I giochi all’aperto di Arianna Attardi classe 1^ A

  

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Questa è una foto di mia nonna paterna , Anna Palumbo e suo fratello Giovanni . Nonna Anna è nata e vissuta a Salerno ; inoltre fin da piccola aveva un legame speciale con il mare . Ogni giorni i due fratelli andavano sulla spiaggia di Marina di Pisciotta dove trascorrevano indimenticabili giornate a giocare a mare costruendo castelli di sabbia e rincorrendosi sulla riva.  

 Inoltre nonna Anna con suo fratello Giacomo riuscivano a divertirsi all’aperto facendo qualche giro sulle giostre , giocando a nascondino e a guardie e ladri .

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Le loro avventure non si limitavano al mare . Infatti in questa foto nonna Anna è ritratta mentre rincorre un pallone sul lungomare di Salerno dove solitamente era facile trovare mercatini ricchi di bancarelle ben forniti di dolciumi , giocattoli e tante attrattive per grandi e piccini. Mia nonna preferiva andare a Pisciotta perché lì si sentiva libera di giocare con i cugini e gli amici del posto. Quando si è trasferita a Napoli, nonna Anna ha continuato ad andare in questo luogo magico con la famiglia che ha realizzato con il nonno e i i suoi due figli , Davide il mio papà e Maria Luisa , mia zia

Migrare per amore e per lavoro, di Caterina De Stefano II E

Ho  deciso di raccontare della mia prozia francese, Carole Poirey, (moglie del fratello di mia nonna materna) che ha deciso di migrare dalla Francia all’Italia, per amore. La mia prozia è nata a Besançon nella regione Bourgogne Franche-Comté, ma e cresciuta vicino Versailles. Lei veniva spesso a Ischia per trascorrere le vacanze estive. Proprio li ha conosciuto il mio prozio Gennaro e si sono innamorati. Quindi Carole ha deciso di trasferirsi in Italia, a Firenze, dove viveva il prozio e tutt’ora sono lì insieme. Questa è una delle prime foto che è stata scattata quando la mia prozia si è trasferita.

Nella fotografia, in un bellissimo primo piano, sono ritratte mia madre piccola in braccio alla mia prozia. La foto è stata scattata nel 1981 circa, dal mio bisnonno Vincenzo, detto nonno Enzo. Carole ricorda che la foto fu scattata durante una vacanza ad Ischia in cui era riunita tutta la famiglia Calabrese. Infatti lei e suo marito trascorrevano quel periodo con i suoceri e i fratelli, con i nipotini allora molto piccoli. Tra questi Maria Elena, mia madre, aveva circa tre anni e Carole ricorda come fosse incuriosita dai suoi sandali di perline. Era una gran chiacchierona ed era molto attratta dai sandali di Carole. Per questo le faceva tante domande, giocherellando con le sue scarpe.

Quando andiamo a trovare i prozii, a Firenze, la mia prozia mi racconta del suo viaggio verso l’Italia che è stato bellissimo. E’ stata molto entusiasta di arrivare qui in Italia e per nulla delusa di trasferirsi a Firenze. Il viaggio che ha fatto è stato piuttosto tranquillo; ha viaggiato dalla Francia all’ Italia in treno, di notte. Ha dormito in  cuccetta, in uno scompartimento con altre cinque persone.  Ora lavora come insegnante di storia e italiano in francese a un liceo.

Questa è un’altra foto della mia prozia Carole. E’ stata scattata in Francia, sul terrazzino di un carissimo amico della mia prozia, purtroppo deceduto .La foto è stata scattata proprio da lui e Carole la tiene conservata, nella casa di Firenze, con molto affetto perché le ricorda il suo caro amico. Le ricorda inoltre della Francia e dei bei tempi giovanili . E’ stata scattata in occasione di un saluto prima di partire per l’Italia. Risale al 1981 ed è rimasta in forma originale, stampata su carta in bianco e nero.  

Voglio raccontare anche della migrazione temporanea del migliore amico di mio padre, Francesco Varriale.

Questa foto stata scattata ad Amberley, paesino dell’Inghilterra, in occasione di una passeggiata in un fine settimana. Vediamo la staccionata di recinzione di un bar. La foto è stata fatta dalla moglie di Francesco, Marika Forgione.

Si sono trasferiti lì, nel 2012, per motivi di lavoro; infatti Francesco è un geologo e lavora per un’azienda petrolifera e Marika è una farmacista e ha trovato lavoro lì. In realtà dopo alcuni anni, loro sono tornati a vivere qui a Napoli; infatti la vera migrante nella loro famiglia è Cecilia, la figlia, che è nata in Inghilterra, solo che essendo molto piccola non ricorda molto. Le sono rimasti impressi il giardino della casa e la scuola che frequentava. Sono stati molto soddisfatti dell’esperienza durata qualche anno, tranne per il fatto che d’inverno faceva un freddo cane.

Altri ricordi del trasferimento in Inghilterra riguardano il trasloco. In questo scatto un interno della casa in cui si erano trasferiti con tutti gli scatoloni in giro. La foto è stata scattata da Marika, nel 2012, a Crawley, in Inghilterra. Raffigura il soggiorno della loro casetta ingombrata dagli scatoloni del trasloco. Sono arrivati in Inghilterra in macchina attraversando il tunnel della Manica. Si ricordano bene del caos che c’era nella loro casa quando sono arrivati e le foto fanno tornare alla mente il bel posto dove si erano trasferiti. Quello a Crawley è stato il loro primo trasloco inglese, poi dopo hanno girato un po’ l’Inghilterra, attraversando anche l’Irlanda.

Questo video mostra le caratteristiche del tunnel della Manica, grande opera ingegneristica del XX secolo

 Un ultimo ricordo è l’afternoon tea. Infatti il pomeriggio andavano a prendere il te o al bar o da una loro amica. Questa è una delle foto ricordo che hanno scattato quando, appunto, hanno fatto merenda da una loro amica a Dublino per uno snack tra amici. . Nella foto c’è del caldo te e  dell’immancabile apple pie. Faceva molto freddo in quel periodo e ,quindi, una tazza di thè caldo era ideale per riscaldarsi. Entrambe le foto risalgono al 2012, anno in cui si sono trasferiti nel paese britannico.

Cronaca emotiva di un trasferimento, di Francesco Caruso II E

Mia zia Adriana, che è nata a Napoli, nel 2023 si è trasferita a Washington, la capitale degli Stati Uniti perché il marito, mio zio Claudio, doveva spostarsi per lavoro. Insieme a loro c’erano anche i loro figli, Manu e Lolla, che sono multilingue, infatti parlano il francese l’inglese e l’italiano. I miei zii, prima del trasferimento in America, si trovavano in Francia dove hanno vissuto per un po’. Mia zia non conosce bene l’inglese e quindi sta facendo dei corsi per impararlo. L’ho intervistata per questo progetto e mi ha raccontato che il trasferimento è stato abbastanza faticoso. Prima di trasferirsi definitivamente sono tornati in Italia, dalla Francia, per le vacanze estive.

Questa foto, del 14 luglio 2023, ritrae i miei cugini, Manu e Lolla, con dei loro cugini. Si trovavano in Cilento, sulla barca di mio zio. Questa fase possiamo definirla vacanza pre- emigrazione perché appunto questa è stata l’estate prima della loro partenza: erano sia felici, perché in compagnia dei loro cugini e di zio Genny, ma anche tristi e nostalgici poiché loro sarebbero partiti a breve per un altro continente. Questa foto si trovava nel telefono “Europeo” di mia zia poiché vivendo in Francia aveva una sim europea che ha dovuto cambiare con una americana anche se ovviamente il telefono europeo è gelosamente conservato da mia zia perché al suo interno contiene molti ricordi di quando era in Francia.

