confrontando la loro vita con quella trascorsa in Italia, anche se i costi sono molto più alti, riescono con i loro stipendi a vivere bene. Hanno molti nuovi amici in Svizzera ma spesso sentono la  nostalgia dell’Italia e dei loro amici e parenti lontani  e così in occasione delle festività e delle vacanze ritornano a Napoli o in Sicilia.  

L’estate scorsa siamo andati, io e la mia famiglia, a trovarli a Zurigo. Per me e mio  fratello Lorenzo è stata la prima volta che abbiamo volato, cosi il capitano dell’aereo ci ha invitati a visitare la cabina di pilotaggio e ci ha firmato il battesimo di volo.   

In questa foto, ci siamo in primo piano, mia madre Oriana, poi mio fratello Lorenzo e infine io, immortalati da mio padre nella fase del decollo (25 luglio 2023). Primo volo: alla partenza ci siamo presi tutti per mano, è stato fantastico essere per la prima volta tanto in alto…

A Zurigo siamo stati tutti ospiti a casa di mio zio Alessandro .

Qui Lorenzo ed io siamo davanti casa dello zio Alessandro che è alle nostre spalle.

Ci siamo molto divertiti facendo succulente cenette nel grande salone e  visitando le bellezze della città di Zurigo.

Lorenzo non smetteva mai di fare fotografie al panorama sul fiume, un posto incantevole, da cartolina….

La Cina così vicina…, di Chiara Mancini III E

Quest’anno ho deciso di raccontare una parte di vita di mia madre Francesca. Ho scelto di parlare un po’ di lei perché, sin da  quando ero piccola,  mi raccontava delle sue esperienze in Paesi lontani, al di fuori dell’Italia. Tra i tanti posti che ha visitato, la Cina è il Paese dove ha vissuto per più tempo, 6 anni.

Questo scatto del 27 novembre 1996, la ritrae a Shangai, all’ingresso di un giardino.

Mia madre è  nata alla fine degli anni 60’ e, prima di avventurarsi al di fuori del paese natale, esercitava la professione di medico veterinario libero professionista  e medico veterinario di Stato  nelle campagne di  profilassi. Era una giovane trentenne e abitava al Vomero, un quartiere collinare della città di Napoli, ed aveva tante amicizie. Decise  di migrare nel 1995 perché le piaceva l’idea di poter viaggiare per scoprire luoghi lontani e ancora poco conosciuti in quegli anni e poter investire la propria professione in posti così diversi. Emigrò definitivamente il 1 agosto 1999, diretta ad Hong Kong. L’ho intervistata per questo progetto.

Per orientarsi nel racconto

Com’è stato il viaggio e dove sei atterrata?

Il primo viaggio è stato molto lungo ,circa 13-14 ore di aereo. Fu un viaggio pieno di tante emozioni ed aspettative: i pensieri correvano veloci, perché sapevo di stare per arrivare in una città completamente diversa, Pechino, ma soprattutto in Asia, un Continente nuovo e a  me completamente sconosciuto. I primi tempi(1995-1996) furono dedicati anche a visitare i luoghi più turistici e affascinanti: la grande muraglia cinese, la città  proibita  nella quale riuscivo ancora  a percepire ,girando tra i palazzi ,tutta la vita e gli intrighi che si erano svolti al loro interno.

Questa è un’immagine suggestiva della muraglia. Era novembre del 1996, in una giornata freddissima, umidissima e mi mancava non avere un cappello, ma fortunatamente indossavo i guanti.

Ho visitato il Summer Palace; il lago dell’ovest di Hangzhou, dalla cui  bellezza e cura dei particolari del luogo, si rimaneva stupiti.

Ho visitato anche Shen zhen e un luogo e della provincia di Guangxi. Mi faceva molto ridere il cappello, penso sia l’unico motivo per cui ho scattato questa prima foto. (tutti scatti datati tra 1995 e 1996)

Hai riscontrato qualche difficoltà?

No, nessuna. L’unica forse era che , camminando per le strade delle città cinesi, la              gente comune non parlava in inglese all’epoca; sicché, non c’era nessuna possibilità di dialogo con i passanti ed artigiani. Le direzioni degli Autobus pubblici  e tutte le indicazioni di  pubblica utilità inoltre  erano in lingua mandarino.
L’unico mezzo che riuscivo a prendere era il taxi, aiutandomi con la cartina geografica: alla fine mi facevo capire e riuscivo a farmi portare sempre  a destinazione. Per il resto gesti e sorrisi erano sufficienti.