Anche questo scatto è stato realizzato nella stessa vacanza in Cilento. I cuginetti stavano mangiando una mozzarella (19 luglio 2023). Mia zia, autrice della foto, racconta della felicità dei miei cugini nel gustare i sapori della Campania. Prima di partire hanno fatto la scorta di prodotti (mozzarella ecc) sia da portare sia nella loro pancia; infatti hanno mangiato di tutto: babà, sfogliatelle, mozzarelle e i cibi tipici napoletani di cui loro sono cugini sono molto golosi. La zia dice anche che sentono molto la mancanza di questi cibi (come biasimarli). Quando li ho sentiti al telefono, i miei cugini hanno dichiarato di essere in astinenza!

Questa foto è stata scattata il 27 luglio 2023, nell’aeroporto di Parigi poco prima della partenza per gli USA. Sono arrivati a Parigi da Napoli poiché avevano trascorso le loro vacanze lì. I loro bagagli invece erano già partiti da un pezzo.  I miei zii e i miei cugini erano molto impazienti di partire per vedere la nuova casa e conoscere nuove persone.

Tra l’altro, avevano molti bagagli, per la precisione 12: una faticaccia il trasporto! Questa fase possiamo chiamarla “trasferimento vero e proprio”; una fase in cui appunto ci sono le emozioni: magari tristezza di abbandonare casa e amici, nostalgia ma anche impazienza di iniziare da zero una nuova vita in America, un altro continente tutto da esplorare per conoscere, per fare nuove amicizie, per confrontarsi con una nuova cultura, abitare una nuova casa , adattarsi a nuovi luoghi di svago e non.

Questa foto, scattata il 27 luglio 2023 alle ore 10 e 50, ritrae mio zio, per loro nonno Gennaro, insieme ai miei cuginetti all’aeroporto di Napoli in partenza per la Francia per poi arrivare a Washington. Mia zia racconta che, per i troppi bagagli, hanno dovuto usare due macchine con due accompagnatori volontari della famiglia. Avevano anche relativamente pochi bagagli perché il trasferimento generale era già avvenuto da Tolosa in Francia, dove abitavano da ormai qualche hanno e dove hanno lasciato un pezzo di cuore. Questa è sempre la fase di trasferimento come spiegato prima ma qui non si stava pensando tanto a una nuova vita ma anzi a quella vecchia, alle origini ,ai della propria infanzia dove si è cresciuti. Quindi prevalevano un senso di nostalgia, di tristezza e di vuoto nei cuori dei miei zii e dei miei cugini ma anche dei loro familiari.

Questa foto, del 7 luglio 2023, ritrae mio zio Claudio che guarda l’interno di un container di dodici metri che stava per partire carico dei loro mobili, oggetti…insomma tutto. E’ stato un momento in cui regnava un senso di vuoto e disorientamento perché vedere la propria casa svuotata di tutto, quasi senza una anima, che piange disperazione non è bello. C’è anche tristezza nel veder quel grosso container che si allontana con tutta una casa, con dei ricordi che non sai se arriveranno tutti, quindi si aggiunge un senso di preoccupazione e di paura.

Questa foto, in ogni caso, ha una storia molto grande dietro: perché il container è partito dal porto di Tolosa, Francia, per arrivare al porto di  Tolone, sempre in Francia, per poi ripartire verso Baltimora negli USA, per poi ripartire finalmente per Washington, arrivando tra l’altro 5/6 settimane dopo degli zii, lasciandoli quindi senza mobili per un po’ di tempo.

In questa scatto del 28 luglio ore 11, i miei cuginetti sono arrivati in America; gli zii avevano appena noleggiato, di fronte all’aeroporto, una macchina,  per la precisine un pick-up per po’ per fare bella figura e per divertirsi. In realtà questa scelta non si è rivelata la migliore perché con un’auto così non è comodo, ad es. fare la spesa quando piove poiché le buste si allagavano. Infatti dopo due giorni sono corsi a restituirla. Quindi bello sì, ma neanche troppo, anche se miei cuginetti si sono divertiti molto e come biasimarli: non è stato forse il sogno di tutti andare su un pick-up? Secondo me sì. Erano comunque nella fase che possiamo definire di “adattamento” perché magari, tra un giro della città e una visita ai negozi, si sono visti un po’ dei luoghi che li avrebbero ospitati per un bel po’ di tempo e si sono anche divertiti.

Questa foto, del 1 agosto 2023, ritrae i miei cuginetti a guardare la tv nella casa in America, dove vivono tutt’ora. C’è un aspetto divertente che mi ha raccontato mia zia dietro questa foto. Un giorno, quando non era ancora arrivato niente dei loro bagagli, i miei cuginetti si stavano annoiando allora con gli zii sono usciti di casa e si sono recati in un grande magazzino e hanno deciso di comprare un televisore. Il problema però era che non avevano proprio niente e allora hanno dovuto mettere delle coperte sul pavimento su cui stendersi mentre i loro  genitori montavano alcuni mobili che avevano comprato nello stesso grande magazzino. Il bello è che i miei cugini non hanno fatto una piega e come se niente fosse si godevano il programma in tv. Erano quindi sempre nella fase di adattamento e c’erano emozioni contrastanti. Erano inteneriti dai due piccolini rannicchiati sulle coperte a guardare la tv; avvertivano un senso di vuoto per la casa che non sentivano ancora loro, ma solo come delle mura con poco e niente dentro, ma sentivano anche la felicità di essere arrivati in un posto nuovo, tutto da esplorare.

Questa foto, scattata il 18 agosto 2023, ritrae mia cugina di fronte all’insegna della sua nuova scuola. Lei frequenta la prima elementare e in America le scuole sono molto diverse dalle nostre, per esempio, ogni scuola ha una mascotte in questo caso i leoni. In quel momento era molto emozionata, felice ed euforica perché stava andando ad una festa organizzata dalla scuola per accogliere i nuovi arrivati, conoscere i professori, il preside e i nuovi compagni che la accompagneranno negli anni delle elementari. Anche per i genitori è stata un’occasione per conoscersi.

Questa fase possiamo chiamarla finalmente “vero adattamento” perché si iniziano a conoscere nuovi amici, nuove persone, nuovi posti, nuove culture, nuovi modi di fare e una nuova lingua. Anche mia zia, nello scattare la foto, era molto emozionata e orgogliosa perché vedeva finalmente sua figlia crescere ed andare in prima elementare che è una bella soddisfazione soprattutto se si fa in una nuova citta e in un nuovo continente. Ma d’altronde è una fortuna essere all’inizio di un ciclo di studi perché poteva iniziare magari dalla seconda che sarebbe stato uno svantaggio.

In questo scatto del 24 agosto 2023, mia cugina era al suo primo giorno di scuola, molto eccitata davanti allo scuola bus. La scuola lì comincia il 24 agosto e finisce verso metà giugno anche se loro hanno dei periodi di stop che compensano. Gli scuolabus non hanno cinture di sicurezza e ognuno siede ogni giorno dove vuole: è un’ esperienza per socializzare e divertirsi. Inoltre lì non c’è l’abitudine di accompagnare i propri figli a scuola, ma si va semplicemente con lo scuolabus.

 Mia cugina in questa fase di adattamento vero e proprio è stata molto entusiasta, euforica, carica, felice di conoscere nuove persone, di vedere nuovi posti e di scoprire tutto quello che la circonda soprattutto perché in America si organizzano partite, eventi sportivi, feste e tanto altro come laboratori o gite. Quindi per lei è comunque tutto un’ esperienza molto bella ed eccitante perché propongono sempre nuove attività per divertirsi e conoscere.

Questa è la storia della seconda migrazione della famiglia dei miei zii: migranti due volte, da Napoli alla Francia e poi dalla Francia in America. E’ proprio vero che in ogni famiglia c’è qualche migrante!

Le mie nonne, di Nicole Ferrara

Mi chiamo Nicole e in questa foto sono insieme ai miei compagni di classe. Sono al centro, con la fascia rossa tra i capelli.

Con mia mamma, ho scelto due foto delle nonne Michela e Rosaria. Nonna Rosaria è la mamma del mio papà e nonna Michela è la mamma della mia mamma.

In questa foto ci sono Nonna Rosaria e nonno Franco che purtroppo non c’è più. Sono ad un ricevimento al Palazzo Reale di Napoli, nel 1968.

Nonna Rosaria ha 86 anni e vive con noi. Alcune volte gioco con lei e altre volte litighiamo; spesso succede per decidere il canale da vedere in televisione. Nonno Franco si occupava di riparare ascensori.

In questa foto Nonna Michela è a Vieste, nell’estate del 1958.

Nonna Michela vive con una mia zia. Viene a casa mia qualche volta insieme a mia zia e a sua figlia Daria. Io gioco con Daria che ha 17 anni. Vado d’accordo con la nonna Michela.

La mia mamma ha schedato le due foto.

Il mio nonno speciale, di Rossana Lenhardy

Ho intervistato mio nonno, Pasquale Accardo, cioè il protagonista di questa storia. Ho deciso di intervistarlo perché è la persona che mi è più vicina. Mentre gli ponevo le domande, si commuoveva nel ricordare il suo passato e ne era anche molto fiero. Mi raccontava tutto con un sorriso stampato sul volto e certe volte anche sovrastandomi  per la grande gioia. È nato il 17/05/47 dai miei bisnonni Bianca e Ferdinando.

Nel 1965 si iscrisse alla facoltà di medicina dove si laureò nel 1971 (110 e lode).

Nel 1968 si fidanzò con mia nonna Rossana

Questa foto del 1969, risale al periodo del fidanzamento. Il nonno mi ha detto che erano in gita a Vico Equense e faceva molto freddo (addirittura nevicava); un amico li fotografò a figura intera sullo sfondo del panorama.

Si sposò nel 1976. Questa foto del matrimonio è incorniciata ed esposta in casa dei nonni. Era il 7 settembre 1976, nella Chiesa della Rotonda al Vomero: il nonno racconta che erano molto felici oltre che elegantissimi

Dopo il matrimonio ebbero tre figli.

Questo bel primo piano del 1979 è opera della nonna: Un bel ritratto del nonno, scattato durante le vacanze in Calabria: un’estate molto calda ma trascorsa in buona compagnia, ha commentato il nonno.

Anche questa foto del maggio 1986, a Villa Cimbrone, è stata scattata dalla nonna. In primo piano a mezzo busto ci sono mia mamma e mio zio; in secondo piano il nonno sorridente. Questa foto voleva essere un ricordo per il futuro.

Nel 1984, da anestesista fu nominato DIRETTORE SANITARIO dell’ospedale Evangelico di Napoli (Villa Betania).

Poi nel 2003, nominato DIRETTORE GENERALE dello stesso ospedale.

Nel 2018 è andato in pensione, ma lo stesso si reca in ospedale. A nonno piace svegliarsi la mattina presto, uscire per comprare il giornale del giorno, prendere la prima tazzina di caffè e secondo l’umore e/o gli impegni (ad esempio recarsi in ospedale) fare un giro in via Scarlatti.Poi torna a casa dove trova la nonna a fare colazione se non è al coro. Lì, aspetta la nonna che si prepara per una passeggiata insieme.Dopo, ogni giorno, manda la nonna per recuperarmi da scuola mentre lui cucina il pranzo e apparecchia la tavola (per non sprecare tempo perché in famiglia si sa, il nonno è sempre preciso e puntuale). Verso le 19:30 i nonni escono nuovamente per un altro caffè e giro in via Scarlatti. Purtroppo, da quando è giovane, il nonno porta una protesi per le passeggiate.

Tutti i pomeriggi d’inverno pratica la cyclette, sia perché gli piace ed è diventata un’ abitudine, sia perché così si tiene in forma.

In vacanza ad Ischia, a Sant’Angelo, negli anni scorsi, portava in canoa me e mio fratello dalla spiaggia delle fumarole (il girasole) alla roccia dell’elefante (alcune volte anche oltre). Ora però nonno ha un dolore alla spalla e quindi, come ho già detto, non andiamo più in canoa.

In questo scatto del 1999, il nonno è ritratto proprio a Sant’Angelo con l’amico Emiliano, ridente e spensierato, durante una festa.

Il nonno, per me, è una persona davvero speciale, ma credo anche per il resto della mia famiglia. È molto disponibile e gentile; dal pensionamento, mi dedica molto tempo, non solo per seguirmi nello studio, ma anche per ascoltare i miei problemi ed aiutarmi a risolverli. Eccoci insieme, abbracciati , in un bello scatto di qualche giorno fa!

Storia di Elena, una conversazione tra madre e figlia, di Valeria De Laurentiis

Valeria De Laurentiis ha pubblicato, precedentemente, una storia parziale della sua famiglia, raccontando dei suoi nonni materni, Mena e Peppe, che qui sono spesso ricordati dalla madre Elena [N.d.R]

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Ho proposto a mia madre, Elena, di farsi intervistare per il progetto Sguardi e storie, utilizzando alcune foto dell’archivio di famiglia.

All’inizio l’ho vista perplessa ma di fondo emozionata all’idea di raccontarsi; chiedeva “Perché?” “Proprio io?” e “Chi potrà interessarsi alla mia storia?”. Allora ho cercato di spiegarle cosa è un sito web e come la sua narrazione avrebbe fatto parte di un racconto collettivo di storie personali ma nello stesso tempo partecipi della storia del ‘900.

Non credo abbia capito davvero di che si tratta come accade quando mi chiede spiegazioni su alcune funzioni del telefono cellulare con cui mi vede armeggiare. La tecnologia rimane per lei una sorta di magia inspiegabile, ma ha accettato di buon grado l’idea dell’intervista perché narrare di sé, rievocare persone e momenti attraverso le foto, credo sia un profondo bisogno per chi ha la fortuna (non certo priva di disagi e tristezze) di invecchiare.

Abbiamo dedicato diversi pomeriggi a guardare foto, riportare alla memoria momenti: lei presa dal filo dei ricordi che si dipanavano in ordine sparso o, a volte, inaspettatamente strutturati; io a incalzare con le domande e a seguire le sue emozioni.

In questi scatti, nella cucina di casa mia, perfino munita di lente d’ingrandimento, è quasi incantata; guarda sorridente le immagini mentre i racconti riaffiorano:

Cominciamo a dire chi sei

 Mi chiamo Elena Loffredo e sono nata a Napoli, il 1° gennaio del 1929. Ho novantaquattro anni, quasi un secolo..

Fa un bel sorriso e un guizzo di sorpresa le attraversa lo sguardo

Cosa ti ricordi dei primi anni della tua vita?