Qui ero a Shangai (27 luglio 1996). Nel 1996,a Shanghai, vivevo nel quartiere  di Gubei, dove si stabilivano la maggior parte degli occidentali residenti, Era una zona ricca di supermercati, attività  commerciali, un posto molto efficiente.

Qui invece, a Pechino (1996) fotografai un artista di strada.

Ricordo che fu proprio su un sedile posteriore di un taxi durante una vacanza a Guilin, nella Pasqua del 1996, che dimenticai il mio bagaglio a mano, con all’interno tantissime piccole teiere da collezione, super colorate in porcellana che avevo acquistato con tanta cura.

In questi scatti sono nella vallata di Guilin e quelle che vedi sono le magnifiche teiere in porcellana del posto.

Ma hai vissuto tutti e 6 gli anni in questo modo?

No, poi mi sono abituata, diciamo che nel contesto in cui stavo c’erano sia persone italiane sia persone che parlavano l’inglese che  vivevano già lì da molto più tempo di me. Loro mi aiutarono a capire meglio usanze e abitudini  del posto e quindi riuscii ad appropriarmi sempre di più del luogo. Molto cambiò quando mi trasferii ad Hong Kong nel 1999.

Questo video racconta la complessa storia di Hong Kong

Cosa vuoi dire con ‘Molto cambiò quando mi trasferii ad Hong Kong’?

A quell’epoca Hong Kong era una colonia inglese ( lo è stata sino sino al 1997) quindi si parlava ovunque inglese oltre ad essere  in uso la locale lingua cantonese. Se per esempio avessi usato il Mandarino( lingua ufficiale in Cina) per parlare con un cittadino di Hong Kong all’epoca, non mi avrebbero capito. Poter parlare in inglese, per dialogare in ogni dove, rendeva tutto molto più facile .Ho potuto praticare molto sport, andare al cinema, fare shopping, recarmi in uffici pubblici, prendere metropolitane e autobus , guidare la macchina, in tutta facilità

Qui ero a Hong Kong (2000), nel quartiere Mong Kok. Ho scattato questa foto per ricordare e far vedere come fosse intenso l’agglomerato urbano: ogni finestra del grattacielo a sinistra corrispondeva ad un appartamento.

Qui sono accanto alla mia auto, sempre ad Hong Kong, in Repulse bay road, nelcortile del palazzo dove vivevo. Stavo andando a fare la spesa. Al rientro ,tutti i portieri presenti venivano ad aiutarmi a portare i pacchi nell’ascensore che arrivava direttamente alla casa. Le macchine che giravano a Hong Kong erano tutte nuovissime, senza un graffio.

Ho dovuto superare solo delle barriere culturali, ma è stato del tutto facile; per il cibo, seppur così diverso, non ho mai avuto nessun problema, anzi sono sempre stata molto curiosa ed entusiasta di sperimentare gusti, sapori e metodi di cottura. Spesso perdendomi tra le piccole e grandi vie, mi ritrovavo in quartieri come Wan Chai, ricchi di bancarelle, che vendevano cibi di tutti i generi e pesce disidratato esposto in sacchi di juta.

In quel quartiere abitava anche una mia amica con cui facevo trekking la domenica sui dei trails e mi allenavo per l’arrampicata libera all’ YMCA di Hong Kong, nel quartiere di Kowloon. Volevo girare per la città per scoprire la cultura (abitudini, usanze..) del posto, cercando I posti non turistici(anche se all’epoca in Cina  c’erano  pochissime turisti perché  da poco si poteva andare.) Tutti questi scatti risalgono al periodo 1996-98.

Fu proprio da Kowloon che per la prima volta vidi l’Aqua Luna, una barca, simbolo di Hong Kong e l’isola di Hong Kong. Me ne innamorai e pensai che proprio lì sarei voluta andare ad abitare, cosa che poi mi riuscì nell’ottobre del 1999. Infatti sino a quella data ebbi modo di vivere, sempre a Hong Kong, in un prestigioso albergo, il Conrad Hotel che vedi in queste foto.