Abitavamo in via Macedonio Melloni, a Napoli, nel centro storico, zona piazza Carlo III

La mia famiglia allora era composta dai miei genitori, Giuseppe e Filomena (Peppino e Filume’), due sorelle, Maria (nata nel 1924) e Cristina (nata nel 1927), un fratello, il maggiore, Luigi (nato nel 1922).

Queste due foto, come molte delle altre che utilizzeremo, le abbiamo trovate in un cassetto di una libreria nella casa dei nonni, destinato a raccogliere le foto accumulate nel tempo. Nella prima, Elena è in braccio alla mamma, Mena, al balcone di casa e guardano verso il fotografo che le riprende da un altro balcone, senza riuscire ad evitare il primo piano della pluviale. Mena sorride mentre Elena guarda incantata verso l’obiettivo stringendo con una mano una ciotolina. Nella seconda è al centro della foto, minuscola figura intera in primo piano, sullo sfondo di un muro urbano, scrostato e attraversato anche qui da una immancabile pluviale. Sorride all’obiettivo, abbastanza naturale nonostante sia stata messa in posa rigidamente.

Queste sono le foto più antiche di te che abbiamo. Nella prima dovevi avere meno di un anno, nella seconda forse due, quindi le possiamo datare tra il 1929 e il 1931. Ti ricordi qualcosa?

Ero troppo piccola; mi ricordo però che in famiglia si raccontava che ero molto bella e proposero ai miei genitori di iscrivermi ad un concorso di bellezza, ma mio padre non volle. I miei primi ricordi risalgono a quando frequentavo le scuole elementari.

È timidamente orgogliosa della sua bellezza mentre cerca di riconoscersi nei lineamenti di bimba. Scegliamo allora altre due foto che risalgono agli anni delle elementari

Sono due foto tenerissime in cui Elena è ritratta con le sorelle: nella prima, del 1935 ca., è con Rita, la minore delle sorelle, e nella seconda, datata 6 marzo ‘938, XVI, con Maria, la maggiore. Queste due foto, che guardavo anche da bambina, mi hanno sempre colpito molto. Non portano indicazione di uno studio fotografico, ma entrambe esistono in più copie; la seconda fa parte di una serie di quattro foto scattate nello stesso giorno. Probabilmente, pensiamo, che l’autore potrebbe essere il fratello minore del nonno Peppe, zio Mario, allora poco più che ventenne, appassionato di fotografia. Chiunque sia stato, soprattutto nella prima foto, è riuscito a cogliere quella che ai miei occhi è l’essenza dell’infanzia in quegli anni: due bambine, Elena a sinistra, seria e concentrata, allunga il braccio per abbracciare la sorella Rita che mostra uno di quei sorrisi spontanei e gratuiti propri solo di un bambino; i grembiulini che si indossavano in casa, il taglio dei capelli tipico di quegli anni, restituiscono simultaneamente la tenerezza di un’infanzia semplice, che si contentava di poco per essere felice. Nell’altro scatto, sullo sfondo di un esterno sfocato, in cui Rita è sostituita da Maria, si ripete lo stesso gesto invertito, stesso taglio delle figure; i sorrisi delle sorelle sono appena accennati e Maria guarda un punto lontano. Elena ricorda bene il cappottino che indossava, rosso con il colletto di pelliccia.

Vediamo queste due foto, risalgono a quegli anni

Le guarda intenerita e inizia un lungo racconto

Ci eravamo trasferiti in un altro quartiere, Forcella. Mio padre lavorava con suo padre, Luigi, che aveva fondato casa editrice e libreria. La sede dell’azienda di famiglia era in via San Biagio dei Librai n. 2, in un palazzo del 1400, Palazzo Carafa. Mio padre lavorava con i fratelli Mario e Giovanni. Prima di loro il nonno era stato in società con la famiglia Rondinella, di cui faceva parte un suo cognato. Rondinella-Loffredo si occupavano di editoria sacra, ma da quando io ho memoria la casa editrice Loffredo ha sempre stampato e venduto libri scolastici anche di livello universitario.

Quando ci trasferimmo a Forcella noi fratelli e sorelle eravamo diventati otto. Erano nati Rita (1930), Enzo (1932), Alfredo (1934), Gianni (1936). La nostra casa era grande, composta da otto stanze e vivevano con noi anche la madre di mia madre, nonna Maria, con un fratello e due sorelle di mia madre, Gigino, Ida e Teresina. Più tardi Ida e Gigino si sposarono e andarono via ma prima di quel momento la loro presenza creava continue tensioni. Abitammo in quella casa fino allo scoppio della guerra e poi nel ’43 sfollammo a Torre del Greco.

Noi bambini andavamo a scuola accompagnati da un impiegato della libreria, Eugenio Ferrara, poi al ritorno ci fermavamo lì e infine tornavamo a casa sempre con uno degli impiegati. A casa avevamo una stanzetta dove studiavamo arredata con un grande tavolo e una libreria. Eravamo dei soldatini: silenziosi e ubbidienti.

Mia madre cuciva i nostri vestiti, perfino la biancheria intima. Le scarpe le compravamo difronte alla libreria dove c’era una fabbrica che era anche un negozio, quello del sig. Villani, cerimonioso e gentile. Mamma cucinava per tutti noi. La domenica si mangiava carne ma mi ricordo, al ritorno dalla scuola, spesso la pasta e fagioli. Nel vicoletto su cui affacciava la cucina di casa, passava un venditore di pesce che dava la voce. Allora mia madre calava il paniere e comprava il pesce, spesso alici. La signora dirimpettaia, che certo non era napoletana, faceva come mia madre, ma aveva l’abitudine di urlare al venditore “dammli buoni” con un accento che ci faceva ridere e che le valse il soprannome appunto di la signora dammlibuoni.

La nostra abitazione era al quinto piano e non esisteva ascensore. Ero io che avevo il compito di fare la spesa sotto casa. Ero una bambina allegra e la nonna Maria mi chiamava “core cuntento a’ loggia”.

Che voleva dire

Di preciso non lo so, ma credo si riferisse al fatto che mi bastava stare affacciata al balcone per essere felice. Mi piaceva stare fuori al balcone al sole e guardavo le persone passare. Il nostro era un palazzo del Risanamento e affacciava in una piazzetta. Mio padre invece mi chiamava “maggiolino”. Papà era molto affettuoso con noi e ci abbracciava suscitando le critiche della nonna Maria. Mia madre era invece meno espansiva.

La stanza da bagno ospitava una tinozza in cui ci lavavamo. Io, per un periodo, portavo lunghe trecce e mia madre mi pettinava con un grande fiocco sulla testa.

La scuola elementare era intitolata a Vittoria Colonna. La mia maestra era una donna di mezza età, la signora Olga Radente. Era buona.

Come giocavate? Avevate giocattoli?

I giocattoli li ricevevamo nel giorno della Befana e a San Giuseppe, forse perché si festeggiava il padre falegname e allora ci regalavano giocattoli in legno. Avevamo bambole, la piccola cucina, i soldatini, i trenini. Avevamo una stanza da letto per le femmine e una per i maschi. La domenica mattina con mio padre andavamo in visita ai nonni paterni; la nonna Cristina era cieca per un errore di intervento oculistico. Almeno così si raccontava.

E le scuole medie?

Ho frequentato poi le scuole medie al Vittorio Emanuele. Il mio professore di italiano si chiamava Ferolla e quello di matematica, un pazzo, Andreani. Ero una brava scolara e non ho mai ripetuto un anno. Fui rimandata solo una volta in matematica e il professore che mi dava ripetizioni, disse a mio padre: “Vorrei capire perché l’hanno rimandata”. Andreani era pazzo, urlava in testa e ci rimproverava anche se avevamo i capelli lunghi; dovevamo portarli corti o legati in trecce.

Ma, nel complesso, se dovessi definire la tua infanzia con un aggettivo, quale sceglieresti?

Direi felice perché non avevamo niente ma eravamo felici.

Troviamo ancora una foto: è la sua prima comunione. Non ricorda la data, ma riflettiamo un po’ e osserviamo altre foto per cui deduciamo che doveva essere intorno agli anni ’40. Un indizio determinante sono i capelli che, a guardar bene, erano lunghi e legati in due crocchiette. Nello scatto, a figura intera, in un esterno, sono ritratti in primo piano, Elena con la sorella Rita e, alle loro spalle, il fratello maggiore, Luigi, con la sorella del padre, zia Concettina, madrina dell’evento

È il giorno della tua Prima Comunione

Mi ricordo che la chiesa in cui fu celebrata era quella dei Santi Filippo e Giacomo, nei pressi della libreria. Non ci fu nessuna festa però, non ne facevamo nemmeno per i compleanni. Eravamo una famiglia molto cattolica e noi ragazzi andavamo a Messa, con i genitori, ma anche da soli.

Com’era vivere durante il fascismo?

Ero piccola e nella nostra famiglia nessuno partecipava alla vita politica, ma bisognava essere fascisti fuori anche se dentro non lo eravamo. C’era ordine ma il prezzo che si pagava era l’impossibilità di esprimere la propria opinione. Stavamo tutti zitti perché c’era il timore di essere mandati al confino.

Siamo arrivate agli anni ’40 e ci tocca affrontare lo spartiacque della guerra. 

C’è una foto di famiglia, già pubblicata su questo sito, che è necessario riprendere come punto di riferimento

È una foto ufficiale della famiglia datata febbraio 1940, dopo tre mesi l’Italia sarebbe entrata in guerra. Abbiamo in casa molte copie perché il nonno, grande e generoso patriarca, le fece stampare e le regalò a tutti i figli in occasione del 50° anno di matrimonio. In una delle copie che abbiamo, sul retro, si legge: “Il Signore vi benedica e vi conservi sempre uniti nella sua Fede, nel benessere e vi renda lieve il sacrificio del lavoro. Potendolo, ricordatevi di noi. Con affetto mammà e papà Napoli, 10 luglio 1970”. Le leggo la dedica e lei è come la riscoprisse in quel momento. Nella sua espressione passano l’amore e la gratitudine che l’hanno sempre legata ai genitori. Ricorda con piacere l’unione che c’è stata tra loro fratelli, mai persa. Si commuove quasi riflettendo che soltanto lei e il fratello Gianni sono ancora in vita. Parliamo della matrice fortemente cattolica della loro famiglia e di tutta l’energia che i suoi genitori hanno messo nella crescita dei figli.

È una bellissima foto. Facendo un po’ di conti: la nonna aveva 43 anni, il nonno 45 e avevano messo su, in 20 anni di matrimonio, una famiglia di 8 figli nati tra 1922 e il 1936. In questa foto si respira un discreto benessere: avete tutti belle espressioni sorridenti; siete ben vestiti, la nonna e il nonno elegantissimi. Riconosco la spilla sul pizzo nero della nonna.

Non ci è mancato mai nulla. Mio padre lavorava e mia madre, in casa, faceva tutto da sola; con otto figli non era facile.

Hai memoria di quando l’Italia entrò in guerra?

Non mi ricordo i particolari, in fondo avevo solo 11 anni, ma dei bombardamenti sì, di quelli mi ricordo bene. Le sirene, un incubo e poi bisognava scappare. Mio fratello Enzo, terrorizzato, al suono delle sirene dell’allarme aereo, si nascondeva sotto il letto dei miei genitori e tirarlo fuori per raggiungere il rifugio era un’impresa. Poi non era un rifugio vero e proprio, era solo l’androne del palazzo. Vivevamo nella paura.

Ora capisco perché ogni volta che al telegiornale raccontano della guerra in Ucraina e sottolineano il rischio di un conflitto mondiale, tu vai in ansia e dici che se dovesse scoppiare una guerra tu speri di non esserci più perché non vuoi rivivere quell’orrore

Sì, mai più

A rinforzare i suoi ricordi, utilizzo un libro di qualche anno fa “Napoli 1943. I monumenti e la ricostruzione” a cura di Roberto Middione e Annalisa Porzio, edizioni Fioranna, Napoli 2010. Sfogliamo le pagine ricche di immagini e nell’articolo di Roberto Middione leggiamo che il primo bombardamento a Napoli fu nella notte del 1° novembre 1940; nel 1943 ci furono 181 allarmi aerei; l’ultimo bombardamento fu a maggio del 1944. Dal 1942 iniziò lo sfollamento della città che era diventata un fronte di guerra

Andaste via da Napoli?

Nel 1943, dopo tre anni dall’entrata in guerra dell’Italia, la situazione a Napoli città era diventata difficile per i bombardamenti. Fu così che il prof. Augusto Guzzo, autore della casa editrice Loffredo, offrì a mio padre la possibilità di trasferirsi in una sua proprietà a Torre del Greco. Il professore era molto affezionato alla nostra famiglia e scrisse una lettera in cui si leggeva: “Vi supplico, Don Peppino, di trasferirvi in una mia casa…”.

Era una palazzina di due piani, in via S. Giuseppe alle Paludi, vicino al mare. Noi occupavamo il primo mentre al secondo c’era una donna anziana, Lucia, con il figlio. La nostra casa era composta da due grandi stanze. I servizi erano molto primitivi: il bagno era alla turca e per lavarsi bisognava uscire fuori al balcone. Dalla palazzina si accedeva alle campagne di un contadino che chiamavano “‘Ntulino” da cui i miei genitori acquistavano le verdure. Sull’altro lato c’era un altro terreno che apparteneva ad un contadino soprannominato “‘o luongo “. Anche da lui compravamo verdure e uova. Il cibo quindi non ci mancava anche se il caffè era irreperibile e mio padre faceva chilometri in bicicletta per procurare il sale. Ci aiutava zio Mario, che faceva il militare e quando poteva veniva a portarci scatolame e altro.


Prendiamo queste tre piccole foto che portano sul retro indicazione di data e luogo: Torre del Greco 1943. Sono tre piani americani: nella prima Elena è con il padre; nella seconda ci sono, da sinistra, Rita, il padre e la madre; nell’ultima solo Elena.

Confrontando questi scatti con la foto ufficiale di famiglia, sono colpita dal cambiamento. Sono trascorsi solo tre anni ma soprattutto la nonna e il nonno, sembrano invecchiati di colpo

Sai, noi ragazzi eravamo meno consapevoli e lì a Torre del Greco, avevamo anche una certa libertà. Andavamo al mare, alla parrocchia; anche la scuola funzionava. Invece per i miei genitori le preoccupazioni erano tante, innanzitutto il pensiero di sfamare ogni giorno otto figli.

In casa avevamo una radio e ascoltavamo le notizie della guerra. Ricordo il suono angosciante della sigla del telegiornale di radio Londra. Poi i tedeschi arrivarono anche lì. Quando temevamo l’arrivo degli aerei come rifugio avevamo la canna di un pozzo. In seguito ci rifugiavamo nella casa di Don Giovanni Del Gatto, parroco della chiesa di San Giuseppe alle Paludi. Durante un rastrellamento dei tedeschi, mio padre e il primo dei miei fratelli, Luigi, Gigino per noi, scapparono nella campagna e si nascosero in casa del parroco, dove c’era una botola da cui si accedeva a uno scantinato. Mi ricordo il rumore dei carri armati tedeschi che passavano nelle strade mentre noi stavamo chiusi in casa.