Mi piaceva molto la struttura dell’albergo. Amavo le colazioni che si facevano lì; amavo la palestra e la piscina che c’erano. La cosa particolare era che, un qualunque cittadino o turista, entrando nel Conrad hotel e prendendo l’ascensore, poteva scendere giù in uno dei più bei e lussuosi centri commerciali di Hong Kong, il Pacific Place. Ovviamente con lo stesso ascensore, se si era clienti, con la chiave, si accedeva all’albergo ai piani superiori. Ed era proprio in questo centro commerciale che avevo il mio parrucchiere, Michael, che mi salutava sempre dicendo “ hi Francy”. Lì ho imparato anche l’inglese, facendo dei corsi alla Berlitz School. Nel Pacific Place c’erano tanti ristoranti ma in particolare avevo l’abitudine di andare alla “food court”. Questo posto era un luogo dove poter assaggiare tutte le diverse cucine asiatiche: amavo prendere i noodles.

Questo scatto, del 2000, mostra il soggiorno della casa in Repulse Bay road, in cui andai a vivere. Questa foto la scattai per immortalare la caratteristica parete a vetrata da cui, quando arrivavano i tifoni, entrava acqua. Sui divani spesso mi mettevo a leggere. In particolare, molte cose che avevo in questa casa hanno fatto il giro del mondo, per poi ritornare nella nostra casa attuale a Napoli. Quando c’erano i tifoni, i portieri salivano a casa e portavano dei sacchi di sabbia per fare una specie di barriera contro il vento che soffiava a 200 km/h. Alcune volte alcuni grattacieli ondeggiavano così tanto da far muovere tutti i vestiti nell’armadio (io ero all’undicesimo piano). Mi ricordo di Rowina, una tappezziera bravissima che aveva le unghie dei piedi lunghissime; con la linea 6 di Hong Kong si arrivava alla Queen’s road. Lì c’era questa tappezzeria: le tende che tuttora sono a casa nostra ,alle finestre delle camere da letto, sono opera sua.

Quindi com’è stato stabilirsi?

Mi sono stabilita serenamente devo dire, facendo rapida conoscenza ed amicizia con altri occidentali residenti da più tempo di me sul posto, arricchendomi della loro esperienza di vita e delle loro tradizioni di origine. La casa la trovai attraverso delle agenzie immobiliari del posto ed era bello andare in giro, anche perché quasi sempre entravo in appartamenti posti in mega grattacieli, alla cui edilizia non ero abituata. Mi divertiva guardare le altezze dalle finestre e tutto quell’agglomerato di grattacieli e strade e giardini.

Hai continuato a fare la veterinaria anche in Cina? Di cosa ti sei occupata?

No, non subito. Dopo un primo momento di adattamento, ho continuato la professione di veterinaria. A Shanghai e a Pechino mi sono dedicata alla libera professione (per gli occidentali, attraverso il consolato). Mentre ad Hong Kong, grazie ad una delle mie specializzazioni, ho preso contatti con  una azienda che importava alimenti , al porto.

L’ambiente lavorativo era diverso, ma molto stimolante; buono il rapporto con i colleghi, tutti più grandi di me; buono anche il trattamento economico. Il vantaggio è stato quello di avere sin da subito occupazioni di prestigio. Ero abituata per la mia lunga gavetta italiana, a risolvere problematiche in modo rapido e a lavorare contemporaneamente su più fronti, cosa che, unita alle capacità personali, mi diede rapido successo. Lo svantaggio fu una iniziale gelosia da parte di alcuni colleghi, poi tutto andò bene.

Descrivimi una tua giornata 

Direi fatte di lavoro, casa e  divertimento con amici di tante nazionalità , cosa che rendeva anche un aperitivo molto stimolante e arricchente. Era proprio durante gli aperitivi pomeridiani che spesso si organizzavano le cose da fare nel fine settimana, Infatti mi ricordo le domeniche passate nella baia di Hong Kong, sullo yacht di amici. Mi ricordo di Lela, messicana, che spesso faceva le tortillas; molte volte quando ci vedevano infatti, le offriva insieme al guacamole (tutto fatto da lei).