Un giorno, per sfuggire alla cattura dei tedeschi, un marinaio entrò dalla porta che dava sul giardino: si inginocchiò davanti a una immagine della Madonna che mia madre aveva sul secretaire. Pregò e poi scappò via.

Poi nel 1944 il Vesuvio eruttò: cosa ricordi?

Da casa nostra vedevamo la lava incandescente che scendeva lungo il fianco del vulcano e c’era un boato di fondo continuo. Poi la cenere ricoprì tutto. La lava si solidificava ma restava tiepida a lungo. Potevamo camminarci sopra.

E finalmente la guerra finì nel 1945…

Si, ma noi restammo a Torre del Greco fino al ’49 perché la nostra casa a Napoli era stata bombardata. Mio padre fittò una casa a Napoli, in via Salvator Rosa e poi nel 1952 ci trasferimmo al Vomero, dove acquistò una casa che poi è quella in cui hai trascorso la tua infanzia.

Ma quando finì la guerra come fu per te?

Ero contenta. Avevo 16 anni. Arrivarono gli Americani e la gente uscì nelle strade: regalavano, cioccolato, calze di nylon. I miei genitori però non ci fecero uscire. Poi la nostra vita continuò. Andavo a scuola e mi diplomai al liceo classico di Torre del Greco, Gaetano de Bottis. Frequentavo la chiesa dei Cappuccini e facevo anche teatro! Avevamo degli amici e ci furono i primi amori e corteggiamenti.

Ci sono nell’album di famiglia questi due scatti, entrambi datati: “Cenerentola” 2 aprile 1945 Torre del Greco; a matita è stato aggiunto Chiesa S. Annunziata (Cappuccini)

Nel primo scatto Elena e la seconda da destra in seconda fila, abbracciata ad un’amica; nel secondo, con un costume di scena, e la seconda da sinistra, in piedi.

Riconosce alcune delle amiche (Maria Pepe, alla sua sinistra nel primo scatto, che si fidanzò con il fratello Gigino) e si ricorda anche le parole di una canzoncina dello spettacolo.

Questo primo piano porta la data maggio 1945, Spiaggia del Cavaliere, Torre del Greco

Qui sei sulla spiaggia

Si, andavamo al mare da soli, alla spiaggia del Cavaliere. Ci sentivamo liberi anche se correvamo dei rischi: per raggiungere la spiaggia attraversavamo un passaggio a livello. Avevo un costume da bagno di lana che mia nonna aveva fatto utilizzando la lana di un maglione vecchio. Immagina che succedeva quando uscivo dall’acqua…  Immagina cosa voleva dire per noi ragazzi. Prima della guerra nostro padre ci portava al mare una volta all’anno, a Coroglio, e ci prendeva in braccio perché non voleva che ci sporcassimo i piedi con la sabbia. Immagina che significò per noi tutta quella libertà e il mare sotto casa!

Mia madre, a volte, per essere sicura che i miei fratelli non avessero filonato la scuola per andare al mare, saggiava la pelle delle loro braccia per vedere se fossero salate. Per me Torre del Greco è un ricordo di libertà, eppure eravamo poveri e non avevamo più una casa nostra. Mi ricordo che i vestiti erano sempre gli stessi e non posso dimenticare quel giorno che a scuola, mentre ero nel banco, muovendo le braccia, sentii che il vestito si strappava

C’è nel suo racconto un orgoglio pacato per avercela fatta, per le piccole conquiste di autonomia, nonostante le privazioni, la paura, le perdite.

Finito il liceo che facesti?

Mio padre, appena compiuti 18 anni, volle che cominciassi a lavorare in libreria. Anche mia sorella Cristina lavorava con me. Pure 

 i miei fratelli Alfredo, Enzo e perfino Gianni, il più piccolo, quando non andava a scuola, lavoravano in libreria e casa editrice. Quindi ho iniziato nel 1948; raggiungevamo Napoli tutti i giorni col treno perché abitavamo ancora a Torre del Greco. Cristina ed io ci occupavamo della contabilità, ma anche di preparare i pacchi di libri per le spedizioni se era necessario. Mio padre era inflessibile: lavoravamo fino al tardo pomeriggio e potevamo andare via solo se avevamo finito il nostro lavoro. Poi se c’era un’emergenza, lui senza nemmeno guardarci in faccia diceva: “Questo pacco deve partire, per il buon nome della ditta”. Così noi, già pronte per andare via, dovevamo restare. 

Quando racconta questo episodio sento ancora la rabbia repressa nella sua voce, ma insieme l’accettazione e la stima per questo padre capace, con il padre e poi con i fratelli, di dare, tra gli anni 40 e 50, un impulso nazionale all’azienda di famiglia. Mi parla degli autori: Colamonica, Del Grande, Marmorale. Ricorda come tutti restarono al fianco dell’azienda anche quando, nel 1944, un incendio scoppiato per un corto circuito durante la cerimonia di inaugurazione della scuola elementare Settembrini, distrusse la libreria. Per alcuni anni, in attesa di riaprire nella loro sede, si appoggiarono in dei locali presso la chiesa di Santa Chiara.

Poi nel 1949 tornaste a Napoli, prima in Via Salvator Rosa e poi al Vomero nel 1952.

Abbiamo tante foto soprattutto degli anni ’50; molte sono scattate nella casa del Vomero che conosco bene anche io. Mi sembrano anni felici per voi. Sei molto elegante…

Scegliamo alcuni tra gli scatti. Il primo è datato giugno 1954: Elena guarda sorridente verso l’obiettivo e indossa un abito a quadretti tipico di quegli anni; i dettagli (l’orologio al polso, gli occhiali da sole alla cintura, il filo di perle) raccontano di un benessere raggiunto. Le altre due foto sono datate 1955. In entrambe riconosco uno dei balconi della casa dei nonni, al Vomero. La seconda è un bel ritratto di Elena (a destra) con la sorella Rita e la moglie del fratello maggiore, Mina.; nella terza Elena posa con un intrigante cappello di paglia.

Si compiace del suo aspetto, come accade a tutti noi quando guardiamo foto degli anni passati e ci scopriamo più belli rispetto alla percezione di quel tempo.

Però ero bella!

Si, bellissima e con bei vestiti e poi vedo che fumavi

Si, io sono stata sempre una “rivoluzionaria”. A diciott’anni affrontai mio padre e gli dissi: “Papà, io voglio fumare, ma non chiusa nel gabinetto”. Così poi nessuno in famiglia si nascose per fumare.

Ho sempre portato le novità in casa: fumare, avere degli amici, uscire. Organizzare gite a mare con fratelli e fidanzate..

Poi guadagnavo e mi compravo i vestiti, anzi me li cuciva un sarto che si chiamava Mango. Potevo soddisfare i miei desideri e misi da parte i soldi per comprarmi il corredo e per pagarmi perfino la festa del matrimonio.

Aspetta, prima del matrimonio, devi raccontare come incontrasti papà

Si, allora dobbiamo parlare dell’università. Dopo il liceo, mi iscrissi alla Facoltà di Chimica ma al primo esame, Mineralogia, presi 18 e mi spaventai. Così passai alla Facoltà di Farmacia e lì conobbi Sandro. Frequentavo quando potevo perché lavoravo; i laboratori erano obbligatori e durante un’esercitazione ci conoscemmo. Sandro mi vide e sussurrò alle mie spalle “Che bei capelli ha la collega!” Così poi ci fidanzammo nel 1953. I miei genitori lo accettarono subito anche perché un avvocato cliente della libreria lo conosceva bene e disse a mio padre che era un gran bravo ragazzo. Io poi non conclusi gli esami e non mi laureai, invece Sandro sì.

Quanti anni durò il fidanzamento?

Sei anni, ci sposammo nel 1959. Furono anni belli, pieni di speranza e progetti

Queste due foto portano una dedica ciascuna. Tu scrivevi: “Maggio 54. A Sandro caro con la promessa di eterna felicità. Elena”. Papà anche ti scriveva: “Giugno 1954. A Elena mia, cui ho dedicato tutto il mio pensiero, tutto il mio affetto e a cui dedicherò tutta la mia vita. Sandro”. Come eravate romantici!

Si, ma si usava ai miei tempi. Era un modo per promettersi in attesa del grande evento: il matrimonio. Durante il fidanzamento non avevamo tante occasioni per stare insieme: la messa di domenica, qualche gita, qualche passeggiata.

Io amo moltissimo questa vostra foto. Da piccola la guardavo sempre perché mi sembravate due attori dei film americani. Avete entrambi una bellissima espressione mentre guardate un punto lontano. Ai miei occhi di bambina eravate bellissimi e innamoratissimi. È datata agosto 1955

Si, mi ricordo; eravamo andati a trovare mia sorella Maria che era in vacanza a Seiano

Riconosco alla tua mano, la fede bombata che oggi indosso io spesso

Me la regalò Sandro

Vedo la tristezza nei suoi occhi e so che sta pensando alla morte improvvisa e prematura di papà che ci ha lasciati nel 1992. Spesso, nei momenti di malinconia soprattutto serali, lamenta la sua mancanza e rimpiange di non essere potuta invecchiare con lui.

Guardiamo altre foto tra cui una serie scattate nell’agosto del 1959, pochi mesi prima del matrimonio che sarebbe stato in dicembre. 

Dove eravate?

Era una gita al Faito, Sandro, io e i miei fratelli. Abbiamo tutte queste foto perché Enzo, Alfredo e Gianni erano appassionati di fotografia. Anche quando nasceste voi, scattarono tante foto

Infatti l’ultimo scatto ritrae papà, a sinistra, e poi nell’ordine Alfredo e Enzo; sul piano d’appoggio è in bella vista una macchina fotografica. In uno degli scatti c’è anche zia Brunella che sarebbe diventata la moglie di zio Enzo. Le foto degli zii sono in assoluto tra le più belle del nostro archivio di famiglia, spesso in un bianco e nero che non fa rimpiangere il colore da cui sarà soppiantato negli scatti degli anni successivi.

E ora arriviamo al matrimonio…Qui abbiamo un intero album rilegato e poi altre foto sparse. Facciamo una selezione


Abbiamo scelto cinque scatti: nel primo Elena entra in chiesa con il padre; nei due seguenti la cerimonia si è conclusa ed esce dalla chiesa con Sandro, entrambi visibilmente felici e forse meno tesi; poi c’è un intenso primo piano degli sposi in auto e infine un momento della festa, quello del taglio della torta.

Che mi racconti del tuo matrimonio?

Mi sposai il 28 dicembre del 1959, nella chiesa di San Gennaro ad Antignano e poi festeggiammo a Villa Hertha, una villa d’epoca al Vomero. Poi partimmo per un viaggio di nozze brevissimo, solo qualche giorno a Roma e di questo mi dispiace ancora oggi. 

Ero contenta perché mi sembrava un traguardo di libertà, di emancipazione dalla famiglia di origine alla quale però sono sempre rimasta molto legata. Anche Sandro fu subito accolto nella nostra grande famiglia. Mio padre era un patriarca generoso che ha sempre creato occasioni per tenerci uniti. Andammo a vivere in una casa che era stato un dono di mio padre. Io decisi di smettere di lavorare. Mio padre mi chiese se volevo continuare ma ero decisa a occuparmi della mia famiglia

Certo, oggi sembra strana questa tua scelta. Le donne hanno lottato per garantirsi la possibilità di lavorare

Si, lo so ma per me fu un’altra scelta di libertà. Mio padre era un datore di lavoro severo ed esigente. Io volevo gestire il mio tempo, volevo essere moglie e madre.

Però spesso ti ho sentito dire che il tuo “lavoro” di casalinga non è mai stato riconosciuto. Ti sei pentita di questa tua scelta?

No, mi sentivo soddisfatta nel riuscire a portare avanti una famiglia e comunque avevo vissuto il lavoro nella ditta di famiglia come una schiavitù. Soprattutto non poter gestire il mio tempo.

Però… mi fai riflettere che in fondo questa tua rivendicazione di libertà è molto moderna: oggi si parla di nuovo della riduzione degli orari di lavoro e della necessità di prendersi cura della vita personale. Sei stata una pioniera anche in questo!

Ridiamo di gusto, ma davvero condivido la sua idea di fondo di privilegiare le esigenze personali rispetto alle ambizioni lavorative che non lasciano spazio ad altro

E poi siamo nate noi, mia sorella ed io, a un anno di distanza l’una dall’altra 

Si, ma forse è meglio fermarci qui altrimenti diventa un racconto noioso per chi ascolterà o leggerà. Troppi decenni per arrivare ad oggi..

Va bene, ma come vogliamo concludere?

Basterà dire che sono grata per la vita che ho avuto, per la famiglia che ho costruito con Sandro e con voi; certo anche attraversando momenti difficili, ma per tutti è così

Scelgo alcune foto in cui ci siamo noi figlie. La prima, del gennaio 1961, ritrae Elena con mia sorella Anna Maria sgambettante a quattro mesi; nella seconda tiene in braccio me che dovevo avere forse un anno, quindi nel 1963 ca; la terza e la quarta ritraggono l’intera famiglia al mare nel 1965 e a Menaggio (Lago di Como) nel 1968 durante una delle vacanze organizzate dal nonno.

Come è stato rispondere a queste domande?

Mi ha dato la possibilità di mettere insieme i ricordi che ormai erano sparsi e di rivedere il filo rosso della mia vita. Sono contenta ma mi imbarazza l’idea che altri possano leggere di me

Perché?

Perché non sono nessuno e non ho velleità di farmi conoscere

Certo, ma come ho cercato di spiegarti il tuo racconto farà parte di un progetto che raccoglie le storie personali partendo dalle foto di famiglia perché le storie individuali possano incrociarsi con la storia che studiamo dai manuali

Nonno Fil, di Irene Vinale

Ho intervistato mio padre, Adriano, e la mia prozia, Luisa, per costruire un ritratto di nonno Filippo.

Mio nonno Filippo è nato il 7 Gennaio del 1945

Si svegliava prestissimo la mattina, beveva 2 o 3 tazzine di caffè, fumava, si preparava, era sempre attento a vestirsi elegante, sempre in giacca e cravatta, era un amante delle cravatte colorate con colori forti, si radeva, si profumava, andava al lavoro e tornava solo la sera. Mangiava sempre pizza a pranzo e mozzarella a cena, tutti i giorni. Era un uomo alto e massiccio, aveva i tratti sudamericani, essendo la madre del Paraguay, portava i capelli abbastanza lunghi, anche quando erano ormai bianchi, e aveva delle manone enormi.

Questo scatto del 1986 lo ritrae nel suo studio all’Università Federico II di Napoli, in primo piano, in una posa meditativa: lo sguardo guarda oltre l’obiettivo con vivacità.