Le tradizioni del posto  erano tantissime. In una delle tante occasioni di inviti a cena, ricordo per esempio, che  a Pechino, mi fu offerta una zuppa di tartaruga. La tradizione voleva che all’ospite di primo riguardo fosse dato un pezzetto di zampa nella porzione di  brodo. Sicché’ io mi ritrovai con questo pezzetto di zampa di tartaruga, che certo non riuscii a mangiare. Alcune volte provarono addirittura ad offrirmi degli insetti fritti, tra cui cavallette e larve che mi rifiutai di mangiare.” In queste foto, sono a Macau; nella foto centrale sono con Lela.

Se potessi ritornare nella Cina di un tempo, lo faresti?

Si ,ritornerei a vivere nella “mia” Cina, ma solo con la testa e lo slancio di allora,  ovviamente ora sono molto cambiata. Per un occidentale inserito in realtà lavorative robuste, la vita era agiata e facile. Attorno a me vedevo però differenti condizioni sociali. Per motivi di  famiglia sono ritornata in Italia e i programmi, che avevo pensato di realizzare in quella città, non sono stati poi portati a termine.

Non era l’Italia in sé a mancarmi ( visto che comunque avevo lì amici connazionali con cui poter confrontarmi e condividere emozioni e sensazioni),ma le persone  a me care, pur sentendole spesso. Nel complesso è stata una esperienza unica, formativa e di successo personale, che mi ha consentito di aprire e portare la mente ad una dimensione e ad una conoscenza che diversamente non avrei raggiunto.

Luoghi nel tempo, di Alessandro Scognamiglio

Sia dalla cartolina trovata nel web che dalla foto che ho scattato io,  si vede il piazzale antistante la Certosa di San Martino (che sta nella città di Napoli, nel quartiere Vomero) da Via Tito Angelini, in un lungo campo.

San Martino, Napoli 1870 ca.
San Martino, Napoli marzo 2021

È un punto molto panoramico della mia città e del mio quartiere, meta di tanti turisti. Ho scelto questo luogo perché mi riporta alla mia infanzia: spesso mio padre mi portava lì, quando ero molto piccolo, a passeggio ed è lì che ho imparato ad andare in bicicletta e sul monopattino.

Io affacciato alla balconata panoramica del piazzale, Napoli, 2014I

Qui sono ritratto mentre guardo l’obiettivo sorridente, in primo piano, appoggiato alla balaustra panoramica del piazzale, durante una passeggiata notturna. Nella foto più recente si nota subito il palazzo sulla sinistra, che nella foto più antica non c’è ancora. È una meravigliosa palazzina Liberty; il villino Elena e Maria, costruito nel 1904 dall’architetto Ettore Bernich.

Lo stile Liberty, con le linee sinuose e gli elementi floreali, si diffuse a Napoli soprattutto tra il 1900 e 1920 e al Vomero ci sono esempi architettonici molto belli di quel periodo

Nella foto scattata da me Inoltre sono evidenti le numerose macchine parcheggiate che disturbano la bellezza del posto.

Nella cartolina di fine ‘800 ci sono solo persone e una specie di carretto che percorrono una strada non ancora asfaltata. Sulla sinistra ci sono degli archi in muratura che continuano fino al piazzale della Certosa. Infatti via Tito Angelini fu realizzata tra il 1886 e il 1889 e solo dagli inizi del 1900 fu edificata. Ho provato a immaginare come fosse la Napoli di fine ‘800 e mi è stato d’aiuto questo video con un filmato d’epoca.

Sullo sfondo, in entrambe le immagini, si vede la facciata della chiesa delle Donne a San Martino, costruita alla fine del ‘500 e chiamata così perché riservata alle donne fedeli che non potevano entrare negli ambienti della certosa.

Il piazzale oggi è molto più ampio e pavimentato lasciando più libera la vista del panorama.

In entrambe le foto è visibile il muro del castello sulla destra.

La felicità della donna, di Marta Polisi

foto 1

A casa di mia nonna  Maria Luisa ho trovato questo album al cui  interno ci sono le foto più importanti della sua vita, ovviamente ce ne sono poche perché all’epoca non era semplice riuscire a scattare foto. Ci sono foto dei suoi cugini, dei suoi fratelli, del suo gatto, della mia bisnonna o ancora il primo televisore.

Nella prima foto sono rappresentate mia nonna e le sue 2 cugine, le quali entrambe si chiamavano Maria Rosaria. Si può notare che erano vestite in maniera piuttosto elegante. Per una serata al Circolo Della Stampa indossavano tutte un cappotto lungo con  piccole borsette tenute in mano, le scarpe  hanno un piccolo tacco. Nella seconda foto sono ritratti: il fratello di nonna, sua cugina e lei. Il fratello di nonna Carlo, indossa uno smoking; mia nonna un vestito in seta; e la cugina di nonna un abito bianco con piccole decorazioni ricamate. Tutti avevano un grande sorriso. Questa foto è stata scattata durante la serata.

Queste due foto sono state scattate a Sant’Agata come si può notare dalle brevi didascalie scritte da mia nonna. Nella prima sono rappresentati il mio bisnonno a sinistra, la mia bisnonna al centro e mia nonna a destra. Nella seconda foto troviamo mia nonna in una posa un po’ scherzosa, seduta su di un muretto a Sant’Agata. Una cosa che ho notato subito è che il formato di queste fotografie è molto simile alle attuali polaroid.

foto 6

Questa foto è stata scattata a Sorrento. Sono rappresentate 3 donne: mia nonna, e le sue cugine. Si può notare dal colore grigio chiaro della foto che quel giorno era molto soleggiato. Mia nonna (a destra) indossava un vestito con una fantasia floreale e una bandana sul capo per reggere i capelli, indossava anche un paio di occhiali con una forma schiacciata. Al centro sua cugina, con un vestito bianco con un piccolo laccetto sulla vita, non indossava nessun accessorio in particolare solo un semplice orologio al polso. Poi sulla sinistra l’altra sua cugina indossava un semplice vestito bianco con un fiocco sul petto, e come mia nonna mantiene nella mano una borsa da spiaggia.

 

Anche in queste foto come in quella precedente, mia nonna, si trovava a Sorrento. Nella prima, come si legge sotto «M. Luisa a Sorrento (hotel Cocumella)», è stata scattata fuori l’hotel dove alloggiavano quando andavano a Sorrento. Mia nonna è sorridente perché le piaceva molto andare lì per le vacanze. Era vestita in maniera molto elegante: Una gonna stretta lunga fino al ginocchio e una giacchetta chiusa con dei bottoni molto grandi. I capelli erano legati con una molletta dietro e indossava degli occhiali da sole. Le scarpe erano aperte sopra e con un piccolo tacchetto. Nella seconda era nel giardino dell’hotel in piedi su di un tavolo. Indossava un giaccone marrone, che ha ancora adesso conservato, sopra il quale aveva attaccato una spilla. Ha entrambe le mani nelle tasche e sul polso sinistro è poggiata una borsetta. In testa l’acconciatura è coperta da un cappellino che copre circa metà testa.

Queste foto sono state scattate a Sorrento, nel giardino dell’hotel. Nella prima sono rappresentati tutti i cugini con mia nonna, in una posa scherzosa come se stessero giocando a nascondino. A sinistra c’è suo cugino Carlo, vestito con una semplice polo bianca e dei jeans; a destra dell’albero mia nonna la quale indossa un vestito a pois, e le due cugine. Mia nonna mi ha raccontato che questa foto è stata scattata dallo zio che accompagnava sempre tutti i cugini lì a Sorrento. Nella seconda si può notare la somiglianza di mio padre con lo zio Carlo (quello a destra). A partire da sinistra troviamo mia nonna, il cugino Mario, la cugina, il cugino Carlo e l’altra cugina. Le 3 ragazze indossavano i tipici abiti degli anni 60’: Le righe, i pois e le gonne lunghe. Anni prima a Sorrento venne prolungata la linea ferroviaria fino a Castellamare, in questo modo si apriva un nuovo mondo ricco di opportunità turistiche. E successivamente negli anni 60’  arrivò fino a Pompei.

Nella prima foto sono rappresentati la mia nonna e suo fratello Mario a cui era ed è ancora oggi molto legata. Si può notare dai graziosi cappellini e i coriandoli che si trovavano a una festa di carnevale. Nella seconda foto, sono invece rappresentate le 2 cugine con mia nonna. Tutte avevano uno splendido sorriso divertito. Indossavano, come nella prima, il cappellino.