Era un gran provocatore, per esempio, se una persona diceva qualcosa con convinzione, lui si metteva con impegno per dimostrare il contrario per il solo gusto di discutere, cercava di far vedere un altro punto di vista. Mio padre ricorda che una volta, all’incirca nel 2007, lo aiutò con un trasloco. Erano loro due e mio zio Stefano, tutti e tre in una macchina minuscola con i pacchi ed entravano a malapena. Ancora mio padre ricorda che giocavano a tennis, quando lui aveva tra i 12 e i 14 anni, entrambi anche se ognuno per fatti propri e che il padre lo sgridava per il poco impegno che ci metteva.

La sua famiglia era formata dalla mamma del Paraguay, il padre napoletano e una sorella. Ora rimangono però solo la sorella, Luisa, la moglie, mia nonna Rita, i tre figli, Adriano il primogenito, Fabiana la seconda e Stefano l’ultimo. Ci sono poi i cinque nipoti, due figli di Fabiana, entrambi maschi, uno di Stefano e due di Adriano che saremmo io e mio fratello Filippo.

Ecco tutta la famiglia riunita per il Natale 2022, io sono la prima, a sinistra, nella fila dei nipoti seduti in primo piano.

Il nonno nacque nell’ultimo anno di guerra e prima che lui e la sua famiglia potessero rientrare a casa dovettero aspettare che fosse liberata dagli inglesi che l’avevano usata come quartier generale.

Da giovane era molto bello e infatti il regista del film Ieri, oggi e domani, De Sica, avrebbe voluto che lui recitasse una scena in questo film, ma purtroppo la mia bisnonna non gli diede il permesso perché aveva solo 15 anni e doveva impegnarsi nello studio.

Questo bellissimo primo piano, o mezzo busto, frontale, risale proprio a quegli anni, 1960 circa, ed è stato scattato dal bisnonno Adriano nella casa in via Carducci, in cui abitavano in quel periodo. Il nonno, nitidamente ritagliato sullo sfondo dei palazzi e della strada, sorride, rivolgendo uno sguardo sornione all’obiettivo.

Nell’anno in cui mio padre compiva 12 anni, cioè nel 1984, lui e mia nonna si sono trasferiti a Chiaia e sono stati subito accolti con una festa in maschera.

Questa foto è un ricordo di quella festa in maschera ed è in cornice, esposta nel vecchio studio del nonno. C’è una strana atmosfera!

Mio nonno, in tempi non ancora sospetti, disse a mia nonna che se gli fosse successo qualcosa lei non avrebbe dovuto cambiare la disposizione dei quadri e infatti lei non li tocca mai. Ascoltando mia nonna capisco, da come lei ne parla, che hanno avuto sempre un bel legame anche se aveva un carattere particolare e che si sono sempre voluti bene. A volte avverto che mia nonna prova lo stesso affetto per noi, quasi gli ricordassimo il suo defunto marito.

Questa foto del 2006, ritrae il nonno e la nonna ad una cena in casa loro: sono uniti e sorridenti. E’ esposta in casa della nonna.

Ho notato, guardando le fotografie di famiglia, che facevano parecchi viaggi insieme tra cui quelli in Egitto e in Grecia e mia nonna gli scattava molte foto quasi sapesse che le sarebbero servite per avere suoi bei ricordi.

Queste due foto le ha scattate lei: la prima in Egitto, la seconda in Grecia. Quest’ultima è un primo piano molto intenso, sullo sfondo di una spiaggia bianca.

Dopo la sua morte (nel 2008), mia nonna ha sempre tenuto in modo particolare ai suoi figli e li ha sempre sostenuti, anche quando mio padre mi faceva fare cose discutibili, soprattutto dopo che si è separato, e alcune volte è stata molto solidale nei nostri confronti.

Questa foto del 2008 ritrae la nonna con mio padre, nel giorno del suo matrimonio.

Mio nonno era molto legato al suo lavoro e quello di cui si occupava lo aveva appassionato fin da piccolo: non lo ancora precisato, ma era professore di ingegneria geotecnica alla Federico II ed era specializzato in vulcanologia.

Questo scatto del 2005 è di un collega che lo ha fotografato nel suo laboratorio alla Federico II: si intravedono le strumentazioni e il nonno sorride guardando nell’obiettivo.

A casa lavorava nel suo studio dove sono presenti tantissime carte e vari oggetti curiosi tra cui la targa di una macchina su cui è scritto il suo nome e, alla parete, un orologio- barometro in legno.

Ho pensato di intervistare anche la sorella del nonno, la prozia Luisa, per conoscere altri aspetti della sua personalità.

Luisa e mio nonno erano fratelli, con otto anni di differenza; era solito per loro farsi dei dispetti ma nonostante questo si volevano molto bene e nessuno dei due provava gelosia per l’altro.

Per un periodo della loro vita, prima di sposarsi, avevano abitato in due palazzi, uno di fronte all’altro: se si affacciavano dal balcone si vedevano. Quando poi Luisa si doveva sposare, mio nonno aveva la varicella e per passare il tempo leggeva i fumetti di Topolino: lui non voleva che lei si sposasse per questo le lanciava i fumetti addosso in modo che lei si sarebbe presa la varicella e non avrebbe potuto sposarsi.

La prozia Luisa mi racconta che a scuola era molto bravo e che era particolarmente intelligente; era un appassionato dello studio dei terremoti (che poi sarebbe stato anche il suo lavoro) e aveva numerosi strumenti e macchinari adatti a questo scopo.

Dopo che entrambi si erano sposati, ogni volta che la mia prozia chiamava a casa di mio nonno, lui non rispondeva mai, ma lo faceva sempre sua moglie Rita. Mi dice pure che lei è sempre stata legata al nonno, per tutta la vita e ha sempre provato per lui una forte ammirazione: lo trovava bello come il sole e glielo diceva spesso.

Era sempre felicissima quando veniva ai suoi compleanni e onomastici; anche se era impegnato non mancava mai durante quei momenti. Si poteva notare l’adorazione di una bambina piccola che si protendeva verso il fratellino in modo che lui riuscisse a baciarle la guancia. Per lei il posto dove lui si sedeva sul divano è sacro, ma purtroppo mia nonna ha cambiato divano quindi quel posto non c’è più, ma lei avrebbe desiderato che rimanesse lì, vuoto, in modo da poter immaginare che il suo fratellino fosse ancora tra di noi.

È stato anche un amorevole figlio e tutte le Domeniche dimostrava a sua madre tutto il suo affetto anche senza parlare e lei gli preparava le frittelle quindi la sorella si lamentava di non aver ricevuto lo stesso trattamento culinario.

Era capace di autoironia come poche persone. Nell’ultima visita, prima di entrare in ospedale, le raccomandò: “confido in te, ricordati che voglio andare nella tomba Lofruscio”. Poi a una sua stupida domanda “Chissà se anche mamma avrebbe voluto essere sepolta lì” le rispose con quel suo bel sorriso : “Ora che l’incontro glielo chiederò ” .

Il suo rammarico è che sono vissuti insieme troppo poco: quando si è sposata lui aveva appena 15 anni. Il nonno scoprì un suo diario con le giustifiche per tanti giorni di scuola che aveva marinato e con naturalezza disse: “Mamma, guarda quante assenze ha fatto Luisa”.

Ho deciso di raccontare di mio nonno Filippo per tener viva la sua memoria anche se avevo un po’ paura di far intristire i miei parenti facendo delle domande su di lui, ma credo che invece a loro abbia fatto particolarmente piacere, come a me del resto.