Mia nonna tra le sue tante passioni aveva quella di visitare, nella prima foto troviamo ritratto tutto il gruppo di amici di mia nonna in gita sul Vesuvio.
Risalta subito all’occhio il ragazzo sullo sfondo che fa il gesto delle corna con le mani, stile che è rimasto fino ad ora. Mia nonna è quella che risalta in primo piano con una gonna con piccole stampe. Nella seconda invece era in gita a Paestum, davanti ad un monumento. Lei è ritratta di profilo con il volto girato verso l’obbiettivo. Indossa un lungo cappotto e delle ballerine, come si può notare dall’espressione è molto felice di essere li. È importante ricordare che alcuni templi a Paestum, in quegli anni, vennero danneggiati dalla gente del posto, durante l’occupazione delle terre da parte dei contadini, purtroppo senza rendersi conto del valore delle antiche rovine e degli antichi fasti di quelle comunità.

In queste foto l’espressione di mia nonna mostra tutta la sua felicità nel aver ricevuto in regalo i suoi primi mezzi di trasporto. Naturalmente sono in diversi anni, l’automobile (una fiat 500) per i suoi 18 anni, mentre lo scooter per i suoi 23 anni. Mi ha raccontato che quando andava in giro si sentiva libera perché era in grado di poter raggiungere le sue amiche che abitavano fuori zona, ed inoltre si riteneva molto fortunata essendo che in quegli anni non tutte le donne ottenevano questa libertà che lei era stata concessa. La prima fabbrica Fiat fu fondata da Emanuele Bricherasio e Giovanni Agnelli nel 900, le prime macchine erano a vapore, poi successivamente vennero realizzate macchine come quella presente nella foto: più lente ma facilmente utilizzabili. Vennero costruiti anche camion adatti al trasporto e gli autobus come mezzo pubblico.

 

Qui troviamo la mia bisnonna, una donna vissuta ben 97 anni. È stata soprannominata dai miei zii e mio padre «nonna nostra» in verità non so bene il perché, ma ormai è tradizione chiamarla così. Una donna molto particolare e con un cuore d’oro. La nonna mi racconta spesso di lei e del suo gatto «Luna» che guardava la televisione e non si poteva cambiare canale altrimenti si  dispiaceva oppure quando si scocciava di stirare e allora metteva tutte le lenzuola sotto i cuscini del divano e ci si sedeva sopra affermando di aver stirato per ore. Negli ultimi anni di vita restava sempre vicino la culla di mio fratello e cuciva con la lana copertine e sciarpe.

Ricordi da Assuan, di Federica Russo III A

In questa narrazione racconterò un’esperienza di lavoro del mio caro nonno Eugenio per far conoscere a tutti il contributo significativo che ha dato alla realizzazione di una grande opera ingegneristica, quella della diga di Assuan.

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Supervisione dei lavori in corso, Assuan, 1958; 10 cm x 15 cm

 

 

 

 

 

 

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Mio nonno Eugenio dirige i lavori della diga; scattata da un tecnico ad Assuan, 1958; 10 cm x 15 cm

 

 

 

 

 

 

 

In queste foto è rappresentato mio nonno, l’ingegnere Eugenio Turco, durante la costruzione di una parte della diga di Assuan in Egitto nel 1958. Nella prima foto, a campo lungo, si vede mio nonno accovacciato sulla sinistra e sullo sfondo ci sono le maestranze egiziane a lavoro. Le impalcature che si intravedono erano in legno e la maggior parte dei  materiali era trasportata a mano . Un pezzo della diga di Assuan è stato progettato da ingegneri italiani e mio nonno fu uno dei progettisti e il direttore dei lavori che terminarono il 21 luglio 1970. La diga, inaugurata ufficialmente il 15 gennaio 1971, è stata un’opera di fondamentale importanza per il Paese: i danni causati dalla siccità e delle rovinose inondazioni del Nilo sono stati attenuati, con il benefico vantaggio della regolare irrigazione delle terre agricole coltivabili che sono aumentate del 20-30%. La costante irrigazione distribuita lungo tutto l’arco dell’anno ha permesso raccolti più abbondanti, soprattutto di cotone, pregiato prodotto d’esportazione. Inoltre l’acqua, scorrendo attraverso la diga, ha generato energia idroelettrica grazie alla costruzione di una centrale a ridosso della gigantesca opera ingegneristica. Oltre ad impiegare energia pulita e quindi non inquinante, ha permesso all’Egitto di coprire più della metà del proprio fabbisogno di energia elettrica. Durante la stagione delle piogge la diga trattiene le acque crescenti del Nilo, che con il tempo hanno formato un bacino artificiale lungo oltre 500 chilometri, il lago di Nasser, così chiamato in onore del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. I tentativi dell’uomo di controllare la natura hanno provocato però, oltre che benefici, anche gravi complicazioni: la nascita di questo lago ha costretto 90.000 persone ad abbandonare la zona sommersa d’acqua e numerosi siti archeologici, tra cui Abu Simbel e molti altri templi della Nubia, sono stati spostati in luoghi più sicuri con l’intervento dell’Unesco, per salvarli dall’allagamento causato dalla diga. Alcune opere sono state successivamente donate dall’Egitto ai Paesi che hanno partecipato a questa opera di salvataggio. L’Italia ha ricevuto in dono Il tempio rupestre di Ellesija che è custodito al Museo Egizio di Torino.

Le foto che seguono ritraggono mia mamma e i suoi fratelli in visita al tempio di Abu Simbel, infatti mio nonno Eugenio, nato in Egitto, è ritornato nel suo Paese anche con la sua famiglia.

 

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Mia madre e i suoi fratelli,tempio di Abu Simbel, Assuan, 1983; foto scattata da mio nonno Eugenio, 15 cm x 18 cm

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La foto, a campo lungo, ritrae sullo sfondo il monumentale tempio alla cui base presenta una rampa di accesso e lateralmente aperture a colonna e in posizione decentrata, in piena luce, i tre fratellini.

 

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I miei nonni con i loro figli, tempio di Abu Simbel, Assuan; foto scattata da una guida, 1983; 15 cm x 18 cm

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa foto, a campo lungo, è stata scattata nel dicembre del 1983; si vedono, in posizione centrale, i miei nonni materni, mio zio Paolo, mia zia Anna, mio zio Angelo e mia madre che si trovavano all’interno delle mura del tempio di Abu Simbel. Sullo sfondo si intravede l’ingresso e lateralmente delle statue risalenti all’età antica. Questo sito a sud di Assuan lungo le rive del lago Nasser è il più famoso di tutto l’Egitto dopo le Piramidi di Giza. Costruito dal più grande dei faraoni, Ramesse II, questo enorme tempio scolpito nella roccia marca il confine meridionale dell’antico impero egizio con la Nubia, ovvero il punto di massima espansione raggiunto durante il Nuovo Regno.Le quattro statue presenti all’entrata del tempio principale sono anche le più grandi sculture risalenti all’epoca faraonica.  Attraverso la loro realizzazione si intendeva trasmettere il potere dei sovrani dell’Egitto su chiunque vi posasse lo sguardo e di fatto le grandi statue di Ramesse e della sua sposa Nefertari, ancora oggi incutono un certo timore. Le sabbie del deserto avevano coperto quasi per intero la loro struttura, lasciando scoperta la sommità delle teste delle enormi statue presenti di fronte alla loro entrata.Dal 1909, quando la sabbia fu rimossa, questi templi gemelli divennero i più popolari di tutto l’Egitto.

 Le foto che seguono ritraggono altri momenti felici vissuti dalla mia famiglia in Egitto.

 

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Mia mamma durante un’escursione alle piramidi, Giza, Egitto, 1983; foto scattata da mia nonna; 15 cm x 18 cm

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La foto, a campo lungo, ritrae sullo sfondo le piramidi e in posizione decentrata, sulla sinistra mia madre con la guida, e sulla destra due dromedari che riposano. L’atmosfera è resa suggestiva da una luce avvolgente e dai colori caldi della terra.

 

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Mia nonna, mia mamma e i suoi fratelli, Assuan, 1983, foto scattata da mio nonno; 15 cm x 18 cm

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa foto, a campo corto, ritrae in posizione centrale mia nonna con i suoi figli e un beduino che guida il calesse. Anche qui la luce è intensa e i colori avvolgenti.

Questa storia mi ha emozionato molto perché ho potuto conoscere meglio mio nonno Eugenio e apprezzarne il suo grande valore.